Recensione Call Of Duty: World at War

Il ritorno in guerra di Treyarch

Call Of Duty: World at War
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • PS2
  • Xbox 360
  • Wii
  • PS3
  • Pc
  • Appuntamento fisso

    L'era videoludica moderna, all'interno della quale ci par giusto considerare anche la precedente generazione di console, ci ha ormai abituati alla cruda realtà del mass market. Trasformato in pochi anni in un vero e proprio fenomeno culturale, il videogioco si è poco a poco assuefatto alle leggi del dio denaro, e le politiche di produzione e distribuzione, molto spesso, sembrano ricercare le facili vendite più che il sistema di saziare la fame ludica ed artistica del consumatore.
    Per alcune produzioni abbiamo dunque interiorizzato comportamenti abitudinari quali, ad esempio, attendere un sequel all'anno.
    Nella folta schiera di tali titoli troviamo anche Call of Duty, storico brand improntato sulle vicende della seconda guerra mondiale e sviluppato, a primavere alterne, da Infinity Ward e Treyarch.
    I primi, grazie a Call of Duty 2 (primo esponente della serie ad apparire su piattaforme Next Gen) ed “sua maestà” Call of Duty 4: Modern Warfare, hanno dimostrato ampiamente di sapere il fatto loro, integrando atmosfere coinvolgenti ed interessanti trovate per ravvivare una struttura di gioco fra le più abusate degli ultimi anni.
    Altrettanto non si può dire di Treyarch (il team ombra, se vogliamo) che, dopo la fredda accoglienza che il pubblico ha riservato alla terza incarnazione del brand bellico, è in cerca di riscatto.
    L'occasione si chiama Call of Duty: World at War, quinto episodio della saga (nonché primo ad abbandonare la numerazione) disponibile nei negozi dal 14 Novembre.

    Vivere la Storia

    World at War basa le sue fortune narrative sugli stilemi più classici della produzione. Le vicende a sfondo della frenetica azione di gioco saranno infatti raccontate da due diversi punti di vista, quello di un soldato russo e quello di un soldato americano.
    I due fronti, sebbene diametralmente opposti, vedranno impegnati i due schieramenti nel comune scopo della vendetta: gli americani nel Pacifico in seguito all'attacco di Pearl Harbor e i russi dediti alla rivincita dalla liberazione di Stalingrado alla marcia su Berlino.
    Gli intermezzi narrativi uniscono le solite immagini di repertorio (commentate dai protagonisti del gioco), ad alcune schermate in una scheletrica grafica tridimensionale, capace, grazie ad un layout semplice e chiaro, di rendere precisa e specifica come mai prima d'ora la cronaca degli eventi, sottolineando i progressi delle operazioni e lasciando ai numeri (dei caduti, dei mezzi impiegati) il compito di sottolineare la brutalità del conflitto.
    Si deve riconoscere a Treyarch un buon lavoro di progettazione: le locazioni e le campagne non sono scelte a caso, cercano di vivacizzare la progressione grazie al fascino della contrapposizione: il mistero dell'Oriente da una parte ed il classicismo dell'Europa dall'altra (e, come vedremo in seguito, anche il gameplay viene influenzato di riflesso da queste due volontà: di marcato sperimentalismo e di classica adesione agli stilemi più consueti).
    Gli specifici eventi accaduti in queste frazioni del pianeta sono inoltre carichi di un'emotività che trasuda durante l'intera opera del team californiano e che, nonostante tutto, è capace di immergere il giocatore in un'avventura davvero intensa. Durante la decina di ore utile al completamento della campagna single player il giocatore si scontrerà con la determinazione d'acciaio dell'esercito imperiale giapponese, con il cameratismo statunitense e con il forte patriottismo russo.
    Non manca, purtroppo, la concezione tipicamente americana del fine che giustifica i mezzi.
    Pochi saranno gli spazi per le riflessioni interpersonali (mostrate, ad esempio, in Brothers in Arms: Hell's Highway), in antri narrativi inevitabilmente incapaci di mostrare la vera natura della Guerra.
    Non pace, non speranza, non libertà, dunque: unicamente massacro.

