Provato The Town of Light

Nato come un progetto universitario, The Town of Light è un'avventura psicologica tutta italiana, premiata come miglior progetto emergente alla Game Connection di Parigi nella categoria 'storytelling'.

Provato The Town of Light
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  • Pensato inizialmente come progetto universitario, The Town of Light, avventura psicologica tutta italiana, ha assunto ormai le forme di una vera e propria opera videoludica completa. Sotto la guida di Luca Dalcò, docente e programmatore toscano, lo studio LKA.it sta sviluppando però un gioco che dispone sotto certi aspetti anche di un carattere informativo e "di denuncia". L'intenzione è quella di raccontare, attraverso una sorta di fiaba nera interattiva, le brutali condizioni in cui riversavano i pazienti dei manicomi italiani nel secolo scorso, prima che la famigerata legge Basaglia ne imponesse la chiusura, regolamentando la gestione della sanità psichiatrica. The Town of Light non si piega al facile didascalismo e alla rappresentazione documentaristica, ma anzi cerca di veicolare i propri messaggi attraverso un'impostazione narrativa e ludica che sembra piuttosto solida già in quest'acerba fase di sviluppo, amalgamando realtà e finzione, lucidità e follia. A rassicurarci in tal senso è stata non solo la breve build ancora in alpha che abbiamo potuto provare, ma anche la premiazione come miglior progetto emergente alla Game Connection di Parigi nella categoria 'storytelling'.

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    L'ormai fatiscente ospedale psichiatrico di Volterra, luogo in cui si svolgono gli eventi di The Town of Light, è un complesso sanitario che esiste per davvero, e questo particolare rende il gioco ancora più disturbante. La storia della chiusura del suddetto centro a causa dei trattamenti inumani che venivano riservati ai pazienti rende discretamente inquietante la vicenda della protagonista, Renèe, che sin da subito intuiamo essere attanagliata della stretta della follia. Dopo aver aperto gli occhi tra le pareti di una camera di contenimento nella Volterra del 1942, ci risvegliamo d'improvviso molti anni dopo, accecati dalla luce del sole e intorpiditi, senza sapere ciò che sta accadendo. Muoviamo allora i primi passi in un parchetto ormai abbandonato, divorato dal fogliame incolto, da cui spuntano alcune piccole giostre per bambini, incrostate dalla ruggine. La prima, piacevole sorpresa di The Town of Light si scopre nel momento in cui si tenta di interagire con le altalene e gli scivoli del cortile, quando ci accorgiamo che la protagonista può utilizzarli alla pressione di un tasto. Quest'attenzione verso particolari che solitamente rimangono sullo sfondo, e che non aggiungono nulla di significativo all'esperienza in termini narrativi, rivela la gran cura riposta dal team nel rendere il mondo di gioco "vivo" e tangibile, senza considerarlo un mero riempitivo volto solo a creare un'atmosfera avvolgente ma mortifera. Simili, minuziosi dettagli danno adito a non poche speranze di poter godere, nel prodotto completo, di un titolo in cui l'ambiente sia parte integrante della vicenda, diventando dunque elemento partecipe dello svolgersi della storia, oltre che palcoscenico sul quale ci muoveremo. Conferme di quanto detto sopra s'iniziano ad intravedere nel momento in cui varchiamo la soglia dell'ex ospedale psichiatrico: l'edificio è in totale rovina, ma la sua aura di oppressione si respira da ogni pixel che lo compone. Metter piede oltre l'uscio del complesso ospedaliero fa avvertire il soffocante peso dell'angoscia, acuito dalla consapevolezza che gli orrori e i trattamenti disumani consumati tra quelle mura non siano frutto della fantasia degli autori, ma ispirati a fatti accaduti realmente, alla luce del sole. È proprio la luce l'elemento distintivo dell'atmosfera orrorifica che ci avvolge in The Town of Light: l'intera avventura trae spunto, infatti, dalle visioni di una ex paziente del centro psichiatrico, la quale associava l'idea della forte luminosità a quella della follia e della paura, tanto da definire il manicomio come "il paese della luce".

