Recensione Astonishia Story

L'epica saga coreana arriva in occidente

Recensione Astonishia Story
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  • STORIA DI UNA SAGA

    Dalla sua prima apparizione (1994, anno in cui fu rilasciato l’omonimo gioco per PC), la serie di Astonishia Story ha proseguito la sua timida ma costante espansione sul mercato orientale senza destare troppo clamore: alla prima produzione seguirono difatti altri due titoli, Astonishia Story: Forgotten Saga (uscita nel 1997 sempre su PC) e Astonishia Story R rilasciata nel 2002 per GP32, console portatile coreana. Sembra però che, a lungo andare, i confini casalinghi siano diventati stretti alla softoco Sonnori, che solo nel 2005 decide di conquistare gli utenti statunitensi (e di conseguenza quelli europei) rivisitando e adattando la sua vecchia creazione al formato PlayStationPortable. Decisione azzeccata o passo più lungo della gamba? Giudicate voi...

    LA SOLITA MINESTRA

    La suggestiva sequenza iniziale, superbo spezzone in anime, introduce egregiamente il giocatore nella magica atmosfera dell’antico e arcano mondo di Astonishia. Sir Lloyd Von Roiental, prode cavaliere della Regione di Palmira, ha un’importante missione da compiere: scortare il sacro Scettro di Cainan e proteggere il convoglio che lo accompagna. Ma qualcosa va storto. Nel cuore della foresta la carovana cade vittima di un’imboscata sapientemente ordita dal misterioso Francis De La Cross, cavaliere mezzo uomo e mezzo elfo, che si impadronisce della santa reliquia uccidendo tutti i membri della spedizione. Miracolosamente scampato al massacro, Lloyd giura a se stesso di vendicare la morte dei suoi compagni e di riportare il maltolto ai suoi legittimi proprietari, iniziando una serrata caccia all’uomo che lo porterà a visitare ogni recondito angolo del globo.

    Niente di eccezionale dunque per quanto riguarda il profilo narrativo anche se, bisogna ammetterlo, la trama appena esposta rappresenta una sorta di standard con il quale gli appassionati di giochi di ruolo si confrontano da sempre. Se la storia non brilla per originalità, altrettanto stereotipato e ingessato all’interno dei soliti schemi è il gameplay. Astonishia Story ricalca alla perfezione tutti i cliché e le convenzioni dei classici giochi di ruolo vecchio stampo, offrendo al giocatore la solita miriade di azioni da compiere all’interno di scenari bidimensionali. Il personaggio principale, che racimolerà un team piuttosto sostanzioso man mano che proseguirà nell’avventura, può infatti muoversi liberamente sulla mappa e raggiungere di volta in volta la location che viene indicata dal copione. La parte più importante della struttura di gioco, come era lecito aspettarsi, è costituita dalle fasi di scontro con i nemici, gestite dal noioso quanto obsoleto combattimento a turni che colloca i due schieramenti contrapposti uno di fronte all’altro.
    Mostri e affini, a differenza di quanto accade in molti esponenti del ramo, sono ben visibili sulla world map, permettendo al giocatore di decidere se ingaggiare o meno il combattimento; una scelta questa, che si rivela sì molto apprezzabile ma che viene totalmente negata nei dungeons (foreste, caverne ecc.), la cui esplorazione viene sovente interrotta da fastidiosissimi scontri casuali.
    L’aspetto meno convenzionale del sistema di battaglia è costituito dalla suddivisione del campo di gioco in una sorta di scacchiera all’interno della quale ogni “pedina” può muovere un certo numero di passi a seconda del proprio raggio di azione (contrassegnato da un’area fluorescente) e del comando che vuole utilizzare: mentre per gli attacchi fisici è necessario porsi nello scacco immediatamente adiacente al bersaglio, gli incantesimi (perlopiù di natura elementale) e gli oggetti da lanciare possono essere scagliati ad una distanza maggiore tenendosi, ove possibile, lontano dalle grinfie degli avversari. Questo elemento, che avrebbe potuto costituire un valido espediente per affrontare ogni combattimento in maniera più strategica e ponderata, è stato purtroppo sviluppato in maniera molto marginale, poiché, soprattutto a causa della grande quantità di oppositori da neutralizzare, nellastragrande maggioranza dei casi risulta molto più semplice e veloce annientare subito tutti i nemici anziché perdere tempo, ma soprattutto turni, a muoversi in lungo e in largo per accerchiarli.