    Scende in campo la "scriptata" ditta

    Impugnato il pad ci si accorge immediatamente delle similitudini che legano World at War ai suoi predecessori, in particolare al terzo capitolo, sviluppato non a caso dagli stessi Treyarch.
    La struttura portante dell'intero gameplay è rimasta inalterata: ogni sezione presenterà diversi obbiettivi legati quasi sempre dall'iter comune “raggiungi l'area-ripuliscila-difendila-passa alla successiva”.
    Il percorso, talmente lineare da presentare addirittura barriere invisibili a limitare l'esplorazione, è costellato da script utili alla realizzazione di una spettacolare consequenzialità negli eventi (il bombardamento di un edificio non appena si sia ripulito l'ultimo piano, ad esempio) che mantiene il giocatore incollato allo schermo.
    Questo sistema decisamente datato si rivela vincente solo in prima battuta, in quanto effettivamente in grado di lasciare a bocca aperta anche il player più navigato.
    Nel momento in cui si affrontano invece situazioni “normali”, di semplice progressione e scarso respiro -ovvero nella gran parte del gioco- la tiritera dei checkpoint e del respawn infinito dei nemici (fino al raggiungimento dell'imprescindibile medaglia posta sulla mappa) risulta molto frustrante e sempre più inadatta alle esigenze di una generazione in continua evoluzione.
    Altrettanto inadatta risulta la limitatezza nell'interazione con i fondali, depredata persino degli algoritmi che in Modern Warfare permettevano il fuoco attraverso i materiali meno resistenti.
    Fortunatamente la campagna a stelle e strisce nel Pacifico riesce a far spirare ancora una timida brezza rinfrescante sull'impianto ludico di World at War.
    Le aggiunte caratterizzanti consistono nell'introduzione del lanciafiamme, con il quale incendiare la vegetazione circostante e stanare i soldati camuffati al suo interno, ed interessano poi il particolare comportamento delle milizie giapponesi.
    Alla stregua di quel che ci hanno tramandato i testi storici, infatti, questi integerrimi soldati non esiteranno un istante nel compiere gesti estremi come gettarsi a capofitto nel fuoco nemico o farsi saltare in aria pur di servire la loro patria.
    In questa parte di campagna dovremo perciò aspettarci un nemico invisibile, nascosto tra nell'erba, avvezzo a tendere imboscate ed inaffidabile persino nel momento della resa.
    La ripetitività dell'azione scriptata è fugata in maniera abbastanza efficace da alcuni intermezzi altamente coinvolgenti e spettacolari, tra i quali non possiamo esimerci dal menzionare il “cecchinaggio” a Stalingrado (ispirato chiaramente a “Il Nemico alle Porte”) e la battaglia navale al largo di Okinawa.
    Nell'offrire un'esperienza di gioco adatta a tutti i palati Call of Duty presenta da una parte la struttura lineare e frenetica descritta pocanzi, coadiuvata da un sistema di controllo intuitivo ed immediato, e dall'altra una selezione tra quattro livelli di difficoltà. Abbiamo potuto verificare con mano, purtroppo, come il bilanciamento dei livelli di difficoltà più ostici sia quasi totalmente inadeguato. I colpi inferti e le ferite subite paiono infatti regolati in maniera totalmente casuale: non sempre risultano comprensibili le dinamiche che portano ad essere abbattuti, così come ignoti alcuni punti di respawn alle spalle del giocatore. Davvero esagerata, inoltre, la vera e propria pioggia di granate che ci troveremo ad affrontare in moltissime occasioni nel corso della campagna.
    E' infine doveroso sottolineare l'inettitudine dei commilitoni, sì invulnerabili ai colpi nemici (salvo script predeterminati) ma incapaci di coprirci le spalle efficacemente e spesso non consapevoli della posizione del nemico come della nostra.



    Gli alti e bassi di un single player che risulta coinvolgente a dispetto dei difetti sono affiancati da una componente multiplayer senza troppe pretese.
    L'offerta ludica di questo comparto è infatti priva di qualsiasi spunto che già non sia stato visto in produzioni precedenti: modalità cooperativa, multiplayer competitivo e lo strano bonus stage nazi zombie, in cui fino a quattro amici si ritroveranno rinchiusi in un bunker assalito da orde di nazisti non morti (qualcuno ha detto Gears of War 2?).
    Il settore competitivo mostra chiaramente la sudditanza di Treyarch nei confronti delle produzioni precedenti ed in particolare verso Modern Warfare.
    Questa sezione si dimostra infatti un tuffo nel passato di Call of Duty 4, con l'aggiunta dei mezzi nelle mappe più grandi. Potremo creare un alter-ego, equipaggiarlo a piacimento con armamenti ed abilità (i perks) ed intraprendere una carriera militare online durante la quale acquisire punti per sbloccare nuove armi e nuovi talenti.
    Inevitabilmente ci sono state delle aggiunte nel pacchetto dei perks (ora adattati alla presenza dei mezzi) e dei cambiamenti per quanto riguarda le abilità speciali attivabili in seguito ad una lunga serie di uccisioni.
    Il radar è stato sostituito con la ricognizione aerea, il raid con una raffica di mortaio e l'elicottero con un pastore tedesco, vulnerabile ma capace di perlustrare l'intera mappa e scovare anche i nemici mimetizzati.
    Partita dopo partita verremo comunque assaliti da una sensazione di deja vu dovuta anche all'interfaccia grafica completamente immutata.
    La prova ha dimostrato che non esistono grossi problemi di lag ma, in alcuni casi, la latenza rovina di fatto le partite, impedendo di mettere a segno anche colpi da brevissima distanza.

