Intervista Life is Strange

In occasione dell’uscita della versione su disco abbiamo fatto quattro chiacchiere con Barbet e Koch, i co-direttori dell’avventura di Max e Chloe, per scoprire i retroscena sullo sviluppo ed il loro punto di vista sulla narrazione interattiva.

Intervista Life is Strange
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  • Xbox 360
  • PS3
  • Mobile Gaming
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • È stata senza dubbio una delle sorprese dell'anno che si è appena concluso. Un'avventura che sapeva mescolare le atmosfere da thriller alla Stephen King con la delicatezza e la poesia di un'amicizia ritrovata tra due ragazze che hanno paura di crescere. Sullo sfondo di una tranquilla cittadina di provincia americana, Arcadia Bay, la storia della dolce e timida Max e della ribelle e arrogante Chloe ci ha coinvolto ed emozionato. E insieme a noi c'era almeno un altro milione di giocatori, che ha deciso di acquistare i cinque episodi di questa avventura che si è conclusa qualche settimana fa. Un risultato che è andato oltre ogni aspettativa, e che ha convinto Square Enix, produttore del gioco, e i francesi di Dontnod Entertainment, talentuoso team di sviluppo già autore dell'ottimo Remember Me, di uscire con una versione fisica su disco, che arriva venerdì nei negozi arricchita da un artbook e soprattutto dalla fantastica colonna sonora che include brani originali di Syd Matters e musica di altri artisti come i Foals o Angus & Julia Stone. Qualche giorno fa abbiamo avuto modo di fare una chiacchierata con Michel Koch e Raoul Barbet, co-direttori di Life is Strange. Abbiamo parlato di cosa rende così speciale Max e Chloe, di come si scrive una storia, del perché i videogame sono diventati finalmente grandi.
    Attenzione: per chi non ha giocato Life is Strange, l'articolo potrebbe contenere alcuni spoiler.

    Q&A

    Life is Strange sembra avere un messaggio: non importa quanto possano essere speciali i tuoi poteri, non potrai mai salvare tutti, non potrai mai cambiare realmente il destino. È questo il messaggio che volete lanciare?
    Raoul Barbet: Fin dall'inizio abbiamo concepito la storia intorno a questo tema: cosa saresti disposto a sacrificare pur di salvare le persone che ami? Abbiamo scritto tante scene in cui bisogna fare delle scelte dove le conseguenze non sono immediatamente avvertibili. Volevamo che ogni giocatore creasse la sua Max, che ogni esperienza fosse diversa, che ognuno vivesse la storia a modo suo. Questo è stato il nostro obiettivo fin dall'inizio.

    Eppure la scelta finale, quella che di fatto stabilisce quale dei due finali avrà la storia, sembra quasi volerti portare in una certa direzione. Senza rovinare la sorpresa a chi deve ancora giocare Life is Strange, provando i due finali abbiamo avuto la sensazione che voi, gli autori, volevate spingerci più verso una certa soluzione. Come se ci fosse un finale "buono" e uno "cattivo".
    Raoul Barbet: Fin dall'inizio abbiamo scritto la storia con quei due finali. Tutto il gioco porta a quel momento, a quella decisione. Non credo che ci sia un finale "buono" o "cattivo", semplicemente per voi, per la vostra esperienza, avete preferito un finale o l'altro. Quando basi tutto il tuo gioco sulla possibilità di scelta, è importante cercare di rimanere neutrali: deve essere il giocatore a tenere le redini.
    Michel Koch: Posso dirti che abbiamo visto alcuni giocatori aspettare più di venti minuti davanti alla console prima di scegliere, stando ai nostri dati. Ed è esattamente quello che volevamo: far sentire il peso di una scelta che rappresenta la somma di tutte le esperienze precedenti. Quando abbiamo visto quel giocatore, e molti altri come lui, attendere così a lungo per fare una scelta, abbiamo capito che avevamo centrato il nostro obiettivo.

    Pensate che questo sia stato il segreto del successo di Life is Strange?
    Raoul Barbet: Sì, perché siamo riusciti a trasmettere l'importanza di una scelta nella mente del giocatore. Life is Strange racconta una storia, la storia di due ragazze di un'amicizia speciale, sullo sfondo di una città apparentemente tranquilla. Volevamo che ogni giocatore vivesse questa storia a modo suo, creando il suo legame speciale con Max e Chloe. Sentire il peso di una scelta, riflettere, aspettare, emozionarsi: solo in questo modo la storia di Life is Strange avrebbe avuto forza, solo facendo realmente sentire il giocatore al centro di tutto.

    Everyeye: In effetti siete riusciti a creare un legame forte tra giocatore e le due protagoniste. Ma la storia di Max e Chloe è finita qui? Ci sarà mai un seguito di Life is Strange?
    Michel Koch: Non sappiamo se ci sarà mai un seguito di Life is Strange, è ancora troppo presto per parlarne. Quello però di cui siamo sicuri è che, se mai ci sarà, racconterà una storia diversa. Fin dall'inizio abbiamo concepito la storia di Max e Chloe come una storia completa, finita. Non volevamo lasciare nulla sospeso, volevamo dare una chiusura, che dipende dalle scelte fatte dal giocatore. La storia di Max e Chloe parla di crescita, di due ragazzine che diventano donne: e la loro crescita, quella presa di coscienza che avviene quando si lascia alle spalle una parte importante della propria vita, avviene proprio nel finale. Non vogliamo andare oltre, quindi, se ci sarà un seguito di Life is Strange, racconterà un'altra storia.

