Provato Battlefield : Bad Company

Provati i primi livelli del Single Player

Provato Battlefield : Bad Company
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Buone nuove dal fronte multiplayer. Chiarite dalla nostra anteprima, le peculiarità sbandierate da Battlefield: Bad Company puntano davvero in alto. Nonostante l’ascensore degli FPS sia oltremodo affollato, il lavoro svolto da DICE può davvero riservargli un comodo posto nella scalata alla vetta della categoria. Ultimo piano, signori, e scontro al vertice. Una cima che Call of Duty 4 ha ben pensato di minare in ogni dove, stendendosi poi pancia a terra per attendere gli avversari con una ghiotta granata fra i denti. Possibilmente con spoletta priva di “smile”.
    Sebbene le grazie del motore Frostbite soddisfino i palati più esigenti, tracciando strade nuove in ottica di level design, e l’aspetto strategico si nutra dell’estensione non lineare del campo di battaglia, subentrare al masterpiece di Activision nei sogni bellici degli utenti pare comunque un impresa non da poco. Rassicurante, in quest’ottica, si rivela la modalità single player. Testata da Everyeye nella sede italiana di EA, sembra palesare quell’ampiezza di respiro di cui COD4 difetta e a cui tenta di sopperire -felicemente, tra l’altro- guarnendola con uno storytelling raffinato.
    Lasciando i verdetti alla prossima recensione, fissiamo già da ora l’innegabile: era dai tempi di Cannon Fodder che la guerra non sembrava tanto divertente.

