Black Mirror Recensione: un'avventura horror dalle tinte gotiche

Nato come reboot della serie di titoli point & click uscita nel 2004, il nuovo Black Mirror è un'avventura gotica debole e poco ispirata.

Black Mirror Recensione: un'avventura horror dalle tinte gotiche
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Alle volte non basta semplicemente citare Edgar Allan Poe o H.P Lovecraft per dar vita ad un'avventura gotica e spettrale, dove ad ogni passo si percepisce un brivido, un sussulto di angoscia e terrore. Alle volte non basta porre come sfondo un maniero d'altri tempi, sfarzoso e barocco, circondato dalla perenne penombra, per creare ansia, panico e spavento. Alle volte occorre un guizzo, un'intuizione artistica, una personalità: tutti fattori che, tristemente, aleggiano in Black Mirror come fantasmi intangibili. Ne avverti la presenza, a tratti sembra quasi tu riesca a toccarli, ma poi svaniscono nel nulla, lasciandoti con un profondo senso di vuoto e di straniamento.
    Pensato come un reboot dell'omonimo point & click datato 2004 e capostipite di una validissima trilogia, questo "nuovo" Black Mirror fallisce proprio laddove il suo antenato ha avuto successo: imbastire un'atmosfera lugubre e fascinosamente malvagia. È strano pensare che un team come KING Art - che ha saputo deliziarci in passato con quel piccolo capolavoro di The Book of Unwritten Tales 2 - abbia commesso un errore così grossolano, quasi da "novellino" del genere.
    Black Mirror cerca infatti di proporsi come un ammodernamento delle meccaniche punta e clicca, ma finisce per trasformarsi in un banalissimo "investigativo", dove conta più lo spirito di osservazione che la materia grigia. Dall'episodio originale, insomma, questo capitolo recupera solamente il nome e qualche vaga, citazionistica reminiscenza narrativa: i due titoli, purtroppo, non hanno davvero nient'altro in comune.

    Il ritorno della famiglia Gordon

    "Sgathan Dubh", in gaelico, significa "specchio oscuro". Ed è proprio così che è chiamata anche l'antica dimora della famiglia Gordon: giungendo sugli altopiani scozzesi, nei primi anni del novecento, il giovane David si reca nella suddetta magione dopo la prematura scomparsa del padre, allo scopo di discutere le ultime questioni ereditarie. Neanche a dirlo, proprio come avveniva nel capitolo d'esordio, il protagonista - afflitto da strane "visioni" - verrà invischiato ben presto in una sordida trama, fatta di indissolubili legami di sangue, presenze ostili, ed arcane maledizioni famigliari. La casata dei Gordon, di cui David è ovviamente un discendente diretto, porta sulle sue spalle il peso di insopportabili atrocità, di misteri che verranno svelati poco alla volta. Non c'è nulla, nella storia di Black Mirror, che trasudi un pizzico di originalità: tutto è noiosamente prevedibile, eccessivamente piatto nel suo classicismo di maniera. Da una parte l'architettura della casa è ariosa e soffocante al contempo, inghiottita dall'oscurità e costellata da dipinti alquanto inquietanti; dall'altra i personaggi incarnano i perfetti stereotipi dei racconti dell'orrore, dal protagonista furbo e intraprendente al maggiordomo che "sapeva troppo", passando per un'anziana dama che - dall'alto del suo orribile aspetto - sembra nascondere troppa polvere sotto il tappeto. Black Mirror è un trionfo di cliché, e neppure un'oncia di mal riuscito humor inglese riesce a salvare uno script parecchio elementare. Soltanto avvicinandosi alla conclusione sale a galla un barlume di inventiva, con qualche colpo di scena ben assestato che, tuttavia, continua a lasciare un po' d'amaro in bocca.
    Considerati alcuni risvolti narrativi, d'altronde, la sensazione è che la sceneggiatura avrebbe potuto raggiungere vette ben più elevate, mentre invece è rimasta pavidamente rannicchiata, per troppo tempo, all'ombra della mediocrità. Sarà dunque piuttosto difficile lasciarsi coinvolgere dalle disavventure di David Gordon, intenzionato a far luce sull'infausto destino di suo padre e della sua famiglia: ci muoveremo quindi lungo i tetri saloni della magione con pigrizia ed inerzia, alla ricerca del prossimo indizio utile per proseguire nel racconto.

    Attraverso lo specchio

    Black Mirror, a livello ludico, non è un "punta & clicca" tradizionale, bensì un'avventura investigativa in tre dimensioni, in cui potremo vagare in (quasi) totale libertà all'interno delle mura domestiche, interagendo con gli oggetti dello scenario, leggendo note lasciate "casualmente" in bella vista, dialogando con gli inquilini e trovando le giuste combinazioni per aprire serrature prima bloccate.