    Una crescita, quella delle protagoniste, che avviene tramite alcune scene davvero toccanti, in un videogame che non ha paura di parlare di alcuni argomenti di solito tabù nel nostro mondo, come l'omosessualità.
    Michel Koch: Quando abbiamo iniziato a lavorare a Life is Strange volevamo che ogni giocatore potesse creare la sua speciale versione di Max. E libertà significa dare la possibilità di costruire il rapporto con Chloe in ogni possibile modo: da un'amicizia normale a una molto più profonda, fino ovviamente alla possibilità di innamorarsi. Non abbiamo inserito quella scena perché volevamo stupire qualcuno, ma solo perché era coerente con la storia e con quello che volevamo fare. Max è una ragazzina che sta scoprendo la sua sessualità, sta crescendo, ed è normale che possa esitare, che abbia bisogno di tempo per capire chi è e cosa vuole realmente. Volevamo trasmettere queste emozioni anche al giocatore.
    Raoul Barbet: Abbiamo voluto toccare diversi argomenti delicati come l'eutanasia o la violenza domestica. Oppure la depressione giovanile: la storia di Kate vuole raccontare quanto può essere difficile, a volte, per un giovane inserirsi in un'ambiente che a volte può essere durissimo, cattivo o totalmente indifferente alla tua esistenza. Come ha detto Michel, però, tutti gli argomenti che abbiamo toccato in Life is Strage, lo abbiamo fatto perché avevano un senso, un ruolo nella trama. Non si tratta insomma di voler per forza fare qualcosa di diverso, certe cose non si programmano a tavolino. Abbiamo scritto una storia e l'abbiamo seguita, come dovrebbe succedere sempre.

    Quindi pensate che i videogame siano ormai un media maturo, in grado di poter parlare di certi argomenti anche al grande pubblico? Due anni fa Jenova Chen, il designer di The Journey, mi disse che i videogame oggi sono come un ottimo fast food: puoi avere tutti gli hamburger che vuoi, ma saranno sempre hamburger. Cinema e libri invece sono come un ottimo ristorante, dove si può mangiare davvero tutto quello che si vuole. Siete d'accordo? Pensate che i videogame avrebbero bisogno di più titoli come Life is Strange?
    Raoul Barbet: Penso che ci saranno sempre gli hamburger, come Hollywood ha da sempre i suoi blockbuster, i film sui super eroi e così via. Ma i videogame stanno recuperando terreno, e non è certo merito di Life is Strange. Life is Strange probabilmente non sarebbe esistito se prima di noi, ad esempio, non ci fossero stati altri team di sviluppo come Quantic Dreams o Tell Tales che hanno sperimentato con la narrazione nei videogame. È un momento di transizione e siamo contenti di aver dimostrato che un gioco diverso dal solito videogame, come Life is Strange, abbia avuto successo, perché speriamo che altri seguiranno. Il punto è offrire ai giocatori un'ampia possibilità di scelta: ognuno deve essere libero di poter giocare quello che vuole.
    Michel Koch: Capisco perché hai voluto sottolineare che sono passati due anni dalle parole di Chen. Perché in effetti in questi due anni sono cambiate tantissime cose. Ci sono stati tanti titoli che hanno provato a raccontare esperienze diverse. Titoli come That Dragon, Cancer o Her Story o Sunshine sono esempi di come i videogame, oggi, offrano esperienze sempre più variegate e complesse.

    E parlando di cinema, secondo voi i videogame siano un medium migliore per raccontare una storia?
    Michel Koch: è una domanda interessante che ci siamo posti molte volte. Penso ovviamente che siano media molto diversi. Se guardi un film o una serie tv rimani distaccato, sai di essere uno spettatore, in qualche modo rimane una distanza tra te e quello che succede sullo schermo. Nei videogame c'è la possibilità di interagire con la storia e i personaggi, di cambiarli, di influenzarli. Penso che l'esperienza così diventa molto più profonda e personale: ci sono videogame in cui davvero ci si sente al centro di quel mondo virtuale, e questa è senza dubbio una differenza enorme di cui bisogna tenere conto. Ma non so dire se siano un medium migliore, forse è ancora troppo presto per fare un discorso del genere. Certamente sono un mezzo incredibile per vivere emozioni diverse, per raccontare una storia.

    Un'ultima semplice domanda. Quale pensi sia il segreto per scrivere una buona storia?
    Raoul Barbet. (ride, ndr) Non è affatto semplice come domanda. Noi abbiamo avuto la fortuna di lavorare con due grandi professionisti. Jean-Luc Cano ha scritto la storia, poi abbiamo lavorato insieme a Christian Divine, uno sceneggiatore americano che ha lavorato in cinema e alla tv, per andare più nel dettaglio e scrivere tutti i dialoghi. Penso che la cosa più importante in una storia siano i personaggi. Bisogna stabilire ogni tratto dei protagonisti, il loro sviluppo, come cambiano durante gli eventi. Se i giocatori si affezionano ai personaggi, allora la storia funzionerà. Penso che questo sia un aspetto davvero fondamentale che non viene molto spesso considerato dagli sviluppatori di videogame.
    Michel Koch: Può sembrare banale ma non bisogna mai sottovalutare l'importanza di lavorare con uno bravo sceneggiatore. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovarne addirittura due: il lavoro di Cano e Divine è stato fondamentale per Life is Strange. Molto spesso questo nei videogame non accade e si tende a sottovalutare la questione.

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