Provato Max Payne 3: abbiamo testato il multiplayer

Provato il multiplayer di Max Payne, e Rockstar sembra davvero aver fatto un altro centro

Provato Max Payne 3: abbiamo testato il multiplayer
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Londra - Dopo il gustoso assaggino di ieri, sotto forma di trailer, oggi è il momento della roba grossa. Sorriso smargiasso pre-stampato in viso, ci siamo quindi intrufolati negli studi londinesi di Rockstar, pronti ad ingrassare di un paio di quintali di piombo buono gli avatar degli altri giornalisti italiani. Tutta salute, ragazzi.
    Il primo aspetto da segnalare è anche un avvertimento di massima: ciò che leggerete qui, così come i paletti fissati dal video succitato non sono che una parte -consistente- della componente multigiocatore di Max Payne 3, modalità che ha definitivamente scalato posizioni significative nella classifica di importanza dei prodotti Rockstar, tale da garantirle uno sforzo produttivo (in termini di forza lavoro, creatività, ottimizzazione ed  integrazione orizzontale con il Rockstar Games Social Club) non inferiore a quello storicamente riservato al Single Player. Un’intelaiatura dunque solida, che declina design e dinamiche di Max Payne 3 senza stravolgere o comprimere nulla, ma anzi arricchendo la formula di sfaccettature, custom experience e uno stratificato strato di opzioni in grado di garantirle ampio consenso tra chi vuole gustarsi un’esperienza multiplayer autentica e sinceramente impegnativa.
    Chi attendeva un mesto raffazzonamento di meccaniche, è pregato quindi di accomodarsi fuori. Dalla linea di tiro, ovviamente.

    Questione di Quantità

    Tre macro-modalità (Team Deathmatch, Payne Killer e Gang Wars), quattro classi (soldier, snitch, dealer e lockout), 16 giocatori e un spettro di opzioni altamente configurabili. Altre novità faranno outing da qui all’uscita, tuttavia già così il biglietto da visita del multiplayer promette scintille non meno che abbacinanti.
    Partiamo dal fondo, dalle opzioni, pensate a misura di giocatore, perché decidere se giocare in free aim (salutando con la manina i benefici della mira assistita), od in soft/hard lock cambia radicalmente le sensazioni ricavate dall’esperienza ludica. Lo stesso dicasi nel caso si opti per la rigenerazione automatica della salute, o via painkiller oppure prevedendole entrambe.
    Una profondità a due teste che morde anche la personalizzazione dell’avatar: un numero generoso di preset estetici su cui intervenire per creare il tamarro da combattimento che più ci aggrada, insieme a due slot per intervenire con particolari item su testa (magari tramite un elmetto ad hoc), busto (giubbotto antiproiettile intercedi per noi) e altri tre per ammennicoli più o meno sfiziosi (stivali che attutiscono il rumore dei nostri movimenti, ad esempio).

    Stessa apertura anche per l’arsenale a disposizione: la trentina di bocche da fuoco a disposizione gode di un discreto spettro di accessori -da sbloccare- per migliorarne prestazioni, tempi di ricarica e precisione, oltre a slot dedicati alle diverse tipologie di munizioni. Come per la campagna single player, tre sono le armi trasportabili (di cui solo una a due mani, come il sempre caro fucile d’assalto), mentre sono completamente personalizzabili i loadout generali (cinque), per approcci al massacro agli antipodi, non solo per ciò che concerne la strategia offensiva: differenti loadout, scelte diversificate di armi ed accessori, comportano pesi diversi che il nostro avatar di deve accollare e che comportano simpatiche ramificazioni in termini di agilità/velocità complessiva, stamina (che determina la possibilità di scattare e rotolare) e rigenerazione della salute.
    Cinquanta i livelli di esperienza, i cui step sono accompagnati da una stuzzicante quantità di pecunia, da spendere per potersi accaparrare quanto detto finora (armi, item), ma soprattutto i Bursts.

    Rallenta un attimo!

