Intervista RockDude

Intervista a Daniele Pietrobelli, ex concorrente di Masterchef Italia e sviluppatore di RockDude, gioco per piattaforme iOS

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  • Se siete tra i tantissimi che seguono Masterchef, il talent show culinario la cui terza stagione va in onda ogni giovedì sera su Sky Uno, sapete già chi è Daniele Pietrobelli (aka Daniel Torcolato), e avrete anche un’idea del perché recentemente abbiamo fatto con lui una lunga chiaccherata telefonica. Per tutti coloro che invece non seguono lo show televisivo condotto dai tre giudici-chef, Barbieri, Cracco e Bastianich, ecco una buona ragione per leggere quanto segue.
    Daniele, 29 anni e originario di Schio (Vicenza), è un ragazzo dai molti talenti, e, sotto la patina tutto sommato tranquilla e introversa, nasconde in realtà un animo tanto irrequieto quanto creativo. Dopo un percorso universitario triennale nel campo dell’informatica, Daniele si è specializzato nel campo della Bioinformatica (se non sapete di cosa si tratta, Wikipedia può venirvi in aiuto) per poi trovare lavoro presso una ditta di Glasgow, in Scozia. Non contento, Daniele è successivamente riuscito a farsi assumere dal Sanger Institute di Cambridge, uno dei migliori centri di ricerca al mondo nel campo delle biotecnologie, protagonista della mappatura del genoma umano. Poteva sembrare una delle tante storie di “cervelli in fuga” dal nostro paese, ma poi qualcosa è cambiato.
    Abbiamo visto Daniele superare brillantemente le selezioni di Masterchef, competere per una puntata e poi lasciare la cucina, ma soprattutto, durante le presentazioni, l’abbiamo sentito dire “sono uno sviluppatore di videogiochi”. La cosa non poteva non stuzzicare la nostra curiosità, dunque abbiamo raggiunto Daniele e abbiamo fatto con lui una lunga chiaccherata.

    L’intervista

    Daniele, dal Sanger Institute alla cucina di Masterchef, mentre in parallelo sviluppi videogiochi. E’ davvero un grosso salto, puoi raccontarci come è successo?
    A dire il vero, già durante il mio periodo a Glasgow avevo coltivato l’idea dello sviluppo software su iPhone. Addirittura, quando ho iniziato i colloqui al Sanger Institute, avevo maturato un piano preciso: se fosse andata male lì, sarei tornato in Italia, e avrei lavorato ad un gioco, possibilmente un RPG. Invece, l’assunzione è arrivata, e con essa anche la consapevolezza che si trattasse di un’opportunità unica. Prima che me ne accorgessi, lavorando al Sanger è trascorso un anno e mezzo. E, piano piano, mi sono reso conto che quella non era la realtà che volevo. C’era la certezza, ma non c’erano le cose di cui io avevo bisogno. Un’attività mia, un progetto.
    Ho cominciato a studiare la programmazione su iOS nel (poco) tempo libero dal lavoro. Studiando i framework, mi sono reso anche conto che le mie intenzioni erano serie, e nel marzo del 2012 ho fatto il grande passo, licenziandomi dal Sanger e tornando in Italia. Ero, e sono, convintissimo di quella scelta, ma non è stata facile. Dopo dieci anni di indipendenza, mi sono trasferito nuovamente a casa dei miei, e non si tratta di una scelta che mi rende fiero. Ho la grandissima fortuna di avere dei genitori che possono aiutarmi a realizzare il mio obbiettivo, e di questo sarà loro sempre grato, ma di certo la cosa comporta delle rinunce per tutti.

    Puoi dirci qualcosa del gioco, e di come è andato lo sviluppo?
    Si chiama RockDude, ed è uno sparatutto bidimensionale a scorrimento verticale, pensato naturalmente per le piattaforme mobile. Lo sviluppo ha avuto i suoi momenti “forti”, soprattutto a causa del mio eccessivo ottimismo. Una volta imparate le basi del framework, pensavo che non sarebbe stato difficile. I tutorial in rete abbondano, anche molto ben fatti, e ritenevo di poter chiudere la questione con quattro, cinque mesi di lavoro intenso. La realtà si è rivelata ben diversa, e mi ci sono dovuto scontrare. Avevo sottovalutato non solo la difficoltà della programmazione, ma anche il game design. Avevo fatto esperienza dei videogame solo come “giocatore”, e, come spesso succede, avevo completamente trascurato alcuni aspetti invece fondamentali. Anche la grafica mi ha dato diversi grattacapi: nonostante la bravura dei due disegnatori freelance con cui ho collaborato (Anna Chernyshova e Tommaso Spinetti), ho scoperto che comunicare le proprie necessità a livello di programmazione non è facile, e in ogni caso i bozzetti dovevo prepararli in prima persona. Insomma, nel complesso la mole di lavoro si è rivelata infinite volte più vasta di quanto avrei mai potuto immaginare, e conseguentemente i tempi di lavoro si sono dilatati. Quasi diciannove mesi per arrivare, finalmente, alla pubblicazione.