    Copia e incolla

    Il motore grafico di World at War è una riproposizione lievemente riadattata di quello visto lo scorso anno in Modern Warfare.
    I modelli poligonali (di soldati ed armi) sono artisticamente riusciti: solidi, ricchi, curati in ogni dettaglio ma animati in maniera non del tutto soddisfacente: il passo in camminata ed in corsa, ad esempio, non coincide con la velocità di movimento, tuttavia, ricarica delle armi e ragdoll risultano credibili.
    I modelli sono inoltre arricchiti da un complesso self-shadowing purtroppo ancora privo di una componente di proiezione dinamica capace di rendere il tutto più naturale.
    Ottime le texture applicate sui modelli dei soldati e gli shader superficiali (acqua su tutti): a contatto con la pioggia o con il bagnato, infatti, le uniformi acquisiranno pesantezza mostrando vistose pieghe e dando un realistico effetto “bagnato”.
    Le ambientazioni, anch'esse ricche di modelli complessi e curati, non sono impreziosite da un comparto texture di così alto livello e presentano perciò alti e bassi.
    L'illuminazione è a dir poco eccezionale, grazie all'ottimo uso di shader e multitexturing che la rendono a tratti fotorealistica: particolarmente bello l'effetto di accecamento dovuto al passaggio da un'area completamente buia ad una illuminata a giorno.
    Anche gli effetti particellari sono ottimi e contribuiscono in maniera decisiva, grazie ad una perfetta -ed estremamente spettacolare- resa delle esplosioni e degli effetti prodotti da vento e pioggia sull'ambiente circostante, ad immedesimare il giocatore nell'atmosfera belligerante.
    Il motore gira costantemente a 60 fps, senza perdere frame anche nelle situazioni più concitate (forse qualche calo negli ultimi livelli).
    Gli unici difetti di un comparto grafico molto solido sono la piattezza di alcuni elementi e la fisica -rigorosamente scriptata- applicata solo ad una minoranza degli oggetti a schermo.
    Il comparto sonoro, dopo quello grafico, è il punto di forza di questo prodotto.
    Dai rumori ambientali alle esplosioni tutto è riprodotto in maniera eccellente e contribuisce una volta di più a ricreare quell'atmosfera che immerge il giocatore nella battaglia e lo tiene incollato davanti allo schermo.
    Si sente, addirittura, il particolare suono del fucile quando si esplode l'ultimo colpo presente nel caricatore; questo attesta il livello della ricostruzione alla base del successo del brand, dovuto anche alla presenza degli oramai noti consulenti militari.
    La produzione si è avvalsa inoltre di due doppiatori d'eccezione: Gary Oldman per la campagna russa e Kiefer Sutherland per quella americana, ma il doppiaggio in italiano, di livello più che buono, svolge benissimo la sua parte senza scomodare voci note.

    Call Of Duty: World at War Call Of Duty: World at WarVersione Analizzata PlayStation 3Nonostante gli innumerevoli difetti ed una struttura di gioco datata e rinnegata da buona parte degli amanti del genere (lo scripting selvaggio non piaceva già ai tempi del terzo capitolo), Call of Duty World at War rappresenta, ora come ora, una delle esperienze di gioco più coinvolgenti e meglio caratterizzate riguardo alla Seconda Guerra Mondiale. Risulta perciò adattissimo ai fan del genere, che sapranno guardare oltre i difetti del gameplay. Del resto, proprio la volontà di ripordurre scene corali e fortemente coreografiche ha spinto il team di sviluppo in direzione di quella linearità e quella "predestinazione" che costituiscono i limiti più evidenti di World at War. L'ultima produzione Treyarch è senz'altro inferiore, per varietà d'offerta, livello tecnico e comparto multiplayer, a tutti i top title del momento ma riesce, con la campagna single player, a compiacere soprattutto chi sia alla ricerca della frenesia, dell'immediatezza ma soprattutto dell'intensità che solo Call of Duty sa dare. Per tutti gli altri un “more of the same” elevato all'ennesima potenza, non troppo brillante dal punto di vista del bilanciamento e senza la verve del vecchio episodio. Consigliato ai fan della serie e agli insaziabili degli FPS.

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