    Alla fine di ogni battaglia, sancita dalla caduta di uno dei due schieramenti o dalla rovinosa fuga del party (opzione disponibile solo se ci si trova abbastanza lontani dagli antagonisti), punti esperienza, soldi ed oggetti vengono divisi equamente tra i personaggi, ad eccezione di colui o colei che ha inflitto il maggior numero di danni che si accaparra un bonus esperienza tutto suo. Le abilità di ciascun character, diverse e univoche a seconda delle caratteristiche fisiche e “razziali” del personaggio (cavaliere, lottatore, nano, mago, elfo ecc.), vengono apprese automaticamente man mano che si avanza di livello, escludendo ogni possibilità di agire personalmente sulla curva di apprendimento e lasciando così una punta di amarezza al giocatore che, impotente, non può far altro che accettare i potenziamenti che vengono arbitrariamente stabiliti dal level up. Alle fasi di esplorazione (con annessi combattimenti) si alternano quelle di permanenza, più o meno lunga, nelle varie locazioni come, ad esempio, città e villaggi. Qui il giocatore, come vuole la tradizione, può riposarsi dormendo nella locanda di turno, comprare armi, oggetti ed equipaggiamenti nei negozi, parlare con i cittadini, entrare nelle case, aprire forzieri e attivare una delle numerose subquest che di volta in volta gli viene proposta (salvare damigelle, riportare oggetti rubati ecc.): contrariamente ad ogni logica, queste non possono essere ignorate ma, al contrario, quasi tutte sono indispensabili al proseguimento della storia. A farne le spese è purtroppo la trama principale che, a causa delle molteplici missioni secondarie, tende a scendere in secondo piano già dai primi minuti di gioco tant’è vero che, arrivati ad un certo punto, viene da chiedersi che fine abbiano fatto i ferrei propositi di Lloyd. La stessa sensazione di trascuratezza e superficialità viene avvertita nei confronti dei personaggi che si uniscono al gruppo, o per meglio dire che vanno e vengono, caratterialmente poco definiti e spinti a lottare a fianco del protagonista perché mossi da interessi personali. Tutti questi difetti di sceneggiatura, impediscono all’utente di sentirsi pienamente coinvolto nelle vicende narrate e, di conseguenza, non offrono il benché minimo incentivo a riprendere in mano il gioco una volta finito (il che richiede una ventina di ore circa).

    Perfettamente in regola con gli archetipi dei vecchi giochi di ruolo, oltre alla presenza di qualche sketch veramente esilarante (fantastico quello dell’omino che sbuca dalla foresta e vi chiede se state giocando con la copia originale del gioco!!), è il comparto tecnico: discreto se si considera che si tratta di un gioco che ha sulle spalle ben 12 anni ma assolutamente antiquato per gli standard videoludici del momento. Le locazioni (perlopiù villaggi, caverne, foreste e città) nascondono spesso passaggi segreti e sono molto gradevoli, ben diversificate e magnificamente caratterizzate da numerosi dettagli e particolari, alcuni dei quali persino in movimento come fili d’erba, fiori, fumo di camini e quant’altro. La luminosissima e variopinta palette di colori utilizzata in questa produzione contribuisce alla creazione di un’atmosfera fiabesca, irreale così come il character design tradotto in minuscoli e fumettosi pupazzetti deformati in pieno stile manga. Lo stesso non può dirsi dei nemici, quasi tutti legati alla sfera animale (es. lupi, orsi, pipistrelli, serpenti, uomini) e spesso condizionati dai più tradizionali canoni fantasy (es. troll, folletti e stregoni), che si presentano esteticamente poco curati e differenziati. Il sonoro nel suo complesso si difende benino, nonostante sia composto da musichette frivole ed orecchiabili, queste risultano piuttosto variate e perfettamente aderenti all’atmosfera spensierata del titolo. A parte qualche piccolo rallentamento durante le battaglie e la presenza di irritanti caricamenti tra gli ambienti interni e quelli esterni, il gioco scorre in maniera abbastanza fluida senza grossi problemi.

    Astonishia Story Astonishia StoryVersione Analizzata PSPAstonishia Story, per farla breve, rappresenta il classico gioco di ruolo vecchia scuola in tutto e per tutto ma con qualche pecca di troppo che lo rende un prodotto piuttosto mediocre. A cominciare dalla trama (decisamente poco coinvolgente), passando per l’obsoleto gameplay governato in maniera indiscussa da noiosissimi scontri a turni per poi arrivare fino ai tanti, tantissimi dialoghi soporiferi; intramezzati per fortuna da alcune scenette comiche veramente lodevoli. Si tratta di un titolo soverchiato da meccaniche di gioco certamente sorpassate ma non per questo del tutto prive di attrattiva; un titolo che invece di trarre forza da un gameplay consolidato e generalmente condiviso (soprattutto perché immediato ed intuitivo) ne fa il suo più grande difetto. Eppure c’è del buono in questa produzione, qualche idea brillante che, sviluppata con maggiore accortezza (ad es. il sistema di combattimento su griglia) ed attenzione, avrebbe potuto sollevare le sorti dell’ultima fatica Sonnori inesorabilmente destinata a diventare uno dei tanti prodotti senza nome che annoverano su PsP.

    5.5

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