    In tutto questo, a Masterchef come ci sei finito?
    Il programma l’ho scoperto nel 2008, quando ancora vivevo in Scozia, e seguivo l’edizione inglese sulla BBC. Mi ispirava molto, e spesso cercavo di tirarne fuori delle idee originali per i miei piatti. In quella cucina, in un certo senso, mi ci sono sempre visto, ma all’epoca di sicuro non mi sentivo minimamente pronto per affrontare una prova del genere. Quando sono tornato in Italia, mi è capitato di vedere in TV un’intervista a degli ex concorrenti, nella quale si parlava anche dell’apertura dei casting per la terza stagione. Ho fatto domanda preso dalla curiosità, e dalla voglia di coronare quello che è sempre stato un mio sogno. Dopo un’intervista telefonica ho superato i pre-casting a Milano con una mousse al cioccolato, ma, arrivato alla fase di live-cooking, qualche dubbio mi è sorto. Ero già conscio di essere in ritardo con la programmazione di RockDude, e metterci di fianco anche una simile competizione di certo non avrebbe fatto bene al progetto. Anche in questo caso, il mio ottimismo ha avuto la meglio, e alla fine ho deciso di partecipare a Masterchef. Ne ho parlato molto con la mia ragazza e i miei amici, e mi sono reso conto che si trattava di un’occasione unica, irripetibile, e mi sono presentato alle successive fasi di selezione.

    Quindi hai messo in pausa i lavori su RockDude?
    Inizialmente pensavo di poterci lavorare nei “tempi morti”, tra una registrazione di Masterchef e l’altra. Anche in questo caso, mi sono trovato a fare i conti con il mio eccessivo ottimismo. Ho scoperto che la competizione è durissima, e lo stress a cui si viene sottoposti anche più intenso di quanto si potrebbe immaginare semplicemente guardando il programma. E, nonostante io mi ci sia dato anima e corpo, ho fallito quel Pressure Test, e sono andato a casa. Mi sono sognato quel momento per tutta la settimana successiva. Quando sei lì, l’unica cosa a cui pensi è che non vuoi andartene, ovviamente. Di certo, non alla prima puntata. Ho fatto anche questa esperienza, e in ogni caso mi rimangono dei bei momenti. Lo stesso vale per Margherita e Haeri, le altre due concorrenti eliminate insieme a me, entrambe, a mio parere, molto preparate. Peccato che non sia durata più a lungo, ma è andata così, e mi ha comunque concesso tanta visibilità, oltre a rappresentare già di per sé una bella esperienza. Tornato a casa mi sono concentrato completamente su RockDude, intenzionato a finire il prima possibile.

    Cosa ti porti dietro dell’esperienza a Masterchef?
    Sicuramente è bello confrontarsi con i giudici. Sono dei personaggi unici nel loro genere, e, per quanto nei limiti imposti dal programma, riuscire a scambiare qualche parola con loro è un’emozione. Nello specifico, anche probabilmente per le origini condivise, ricorderò sempre gli scambi con Carlo Cracco, che di certo è il giudice con il quale sono riuscito a parlare un po’ di più.

    Quali sono i tuoi progetti per il futuro, ora che RockDude è disponibile per l’acquisto su iTunes?
    Tutto dipende dal successo del gioco. Se ci sarà, cercherò di trovare altri collaboratori, e tra le mie mire c’è anche una serie a fumetti dedicata ai personaggi, un eventuale sequel, e, chiaramente, l’inserimento del gioco in un portfolio per propormi. Inoltre, ci sono in cantiere versioni di RockDude per Android e Mac, magari con una campagna IndieGoGo.

    Che tipo di giocatore sei? Hai un gioco preferito?
    Soprattutto negli ultimi anni, il tempo per giocare si è ridotto in maniera drammatica. Ho sempre avuto una passione sfrenata per i GDR e gli adventure, ma purtroppo la mia vita cozza con le ore da dedicare ai giochi. Tra le esperienza videoludiche più belle metto senza dubbio Zelda: Ocarina of Time. Ha rischiato di farmi bocciare, ma l’ho amato alla follia.

    RockDude ha un’importante componente musicale. Puoi parlarcene?
    Sì, per quanto si tratti sostanzialmente di uno sparatutto, RockDude si ispira al mondo della musica, e ho avuto la fortuna di poter collaborare con diversi musicisti che stimo molto. Tra questi c'è una band austriaca, che suona metal sinfonico, i Serenity. Sono riuscito a coinvolgere anche Gregory Pattillo, che ha unito dubstep e flauto classico, e Spencer Register, un artigiano di ocarine e musicista. Nel gioco, sono presenti come boss di fine livello, particolarmente difficili da sconfiggere, e durante i combattimenti si possono ascoltare i loro brani.
    In realtà, tutto in RockDude è collegato al mondo della musica, dalle “armi” (che sono in realtà chitarre elettriche), ai power up, tra gruppi di fan che fanno da scudo al protagonista, alla band, che può aiutare in caso ci sia necessità di maggiore “potenza di fuoco”. La colonna sonora è inoltre dinamica, e cambia in base alle prestazioni del giocatore, e al tipo di chitarra equipaggiato. Naturalmente, nuove chitarre potranno essere acquistate accumulando denaro virtuale durante il gameplay.

    RockDude, il gioco sviluppato da Daniele, dal 15 gennaio è disponibile per l'acquisto su iTunes, con supporto a iPhone, iPad e iPod Touch. Se la nostra intervista vi ha incuriosito, potete trovare qui tutte le informazioni.

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