Recensione Bleach: Dark Souls

Hollow e Shinigami dalla Seireitei al vostro DS

Recensione Bleach: Dark Souls
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  • La fragola e la morte, capitolo secondo

    Sega e Treasure solo un anno fa hanno graziato il pubblico occidentale con il bellissimo Bleach: The Blade of Fate, picchiaduro basato sulla celebre serie giapponese Bleach (il manga è edito in italia da Planet Manga), nata dalla matita del talentuoso Tite Kubo.
    Contravvenendo al trend dettato da anni dal dio dei tie-in, complice l'esperienza del talentuoso team di programmatori, Bleach: the Blade of Fate è riuscito a ritagliarsi un certo successo, imponendosi come uno dei migliori picchiaduro portatili degli ultimi anni.
    Grazie ad Halifax è ora disponibile nei negozi, con "solo" un anno di distanza dall'uscita giapponese, anche Bleach: Dark Souls, seguito diretto della fatica Treasure.
    Ambientato al termine dell'arco narrativo della Soul Society, questo sequel conta su un certo numero di assi nella manica che lo rendono a priori un acquisto obbligato per gli amanti del proprio predecessore, tra cui una nuova e più appagante modalità storia e addirittura un roster rivisto e corretto, che conta ora praticamente il doppio dei personaggi selezionabili. Questo secondo aspetto in particolare merita grande attenzione, e dimostra la volontà di creare un titolo ancor più completo e corposo, che sia più di un semplice more of the same, come fin troppo spesso accade nel mondo dei picchiaduro
    Vediamo dunque se è davvero oro quello che luccica.

    Bleach Ultimate Stars

    Dopo l'inevitabile canzoncina giapponese accompagnata dal tipico slideshow di immagini statiche (perchè non inserire una delle bellissime sigle dell'anime?), verremo accolti dal menu principale, popolato da un buon numero di opzioni.
    Chi ha già già sviscerato The Blade of Fate non potrà che rimanere leggermente deluso dall'assenza di nuove modalità significative, cui si aggiunge addirittura l'assenza del riuscitissimo Challenge Mode, eliminato probabilmente a causa del nuovo, enorme cast.
    L'attrazione principale di questo titolo in single player è lo Story Mode come anticipato poco fa ambientato alla fine dell'arco della Soul Society. Tralasciando la trama, di qualità piuttosto pretestuosa e trascurabile, questa modalità è decisamente ben fatta: piuttosto che affrontare uno scontro dopo l'altro, dovremo muoverci su una specie di mappa da cui selezionare varie sfide. Superandole si apriranno nuove strade e otterremo vere e proprie chiavi grazie a cui aprire percorsi alternativi. A rendere le cose più divertenti troviamo alcuni livelli in cui dovremo svolgere compiti piuttosto inusuali, tra cui la raccolta di oggetti entro un dato limite di tempo, missioni in cui guarire compagni feriti o addirittura sfide atletiche in cui vinceremo se riusciremo a saltare più volte dell'avversario.
    Come queste bizzarrie si integrino con il gameplay senza trasformare il titolo in un clone di Jump Super/Ultimate Stars, avremo modo di analizzarlo meglio durante la disamina del gameplay.
    Tornando alle modalità di gioco, oltre ai soliti arcade, survival e versus, va segnalata la possibilità di giocare anche questa volta online. Fino a quattro giocatori potranno sfidarsi via etere dopo aver scambiato i soliti codici amico. La modalità Wi-Fi funziona bene, e a patto che si disponga di una connessione veloce e della pazienza di scambiare ancora una volta numeri via msn prima di iniziare le partite.

    Giù, avanti, pugno.

    Bleach è un picchiaduro a tre tasti. Gli attacchi verranno portati da X, Y, e A, rispettivamente colpo debole, medio e potente. B è il tasto del "passo lampo" utile per spostarsi rapidamente alle spalle dei nemici e per cancellare attacchi basi e avanzati in modo da concatenare lunghe combo. Potremo eseguire tanti passi lampo quanti saranno i misurini carichi nella parte bassa dello schermo (tre al massimo), ma attenzione, eseguendo mosse con il tasto dell'attacco potente, bruceremo uno di questi misurini, e dovremo aspettare che si rigeneri.
    Non potevano poi mancare le mosse speciali che consumano un misurino di energia spirituale, posizionato questa volta nella parte alta dello schermo. Queste special sono di due tipi: consumano una sola barra oppure, nel caso dei bankai o di altre combinazioni particolarmente potenti, tre.
    Già questi elementi basterebbero, insieme a doppi salti e corse in aria, a creare un gameplay che punta all'equilibrio improbabile tra azione oculata e caoticità.
    E invece Treasure ama strafare, e ha aggiunto un secondo piano su cui combattere, cui potremo accedere premendo il tasto L. Fondamentalmente questa scelta serve a facilitare la gestione dei combattimenti tra quattro personaggi, che potranno quindi all'occorrenza eseguire uno "shift" e passare sullo sfondo, schivando raggi e mosse che affollano lo schermo in primo piano. A causa della necessaria "libertà di movimento" derivata dalla presenza di così tanti avversari, l'azione di parata è affidata al tasto R.
    Tutti questi aspetti erano già presenti in The Blade of Fate. Le novità più eclatanti in questo sequel si limitano ad un diverso modo di eseguire le prese, che ora saranno effettuate premendo due tasti di attacco.
    Diversa è anche la disposizione delle card utilizzabili in combattimento come Power Up: anche in Dark Souls potremo acquistare carte (o sbloccarle) nel negozio di Urahara per potenziarci aumentando la nostra velocità oppure capacità di rigenerazione, o ancora indebolendo il nemico facendogli svuotare la barra dello spirito o impedendogli di eseguire il passo lampo per alcuni secondi. Le carte sono state ovviamente aumentate, e ne verranno visualizzate sul touch screen 4 invece che 2, in modo da poter costruire strategie ancora più complesse per chi volesse imparare a padroneggiarne l'uso. E' proprio l'uso di queste card che fornisce al titolo un pizzico di pepe in più, specie durante lo Story Mode, in cui saremo "costretti" ad elaborare strategie particolari allo scopo di superare le sfide più bizzarre.