    Dagli adventure "vecchia scuola", però, il nuovo Black Mirror eredita la suddivisione in diversi "quadri", da scrutare con circospezione: questa struttura un po' all'antica è resa insopportabile da continui e lunghissimi caricamenti che inframezzano il passaggio da una stanza all'altra dell'abitazione.
    Provate soltanto ad immaginare di dover attendere circa 15 secondi per passare dal salotto alla cucina adiacente: in un genere che fa del backtracking uno dei suoi capisaldi, una simile problematica tecnica preclude gravemente il piacere dell'esplorazione.
    Meglio non soffermarsi troppo, inoltre, sulla pessima telecamera di gioco, che si prodiga in inquadrature capaci di modificare costantemente la prospettiva, mostrandoci spesso gli angoli più inutili e celandoci alla vista gli elementi interattivi. L'orientamento viene pertanto reso molto più complesso, al pari degli spostamenti dell'avatar: nei corridoi più angusti e stretti, dove basta una piccolissima sollecitazione della levetta analogica per entrare in una stanza invece di un'altra, l'errato posizionamento della telecamera, in combo con i secolari tempi di caricamento, causa un forte senso di fastidio e frustrazione.
    Disgraziatamente, è proprio la formula di gioco a suggerire un approccio "esplorativo" all'avventura. Buona parte del tempo sarà dedicata all'analisi di indizi, alla raccolta di oggetti e alle conversazioni con i personaggi, mentre pochissimo spazio verrà riservato alle fasi puramente "enigmistiche", con cui allenare il cervello e sfruttare un po' di pensiero laterale.

    Generalmente piuttosto semplice e tutt'altro che impegnativa - se si escludono un paio di puzzle più rifiniti - la progressione è scandita anche da piccolissime sequenze maggiormente dinamiche, di solito legate alle visioni mistiche di David, nelle quali occorrerà trovare il corretto tempismo per interagire al momento giusto con i fantasmi presenti sulla scena. In caso di fallimento, verremo puniti con un game over assai doloroso: non solo perché ci toccherà aspettare nuovamente il completamento di biblici loading screen, ma anche perché spesso l'autosalvataggio ci costringe a ricominciare da un punto abbastanza precedente rispetto a quello del nostro decesso, obbligandoci persino ad affrontare di nuovo un enigma già risolto. Come se non bastasse, anche sul fronte tecnico, Black Mirror è un mezzo disastro. Animazioni mal collegate tra di loro, espressioni facciali aberranti, glitch di ogni genere ed una sporcizia visiva davvero imperdonabile: nel fatiscente maniero scozzese, quindi, è da molto tempo che qualcuno non entra a fare un po' di pulizie. Discreto, d'altro canto, il sistema di illuminazione, capace di risaltare i pochi scorci realmente fascinosi, valorizzando in tal modo l'arredamento della dimora dei Gordon, coi suoi ampi e lussuosi saloni e le sue lerce cantine infestate dai ragni.
    Benché non raggiunga neppure lontanamente la bellezza e la varietà del suo progenitore, l'art design di questo Black Mirror è comunque soddisfacente, caratterizzata da una verve architettonica che finisce sfortunatamente per passare in secondo piano, schiacciata com'è da tutti i limiti di natura grafica. Scintille di qualità emergono invece sia dal doppiaggio in lingua inglese (orribilmente sottotitolato in italiano, tra errori grammaticali ed intere frasi non tradotte), sia dalla piacevole colonna sonora, orchestrata con garbo ed eleganza.
    È un gran peccato, insomma, che un tale potenziale "evocativo" sia stato sprecato in modo così ingenuo, senza che neppure il comparto audio-visivo riuscisse a risollevarne le sorti. Il motivo per cui un team come KING Art, composto per lo più di professionisti ed esperti del genere, non sia stato capace di sfruttare un immaginario talmente suggestivo è l'unico enigma che non siamo riusciti a risolvere.

    Black Mirror Black MirrorVersione Analizzata PlayStation 4Il nuovo Black Mirror è un’avventura priva di mordente, debole sul fronte narrativo e zoppicante su quello ludico. Pur volendo soprassedere dinanzi a problematiche tecniche profondamente invalidanti (per le quali possiamo sperare in una patch correttiva), nulla riuscirà comunque a salvare il povero David Gordon dalle spire di una storia stereotipata e raccontata in modo piuttosto confuso. Invece di stimolare adeguatamente il nostro intelletto, l’opera di KING Art preferisce focalizzarsi sul ritrovamento degli indizi e sulle dinamiche esplorative, rese insostenibili da caricamenti troppo lunghi e frequenti. L’unico aspetto degno di nota consiste ancora una volta in un’atmosfera gotica sempre intrigante, nonostante il pigro classicismo che la sorregge. Senza “rispecchiare” gli standard qualitativi dei punta & clicca d’un tempo, pertanto, questo reboot rappresenta solamente uno sbiadito “riflesso” del primo Black Mirror.

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