    C'è quindi una straniante dicotomia nel valore simbolico che luce e ombra assumono all'interno del gioco, sovvertendo i ruoli che il genere horror ha cristallizzato nel tempo, per cui l'oscurità è intesa come una minaccia e la lucentezza come una fonte salvifica. È dai racconti della paziente che il team ha tratto la caratterizzazione di Renèe, personaggio di fantasia nel quale però convivono le disturbanti esperienze di tanti altri malati e dei traumi da loro subiti nei poco ortodossi processi curativi. Molte di queste storie trovano spazio anche nelle diroccate stanze che compongono il manicomio, e il ritrovamento di documenti o lo scrutinio di pagine di chirurgia alternativa aiutano a svelare, come per la maggior parte delle avventure esplorative, il background narrativo. Benché sul fronte dell'atmosfera The Town of Light si faccia portavoce di sano coraggio nel voler sperimentare nuove forme di suggestione visive e sensoriali, dal punto di vista del gameplay sembra orientarsi verso meccaniche più tradizionali. Il progetto LKA.it è un classico gioco d'esplorazione in prima persona, in cui primeggia incontrastata l'analisi dell'ambiente: il senso di sfida è messo in secondo piano, essendo stato implementato un sistema di aiuti che fornisce indizi piuttosto espliciti su dove recarsi e quale azione compiere per proseguire. È una scelta, quest'ultima, che potrebbe trasformare The Town of Light in un semplice racconto interattivo che fa del coinvolgimento narrativo la sua unica ragion d'essere. Il rischio in giochi del genere sta tutto nella difficoltà di bilanciare, in assenza di altri elementi che intrattengano il giocatore, il ritmo delle scoperte e la presenza di stimoli che tengano altro l'interesse dell'utente. Ed ovviamente è sull'ambientazione che devono ricadere tutte le attenzioni del team di sviluppo. L'ospedale psichiatrico di Volterra diviene così il punto focale dell'opera, un luogo-non luogo che, manipolato dalle visioni della protagonista, cela tra le sue crepe numerose storie di abusi e di sofferenza. Nella brevissima demo da noi provata tutta la porzione di gioco era ambientata di giorno: l'essere riusciti ad incuterci la paura dell'ignoto, nonostante l'immagine fosse ben illuminata, non ci lascia molti dubbi sull'abilità del team nel suscitare forti emozioni, facendo leva non tanto sul timore di ciò che non si vede, quanto piuttosto sul quello che il nostro occhio può scrutare con chiarezza.

    Cartelle cliniche, strumenti chirurgici lasciati ad arrugginire su tavoli operatori e strani graffiti che dipingono le pareti sono tutti dettagli dello scenario posti in bella mostra, e di conseguenza la presenza della luce aiuta a svelare le mostruosità che vi si annidano, non a celarle. Si tratta però di mostruosità che non hanno nulla di sovrannaturale, tanto che gli sviluppatori ci tengono a definire il loro titolo come "un'avventura psicologica", in cui l'orrore è rappresentato dalla lucida spietatezza della realtà che si muta, agli occhi di Renèe, in un vero e proprio incubo. Osservando il manicomio dalla sua prospettiva ci imbatteremo in quelli che si possono considerare "interruttori emotivi", ossia specifici elementi del suo passato che attivano in lei pensieri e ricordi spiacevoli, grazie ai quali venire a conoscenza dei progressivi risvolti della trama. Sul finire della demo, siamo stati poi travolti da sequenze oniriche che hanno mutato l'architettura dell'ospedale: siamo indotti a pensare che quindi l'avventura si figurerà come un viaggio lisergico nella mente della protagonista.
    In un gioco che mira a sconvolgere e ad inquietare ispirandosi ad eventi e luoghi veramente esistiti, inoltre, il comparto tecnico deve provare ad essere, ovviamente, il più "realistico" possibile. Da un prodotto indipendente e da un engine come Unity non possiamo certo aspettarci miracoli, ma già nel codice alpha si intuisce la bontà dell'aspetto artistico e del sapiente uso dei giochi di luce, nonché dell'alto livello di dettaglio delle superfici. Particolarmente sorprendente è l'immagine trasandata della natura vorace, ormai pronta ad inghiottire il parchetto che porta ai padiglioni dell'ospedale: non siamo certo ai livelli del CryEngine, ma la qualità del primo impatto è notevole, oltre che sinceramente inaspettata. Non abbiamo dubbi quindi che il tempo rimanente prima dell'uscita sarà sfruttato per un lavoro di ripulitura e di ottimizzazione. Segnaliamo a chiosa la presenza di un brillante doppiaggio in lingua italiana e di una convincente, almeno per questa prima fase dell'esperienza, partitura musicale, che delicatamente accompagna l'esplorazione senza ricorrere a facili escamotage sonori volti a farci sobbalzare all'improvviso. Visti i temi trattati, basterà la realtà dei fatti a spaventarci.

    The Town of Light «Una volta ho spento la luce, ma il buio non è arrivato» sussurra la protagonista con un filo di voce al termine della demo, facendoci subito comprendere come la principale novità di The Town of Light sia quella di voler sperimentare nuovi meccanismi di paura, in cui l’oscurità ci rassicura e la luminosità, al contrario, ci intimorisce. Portare alla luce le aberrazioni, le crude verità, i terribili trattamenti che subivano i pazienti nei manicomi della prima metà del Novecento sembra essere quindi l’intento primario di Luca Dalcò: in questo senso, allora, mostrare, rendere evidente, “illuminare” quanto accaduto non può che suscitare quell'orrore che invece al buio, insabbiando o dimenticando tutto, finirebbe per svanire, perduto nei recessi della memoria e della noncuranza. Se da un lato l’atmosfera del gioco ci ha piacevolmente stupiti, dall’altro è ancora troppo presto per poter aver idee chiare su quanto l’esperienza ludica si manterrà coesa nella sua interezza.  Allo stato attuale, The Town of Light si presenta come un’avventura esplorativa dalle meccaniche piuttosto guidate, che invece di proporre qualcosa di nuovo sul fronte del gameplay prova a reinventare in parte alcuni stilemi orrorifici, immergendoci nei meandri di una mente malata e folle, per la quale provare però anche una delicata, tenera empatia. L’uscita è prevista per l’autunno del 2015: vedremo allora se The Town of Light ci inquieterà talmente tanto da indurci a dormire, di notte, con la luce spenta.

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