    Bullet Time è sinonimo di Max Payne, su questo siamo tutti d’accordo. Un retaggio culturale e di gameplay che trova ovviamente sfogo anche nel multiplayer, diventandone parte integrante. Il Bullet Time è però solo uno dei tanti Bursts (l’orripilante “scariche”, nella versione nostrana del trailer) attivabili in gioco: bonus che garantiscono un tocco finale al loadout prescelto, intervenendo sulla qualità tattica degli scontri ed andando ad incidere -se utilizzati con cognizione di causa- sull’esito delle guerriglie fra chi sa tenere un Grenade Launcher in mano.
    Costando uno sproposito di Adrenalina, che si ricarica solo ferendo, uccidendo o andando di looting sui cadaveri, il ricorso ai Bursts esige un pizzico di materia grigia. Nonostante lo scontro e la progettazione della mappe inviti un ritmo di gioco davvero serrato, forsennato e maledettamente divertente, lo studio del posizionamento di avversari è un punto importante, così come la scelta su quale bonus utilizzare a seconda del proprio stile e delle situazioni reali di gioco. Ogni Burst gode di tre livelli di intensità (sbloccabili in accordo con la propria exp), che allargano la scala dell’effetto originale.
    Dicevamo, il Bullet Time. Il suo utilizzo, per lo meno in prima battuta, è dunque scontato, sebbene non sempre si riveli la scelta vincente per risolvere ogni contenzioso di fuoco, con estremo gaudio

    "Gang Wars è invece il cuore pulsante dell’esperienza multiplayer di Max Payne 3, andando a pescare anche dagli eventi della campagna single player, per raccontarli con un ottica diversa o utilizzandoli come ponti per inscenare sparatorie all’ultimo sangue, con diversi obiettivi e un sistema di ramificazione delle sottotrame"

    della varietà di situazioni e del bilanciamento complessivo. La sua implementazione è comunque funzionale, appoggiandosi al concetto della “linea di visuale”. In definitiva, chiunque si trovi nella nostra linea di vista -e dunque, di tiro- può essere soggetto al Bullet Time. Le vittime, ovvero coloro che ne subiscono le conseguenze nel dato momento, soffrono di movimenti ingessati e di un abbassamento nel rate del proprio fuoco difensivo. Dura pochi secondi, d’accordo, ma non è propriamente un attestato di stima. L’unica via di fuga dal supplizio è -naturalmente- uscire dalla linea di visuale del nemico, semplicemente girandolo l’angolo, andando in copertura dietro un muro, accucciandosi contro una cassa, oppure, per i cultori dell’estetica a tutto spiano, catapultandosi dentro una finestra col il benestare del classico Shootdodge di casa Payne. Sapere quindi quando ricorrere al buon Bullet è importante tanto quanto sapere come neutralizzarlo.
    Ma di Bursts interessanti, Max Payne 3 ne è pieno zeppo, che a diversi livelli includono migliorie non solo per il singolo, ma anche per l’intero team. Come, ad esempio, Intuition, che tramite dardi luminosi mostra sulla mappa la posizione dei nemici, via via con maggior precisione, o Sneaky, che scambia le icone amico/nemico per un tot di tempo, magari consentendo il fuoco amico fra le fila nemica (ops!), o Paranoia, che porta un nemico a vedere chiunque come un nemico, insieme a tanti altri con effetti variabili sull’uso della armi.
    Il fattore strategico è quindi particolarmente spesso, e determina ad un tempo sortite solitarie insieme al più tipico lavoro di squadra. Un piccolo grande successo, in pratica.

    Modalità per tutti i gusti

    Come detto, tre le modalità finora presentate. Se Team Deathmatch non necessita di troppe presentazioni, risultando come sempre un apripista fondamentale tanto per impratichirsi del sistema di controllo, quanto per godersi il titolo senza troppi pensieri, le altre due appaiono più fantasiose.
    Payne Killer è goduria cristallina, proseguendo la filosofia della modalità Dead Man Walking ammirata nel secondo capitolo della saga. Si inizia come un normale deathmatch: il primo uccisore diventa Max Payne, mentre la sua vittima Raul Passos. Si dia inizio alla caccia. I due partner hanno a disposizione un arsenale mica da ridere, oltre ad un resistenza e ad un numero di painkiller superiore al branco inseguitore. Il sistema tiene conto della quantità di danno subita dal duo, così che alla dipartita subentrerà chi ha procurato loro ferite maggiori (tenendo anche presente chi ha esploso l’ultimo colpo, quello letale), trasformandoli nei nuovi Payne e Passos. Vince, ovviamente, chi ottiene il punteggio superiore.