    Guardati dalle cattive compagnie

    Si vola. Visuale in prima persona. L’occhio della camera viaggia leggero fra la panna delle nuvole, mentre i titoli di testa si stampano neri sullo schermo. Un proemio dal retrogusto antico, che lascia sul fondo del bicchiere le chiazze epiche della Hollywood anni ‘50/60. Poi però si precipita a terra, e la realtà è quella che è. Invece del candore, lo sporco della guerra. Un conflitto dai contorni fin troppo sfumati, a tratti incomprensibile. Tuttavia c’è davvero poco da capire quando si è parte della B-Company. Ovvero la feccia della feccia. Sarge, Haggard, Sweetwater. Dannati piantagrane. Destino segnato. Ora sono carne da cannone. Preston Marlowe, l’alter ego del giocatore, è l’ultimo arrivato, il pivello. Su di lui piove copioso il sarcasmo dei compagni. Ma anche il loro affetto. C’è una casa da ispezionare, gli ordini sono semplici. Potrebbe essere una trappola. Anzi, lo è sicuramente. Marlowe, figliolo, pensaci tu. Un modo come un altro per farsi le ossa. Se sopravvive, potrebbero spartire con lui una fetta della torta. Gialla. Luccicante. Perché c’è qualcosa di strano sul campo di battaglia, un qualcosa che si riflette negli occhi lucidi della B-Company già sul finire della prima missione: l’oro. Gli ordini del comando, la patria, l’onore, persino la loro pellaccia, ora non sono altro che satelliti. Che gravitano intorno al pianeta dorato.
    L’idiosincrasia balza subito agli occhi: laddove in molti titoli recenti lo script pesca con foga nella realtà mediorientale, delineando contrapposizioni e conflitti stereotipati ma verosimili, Battlefield:BC non definisce perentoriamente il dove e il quando e si guarda bene dal caratterizzare i protagonisti come supersoldati tutto d’un pezzo, frastagliandoli invece come icone di un’opera cinematografica. Il risultato sono cut scene memorabili, fresche nella composizione e frizzanti nei dialoghi. Marlowe, come già ricordato, è la vittima sacrificale della corruzione morale dei compagni, tuttavia le loro personalità si riversano anche sul campo di battaglia, con reazioni rispettose dell’indole di chi le produce.
    L’impossibilità di impartire ordini ai propri compagni viene rattoppata da un’intelligenza artificiale davvero eccellente, che segue il giocatore fornendogli copertura costante, senza però sollevarlo dagli oneri di un’azione in prima persona.
    Il sistema di controllo è modellato sulla scorta del titolo Activision ed è quindi altamente funzionale, sebbene facciano capolino un paio di differenze non felicissime. Come già preannunciato nel precedente articolo, al giocatore non è purtroppo data la possibilità di sdraiarsi, con buona pace dei provetti cecchini, che debbono dunque ripiegare sul semplice abbassamento (pressione stick destro). Difficile intuire le ragioni di un’esclusione che senza dubbio scontenterà una nicchia non indifferente di utenti, soprattutto online.
    Altra particolarità, la farraginosa gestione delle armi e delle attrezzature di supporto tramite i pulsanti dorsali. Non essendo infatti disponibile un menù di scelta rapida, può capitare, soprattutto nelle situazioni con l’acqua alla gola, di dover scorrere l’intero set di oggetti secondari alla spasmodica ricerca di un prezioso e quanto mai irraggiungibile kit medico. Una tachicardia amplificata tanto dal grigiore che offusca l’immagine quando si è feriti pesantemente, quanto dall’incupirsi distorto dei suoni: una rilettura realistica dello svenimento, che spezza senza pietà le gambe ai punti di riferimento contestuali.
    Peccati veniali a parte, veniamo ai punti forza del gameplay. La varietà, innanzitutto. Legittimando le origini multiplayer, le ambientazioni di Battlefield: BC sorprendono sia per estensione che per funzionalità. I teatri perlopiù angusti di Call of Duty 4, concatenati da uno scripting evidente, lasciano il campo a libertà decisionali e di movimento inusuali. Le due missioni a cui partecipiamo prendono vita in campagne dal sapore centroeuropeo ricche di colline, foreste e campi coltivati che ben si prestano alla diversificazione strategica. Individuato il nemico sul radar, le modalità di ingaggio, approccio e accerchiamento non subiscono costrizioni esterne se non quelle insite nella visione tattica del giocatore. A patto di non sconfinare da una zona perimetrale comunque vastissima -pena il game over per diserzione- è possibile raggiungere gli obiettivi utilizzando le strade più disparate. Esempio. Il nemico presiede un avamposto zeppo di carburante. Azzerare un tale vantaggio, il compito affidatoci. Il comando consiglia di proseguire osservando un basso profilo, costeggiando la riva del vicino corso d’acqua. Le opzioni sono però molteplici. Giungere a destinazione nuotando. O percorrendo lo stradone sterrato che si perde nella baraccopoli a nord. Oppure ancora guadando il fiume per prendere possesso dell’altura che si erge ad est, da cui discendere per sorprendere il nemico da tergo.
    L’utilizzo dei mezzi è un’altra variante che svincola l’FPS di DICE dai binari del predeterminato. In pratica, è consentito assumere il controllo (tasto B) di un qualsiasi veicolo presente sullo schermo, senza soluzione di continuità. Jeep, automezzi corazzati, camion, cingolati, imbarcazioni, ogni pezzo di ferraglia a motore può essere sfruttato per agevolare gli spostamenti o per aggiungere un pizzico di sale all’offensiva. La manovrabilità è più che soddisfacente, e soprattutto variegata in relazione al peso e alla tipologia del mezzo usato. Nel caso si fosse restii all’ebbrezza della guida su sterrato, si può sempre viaggiare come passeggeri od artiglieri, comandando le mitragliatrici che abbelliscono taluni tipi di blindati. Anche qui, la cura dei particolari strilla a gran voce la propria presenza. Due le visuali su cui si può agire in tempo reale (cruscotto ed esterna), e diverse le stazioni radio atte ad impreziosire il comfort dei soldati. Benché non sia stato possibile appurarlo dal vivo, è confermato il potenziale ricorso anche ai micidiali elicotteri.
    Per ultima, la feature più spettacolare. Il motore grafico Frostbite puntella un nuovo parametro per ciò che concerne l’interagibilità ambientale, consentendo la distruzione e modificazione morfologica di edifici e terreni. Se la seconda caratteristica si estrinseca in special modo nella deforestazione della vegetazione circostante, il riverbero della prima interessa anche e soprattutto la meccanica di gioco. Quasi ogni struttura può essere infatti deturpata e sventrata fino a raggiungerne lo scheletro di fondo, in un gioco di decostruzione che ha sicuramente dell’incredibile. Gli algoritmi procedurali si occupano di calcolare la potenza di fuoco dell’arma utilizzata, la distanza, il punto di impatto e lo stato di conservazione pregresso dell’oggetto stesso. Le conseguenze si alternano quindi in accordo col tipo di arma adoperata. Chiaramente l’impatto delle granate è stupefacente, tanto sotto il profilo cosmetico quanto sul piano della rapidità di demolizione. Vi sono delle naturali approssimazioni (si pensi all’impossibilità di abbattere, per puro piacere, alcuni alberi lontani dal fulcro dell’azione), così come è chiara la tensione verso la spettacolarità della resa, ma il risultato è comunque da ascrivere nell’albo della pura eccellenza. A maggior ragione se si riflette sulle spinte innovative che fornisce al gameplay. Il tempo delle coperture infrangibili è dunque giunto al capolinea ed anche la distinzione tra pareti sottili e quelle imperforabili suscita ormai solo un sorriso. La realtà è ben diversa. Nessun posto è inopinabilmente sicuro. Nel corso della prima missione, dopo aver sabotato la contraerea nemica col fidato C-4, avanziamo decisi verso una loro roccaforte. La violenza dei mortai ad alto potenziale ci coglie di sorpresa, per cui ripariamo di gran carriera entro un minuscolo edificio, mentre una sentinella saetta raffiche di colpi dall’alto della sua torre. Le finestre vanno in frantumi. Il cemento comincia a cedere, offrendo una resistenza via via meno incisiva. E’ tempo di muoversi, e in fretta. Un boato scuote però lo schermo. La visuale si annebbia, il respiro si fa più affannoso. Una granata. Siamo stati colpiti. L’edificio è aperto in due. Dove c’era il tetto, ora c’è il cielo. Il sibilo dei proiettili è lontano, troppo lontano. Qualcosa non va. Ecco cosa: siamo morti.
    La difficoltà è settata su livelli medio-alti. L’IA avversaria è piuttosto attiva e predilige l’azione corale alle sortite solitarie. Inoltre bastano pochi colpi per finire gambe all’aria. I med kit fanno parte dell’inventario di base e sono virtualmente infiniti, sebbene si debba aspettare qualche -interminabile- istante prima che il corpo ne assimili i benefici. In caso di dipartita, comunque, il gioco provvede a riportare il giocatore nel punto esatto della morte, sgravandolo dal compito di affrontare i nemici già sterminati.