    Il Cast

    Le poche novità nel sistema e nelle modalità di gioco creano un palco familiare in cui far scendere in campo tutta una folta schiera di nuovi guerrieri.
    Purtroppo i lettori del fumetto dovranno aspettare per interpretare i Vizard o gli Espada, ma sicuramente aggiunte come Rangiku, Ikkaku, Urahara sono solo alcuni dei nuovi character disponibili che sicuramente manderanno in delirio i fan della serie. Non è però solo dal punto di vista del fan-service che bisogna ragionare. Da un lato bisogna ammettere come molti nuovi character siano davvero ben fatti, dotati di un roster di mosse in grado non solo di integrarsi perfettamente con i vecchi combattenti, ma anche di introdurre qualche nuovo elemento che strizza l'occhio a titoli come Guilty Gear. Isuzu, ad esempio, gioca di prese e counter, mentre Rangiku è capace di evocare nubi di cenere che si comporteranno alla stregua delle "option" degli sparatutto, o ancora Hanataro possiede mosse curative e una barra aggiuntiva per decretare quando la sua zanpakuto può danneggiare l'avversario.
    Alcuni vecchi personaggi sono stati riveduti e corretti, guadagnando nuove mosse o modificandone di già esistenti. Clamoroso, in senso positivo, è il caso di Kenpachi, dotato di uno sprite e un moveset completamente nuovi.
    Dall'altro lato però abbiamo un larghissimo numero di personaggi deboli o "comici", praticamente inutilizzabili in combattimento. Sotto un'ottica complessiva, quindi, malgrado le numerose aggiunte il roster Dark Souls risulta paradossalmente peggiore di quello The Blade of Fate; inutilmente maggiorato, aggiunge ben poco, compromettendo il bilanciamento del gameplay con troppi personaggi inutilizzabili.

    Il tasto dolente

    Con l'analisi del comparto tecnico tocchiamo quello che è senza dubbio il tasto più dolente del titolo.
    Il motore grafico era l'unico elemento stonato in una composizione altrimenti perfetta in The Blade of Fate.
    Purtroppo la situazione è peggiorata, e non di poco. I nuovi personaggi sono realizzati da sprite di buone dimensioni, dettagliati e animati in modo sorprendentemente fluido, ma con alcune eccezioni, tutto il vecchio roster è rimasto intatto. Vedere Rangiku Matsumoto scontrarsi con Ichigo Kurosaki, ad esempio, genera non poche perplessità, e questo non a causa della procacità della shinigami ma perchè lo sprite del protagonista è visibilmente più vecchio, dotato di contorni più doppi, e di un set di animazioni più legnoso; basta lasciare i due personaggi fermi per rendersene conto.
    La mancanza di coerenza è accentuata da un altro grande paradosso: il riciclo spietato di cui è vittima il titolo vede riutilizzati anche tutti i vecchi fondali, ma la cosa assurda è che i nuovi sono pochi e realizzati in modo veramente antiestetico. Grigi, asettici, squadrati, fuori contesto.
    Stesso discorso per il comparto sonoro. Quasi tutta la bellissima vecchia colonna sonora è stata trasposta in Dark Souls, affiancata però da nuovi brani davvero poco ispirati, quasi fastidiosi da ascoltare. Fastidiosi, non c'è altro modo di definirli, come il doppiaggio inglese, anonimo e banale, peraltro copiato pedissequamente da The Blade of Fate.
    E di conseguenza, mentre in passato era una gioia passare ore sbloccando nuovi colori per i personaggi, musiche e disegni nella galleria e sfondi per il menu, adesso diviene quasi un peso.

    Bleach: Dark Souls Bleach: Dark SoulsVersione Analizzata Nintendo DSQuello che manca a Bleach: Dark Souls è la coerenza. Il gameplay quasi completamente immutato è un colpo sicuro, per gli amanti dei picchiaduro, così come i fan più accaniti del manga, ma sarà dura passare con leggerezza sugli squilibri del roster, e ancor più sull'operazione di riciclo pesantissima di sfondi e personaggi. Immaginate quello che ha fatto Capcom con Morrigan, inserendola in una serie di titoli in cui il suo stile grafico sfigurava completamente, ed applicatelo a metà del gioco. Metà dei personaggi, ma sopratutto metà degli sfondi e delle musiche. Sega delude, lascia con l'amaro in bocca. Bastava poco a sfornare un altro capolavoro, e invece quel che resta è un titolo che ci sentiamo di penalizzare fortemente, valutandolo come appena più che sufficiente malgrado l'incredibile potenziale inespresso. Alla fine, soltato un more of the same.

    7

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