    Gang Wars è invece il cuore pulsante dell’esperienza multiplayer di Max Payne 3, andando a pescare anche dagli eventi della campagna single player, per raccontarli con un ottica diversa o utilizzandoli come ponti per inscenare sparatorie all’ultimo sangue, con diversi obiettivi e un sistema di ramificazione delle sottotrame che tiene conto di ciò che è stato fatto negli step precedenti. In sintesi, ogni sceneggiatura è legata a doppio filo con una particolare mappa, divisa in diversi spezzoni narrativi. A seconda di come si completano gli obiettivi previsti (recupero di merce, protezione di una zona, spostamento di borse di valore, o la

    "Il fattore strategico è quindi particolarmente spesso, e determina ad un tempo sortite solitarie insieme al più tipico lavoro di squadra. Un piccolo grande successo, in pratica."

    combinazione di questi, magari anche entro un tempo limite), l’intreccio prende vie diverse. Un escamotage, con il classico uso di cut-scene e voiceover, che rincara la già pesantissima dose di replay value del prodotto. E della singola modalità.
    Alla base dell’intera modalità multiplayer, vi è il sincero desiderio di costruire una sovrastruttura permanente, che valga e mantenga le rivalità fra i singoli team nel tempo e su giochi diversi. Nel corso dei prossimi mesi approfondiremo il significato di una simile concezione crosstitle, in termini di esperienza guadagnata, bilanciamenti nei diversi titoli, e come il tutto andrà supportato dal Rockstar Games Social Club. Per ora, vi basti il discorso “vendetta”, attivabile dopo aver subito due uccisioni consecutive da parte di un altro player, che diventa così visualizzabile sulla mini-mappa di gioco. Qualora si riesca a freddarlo, dando sfogo al nostro sentimento di rivalsa, si guadagna exp extra. In caso contrario, ovvero del “non c’è due senza tre” da parte dell’infido figuro, sarà questi ad intascare un profluvio di generosa esperienza.

    Sud America

    Tre le mappe provate. Docks, Favela e Bus Station, con la nostra preferenza accordata in special modo alle prime due. Il trittico esalta l’interfaccia hit and run del prodotto, con planimetrie generose, e parecchie strutture su cui dare sfogo al proprio senso estetico (fracassare la finestra di un magazzino, al primo piano, per poi buttarcisi attraverso, mentre freddiamo uno, due, tre nemici in volo, non ha davvero prezzo). Favela è un lercio saliscendi di catapecchie accatastate, di vicoli mai troppo ciechi per innescare uccisioni infami, di tetti bassi da scavalcare e per poi correre verso la prossima raffica. I Dock, oltre ad una maggiore verticalità, offrono anche spunti scenici interessanti (nebbia, che occlude la visuale), con altri  agenti atmosferici che probabilmente faranno capolino in questi due mesi (la pioggia, magari).
    Rispetto all’ultima build vivisezionata, il sistema di controllo pare più aggraziato e senza dubbio perfezionato. Se ancora rimane un difetto, e se così lo possiamo definire, questo riguarda la sensibilità dello stick sinistro, per cui talvolta si scivola erroneamente per accovacciarsi, un particolare non propriamente comodo nei frangenti ad alto tasso di adrenalina.

    Max Payne 3 Max Payne 3 centra ancora il bersaglio. La componente multiplayer regala un abbondante dose di divertimento, andando a ripescare tutto il meglio del repertorio dello story mode, affrescandolo con un set di opzioni in grado di approfondire -e tanto, soprattutto in chiave tattica- un design di gioco assolutamente convincente. Frenetica e strategica nel contempo, la modalità multigiocatore di Max Payne 3 è tutto fuorché l’orpello opzionale di uno dei third person shooter più attesi di questa generazione. Bel colpo Max!

    Che voto dai a: Max Payne 3

    Media Voto Utenti
    Voti: 328
    8.5
    nd