    L’arte della guerra

    Le deficienze del comparto tecnico sono da imputare allo stato non definitivo della build provata. Piccole incertezze del frame rate si verificano durante le esplosioni più roboanti, o nel caso di un numero eccessivo di mezzi sullo schermo. La restante gestione dell’ambiente poligonale è comunque estremamente godibile, ed in linea con le moderne produzioni HD, soprattutto per ciò che attiene alla profondità dell’orizzonte visivo. Ottime le mappe superficiali al pari dell’elaborazione degli effetti particellari, quantunque si fermino un gradino sotto allo standard di Call of Duty 4. Sapiente l’implementazione dell’HDR che rende l’immagine particolarmente impattante. Rifinite le animazioni, arricchite da un bagaglio gestuale capace di sottolineare i caratteri dei quattro della B-Company e che compensa così all’inaccurata modellazione delle animazioni facciali.


    Plauso anche al sonoro. Le deflagrazioni sono corpose e rotonde, l’impatto dei proiettili sui materiali deciso. Spassosi i siparietti che danno corpo alle cut scene, merito di un doppiaggio in inglese (per ora) davvero sopra le righe.

    Battlefield : Bad Company Quelli di Everyeye non sono dubbi, ma aspetti da verificare in sede di recensione. Tra questi, la diversificazione degli scenari. La carrellata di immagini posta durante l’introduzione consente comunque di fantasticare sulla presenza di ambientazioni che si allontanino dalle bucoliche lande attraversate nel nostro hands on. La longevità è un altro punto critico, benché il numero di oggetti collezionabili (non solo l’oro) durante la campagna e le tante soluzioni di gioco proposte caldeggino un certo ottimismo, soprattutto in chiave rigiocabilità. Fermo restando che, con tutta probabilità, la modalità multiplayer varrà da sola l’acquisto dell’ultimo Battlefield di casa DICE.

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