Intervista Murasaki Baby - Intervista a Massimo Guarini

Massimo Guarini ci racconta come nasce il viaggio della sua Baby

Intervista Murasaki Baby - Intervista a Massimo Guarini
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  • PSVita
  • Dopo esserci innamorati a prima vista di Murasaki Baby, non potevamo certo tirarci indietro di fronte all'occasione di scambiare quattro chiacchiere con Massimo Guarini, creative director di Ovosonico, team varesino al timone del progetto.
    Se vi siete persi il nostro Hands-On con quello che è il più promettente titolo in arrivo su PsVita nel prossimo futuro, vi rimandiamo all'articolo in cui potete leggere le nostre (entusiastiche) impressioni.
    Con Massimo abbiamo parlato più generalmente del concept, della fase di definizione e realizzazione del titolo, dell'eredità che le sue precedenti esperienze come game designer gli hanno lasciato.

    Prospettive surrealiste

    Everyeye.it: Grande esordio sul palco della conferenza. Sei contento della ricezione del pubblico?
    Massimo Guarini: Decisamente sì! Anche nelle più rosee aspettative non mi aspettavo un entusiasmo così marcato da parte dei giocatori. Ci stanno facendo molti complimenti ed è un segnale importantissimo per noi.

    Everyeye.it: Da quanto tempo state lavorando su Murasaki Baby?
    Massimo: Dunque, siamo entrati in ufficio a dicembre/gennaio, quindi direi che sono sette o otto mesi. Ovviamente a livello di concept l'avevamo pensato prima: probabilmente l'idea mi è balenata alla mente un anno e mezzo fa, ma solo di recente l'abbiamo presentato a Sony.

    Everyeye.it: Ci racconti le prime fase dello sviluppo?
    Massimo: A Sony il progetto è piaciuto molto, e ci hanno finanziato per produrre un concept video. Alla fine ormai è è questa la prassi, non si fanno più le demo classiche. Per produrre una demo possono volerci anche sei/nove mesi, e ala fine se "canni" il progetto l'investimento se n'è andato. La realizzazione di un video che illustri tutte le caratteristiche del gioco costa meno, e ti permette comunque di finire in due mesi ed avere materiale per convincere qualche publisher. L'importante è approcciarsi a questa fase con la giusta filosofia: noi abbiamo impostato la produzione del video come se stessimo facendo asset in-game. Si è trattato in pratica di una piccola pre-prduzione, in cui son venuti a galla certi problemi che ci hanno imposto comunque di aggiornare certe regole di game design, di migliorare il concept.
    Abbiamo "prototipato" per noi stessi e presentato una proof of concept valida, che ha lasciato impressionato il publisher.

    Everyeye.it: Avevi pensato al gioco specificatamente per PsVita?
    Massimo: No, non necessariamente. Ovviamente il touch screen sarebbe servito, però in generale le idee mi vengono a prescindere dalla piattaforma. Alle volte non si tratta di voler sviluppare una determinata dinamica, piuttosto di voler esplorare un certo spettro emotivo, di raccontare una certa storia in un certo modo. A partire da questo "bozzetto" primordiale poi le cose prendono forma e solo allora si delinea in maniera quasi naturale la piattaforma più adatta.

    Everyeye.it: Mi è sembrato di vedere, nel look di Murasaki Baby, un po' di espressionismo tedesco del cinema dei primordi. Possibile?
    Massimo: Beh, sicuramente sì, quella è una delle fonti d'ispirazione assieme poi alle prime illustrazioni di Burton. Abbiamo comunque cercato di dare un tocco particolare a nostro modo. L'idea di una bambina con la bocca che si allarga sulla fronte ed i capelli che sembrano quasi delle molle arrugginite mi ha colpito subito quando i miei designer me l'hanno presentata, era affascinante, misteriosa e un po' macabra al tempo stesso.

    Everyeye.it: Murasaki Baby: perchè questo titolo?
    Massimo: Murasaki vuol dire "viola" in Giapponese. La "Bimba Viola", "Purple Baby": anche se avessimo optato per un'altra lingua, il titolo sarebbe stato lo stesso. Mi piace molto l'idea che questo palloncino a forma di cuore sia l'unica cosa colorata che alla bambina è concesso di trasportare nel mondo che le compete, quello in primo piano. E' come se questo palloncino viola fosse la bambina stessa, la identificasse e la qualificasse. Ecco il perchè del nome.

    Everyeye.it: Quando ti è servita l'esperienza pregressa come Game Designer?
    Massimo: Mi è servita tantissimo; non avrei mai potuto fare game design a questo livello se non fossi emigrato e non avessi avuto determinate esperienze.
    Al di là del fatto che avere contatti ed essere conosciuto è importante in questo mercato. Da questo punto di vista il titolo più utile è stato Shadow of the Damned: lavorare con Suda e Mikami ti mette in una posizione di esposizione mediatica privilegiata.
    Però anche creativamente parlando il fatto di aver lavorato in paesi diversi mi ha esposto a metodologie di lavoro e creatività molto diverse. Io sono sempre stato interessato ad argomenti molto surrealisti e grotteschi, la creatività giapponese e l'espressività visuale giapponese sono molto basate sul surrealismo e sull'astratto.

    "In occasione della visita agli studi di Ovosonico, i ragazzi del team hanno interpretato così il nome Everyeye. Clicca sull'immagine per ingrandire."

    Lavorare e vedere molti altri team indipendenti e artisti giapponesi, magari anche gente che non ha nulla a che fare con i videogame, mi ha ispirato tantissimo.
    Da divoratore anime e manga sin da quando avevo 10 anni non ero estraneo a quella cultura, ma era la prima volta che andavo in Giappone andavo a vivere e lavorare, e questo mi ha permesso di essere esposto ad un fantastico territorio creativo. Mi ritengo fortunato di poter elaborare questo mix multiculturale; anche Montreal è servito: lì c'è veramente di tutto e vivere in una città come quella ti permette di incontrare ogni tipo di situazioni.

    Everyeye.it: Quindi il consiglio è di emigrare?
    Massimo: Bhe, se il punto di partenza è quello di voler fare videogiochi, direi di sì. In Italia "i videogiochi" non ci stanno; al di là di Milestone non ci sta l'industria, non ci sta il mercato quasi, quindi per fare esperienza bisogna "alzare le chiappe" e buttarsi, mettersi in gioco: al limite ti sbattono la porta in faccia. A volte persone validissime e piene di talento non riescono ad esprimersi e trovare il canale giusto, e questo mi spiace molto.
    Non voglio dire che sia impossibile fare impresa in Italia, esistono aziende di successo nel nostro Paese. E del resto il 90% del mio team è italianissimo, ed il gioco non l'ho fatto io: l'ha fatto il mio team. Però per partire bisogna necessariamente avere una base, e per costruire questa base bisogna cambiare mentalità e aver voglia di fare esperienza in quegli ambienti che possono insegnarti qualcosa.

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