Catherine Recensione: un incubo ad occhi aperti

Abbiamo recensito l'eccezionale puzzle-platform di Atlus, caratterizzato da un alto livello di sfida e da una storia di notevole spessore.

Catherine
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • L'era videoludica moderna appare sempre più scevra di idee creative e diverse dai soliti First Person Shooter, Third Person Shooter e compagnia bella. Eppure, anche quando le speranze sembrano del tutto perdute, ecco spuntare il videogame che non ti aspetti. O forse sarebbe meglio dire, per classificare l'ultima -stramba- produzione Atlus, il non-gioco dell'anno: poiché in Catherine, oltre alle caratteristiche sezioni climbing-platform che tutti hanno oramai imparato a conoscere, di gameplay come tutti noi lo intendiamo ce n'è ben poco.
    In uscita in Europa (ed in Italia) questo 9 Febbraio, con un ritardo epocale sia rispetto alla pubblicazione giapponese che a quella americana, l'ultimo prodotto del Persona Team, si distingue dalla massa per caratteristiche del tutto atipiche, e per una cura nel charachter design e nella narrazione spesso dimenticata dai grandi blockbuster odierni. In punta di piedi e sicuramente senza puntare al mass-market, Catherine si candida come uno degli outsider d'eccellenza per questo 2012. Vediamo perché.

    (In)fedeltà latente

    Catherine è un titolo dalle molte facce, in grado di rapire il giocatore nelle sue atmosfere, facendolo ridere, spaventare, appassionare e perfino infuriare. Catherine narra la storia di Vincent Brooks, ragazzo sui trent'anni come ce ne sono molti: un gruppo amici con i quali uscire a bere al solito locale, chiamato Stray Sheep, una fidanzata, Katherine McBride, che vuole portarlo all'altare, un lavoro che non lo soddisfa come vorrebbe.
    I giorni si susseguono monotoni finché un vortice di eventi inizia ad avvicinarsi a Vincent, facendo rapidamente precipitare i suoi, pochi, punti fissi, e portandolo a perdere completamente la rotta della sua esistenza.
    Una serie di omicidi terrà impegnata la polizia, con strane voci che inizieranno a collegarli alle infedeltà coniugali delle vittime maschili; degli agghiaccianti incubi popoleranno progressivamente le notti di Vincent, distruggendolo psicologicamente ma non lasciando, almeno all'inizio, troppi ricordi su quanto accaduto; Katherine inizierà a parlare di matrimonio in maniera oltremodo pressante, cercando di forzare la mano sulle sue scelte future.
    E poi c'è lei, Catherine, l'altra.
    Vincent la conosce durante una sera in cui rimane da solo allo Stray Sheep; l'ora è tarda, gli amici se ne sono andati ma lui rimane avvinghiato ai suoi pensieri, senza la forza di staccarsi dal bicchiere, perennemente riempito da Boss, il carismatico barman del locale.
    Catherine entra, inciampa, chiede scusa e in un battito di ciglia si ritrova seduta al tavolo a conversare con Vincent.
    Lei è il suo tipo, lui si sente un leone.
    Il tempo si dilata, i fumi dell'alcool fanno il loro gioco e il danno è fatto: Vincent si sveglia, intontito dalla sera prima, prova a sollevarsi dal letto ma si rende conto di non essere solo.
    Ha passato la notte, e che notte, con Catherine, ma non ricorda nulla.
    Il dado è tratto. Come nascondere il misfatto? Com'è legata l'apparizione della ragazza all'inizio degli incubi? E' davvero il caso di giocare a carte scoperte? O meglio tenere il piede in due scarpe?

    La versione italianaNella versione PAL ITA di Catherine, troviamo le stesse caratteristiche della controparte statunitense, rappresentate soprattutto dall'introduzione del livello di difficoltà EASY e dall'introduzione della facoltà di modificare la difficoltà stessa in qualsiasi istante. Alla versione nostrana, inoltre, s'accompagna una sottotitolazione molto precisa ed una limatura decisa dei difetti nel volume del parlato (rispetto a quello della soundtrack) più volte lamentati nell'import USA.

    Katherine o Catherine?

    Si nota subito che Catherine è opera del Persona Team, sin dai primi secondi, durante i quali il logo Atlus compare macchiato di sangue, con un effetto sonoro profondo e inquietante che mette a dura prova il subwoofer dell'impianto audio del giocatore.
    E' un tocco di classe che si dimentica subito, mentre si è coccolati dalle citazioni di Shakespeare durante i caricamenti, mentre si naviga in menu al limite del folle, accompagnati dalla colonna sonora composta da Shoji Meguro, inconfondibile nel suo saper mescolare generi diversi, riuscendo immancabilmente a rendersi riconoscibile.
    L'introduzione mette subito a proprio agio il giocatore, presentando una trasmissione televisiva intitolata Golden Playhouse, anticipata da un filmato che si ispira a molti anime contemporanei, dello Studio Ghibli in primis, che a sua volta va a dare un primo punto di vista sulla vita di Vincent.
    La narrazione non interattiva avviene con un mix di scene con il motore di gioco e filmati di qualità assoluta, creati dal celebre Studio 4°C, famoso per moltissimi lungometraggi, da Memories a Spriggan, fino ad arrivare ad Animatrix e Tekkonkinkreet.
    Il dualismo tra le due tecniche può spiazzare all'inizio, soprattutto perché la transizione è netta e spesso è improvvisa, a metà di una scena, con un solo brevissimo caricamento per abituarsi al salto.
    Il character design è un'evoluzione di quello classico di Atlus, indubbiamente più moderno e raffinato; con un minimo di attenzione, però, gli appassionati vedranno in che modo il team è arrivato a Catherine, passando per i fari episodi di Shin Megami Tensei e alternandoli a Trauma Center. Alcuni personaggi di Catherine, infatti, sembrano presi direttamente da Trauma Team, ultimo e interessantissimo episodio della serie pubblicato su Wii nel 2010 ma mai giunto sul mercato Europeo.
    Vincent è annoiato, poco ordinato, dedito all'alcool e senza un chiaro progetto per il suo futuro; si veste in modo distratto e non cura particolarmente il suo aspetto, non emergendo, quindi, dalla massa dei ragazzi della sua età.
    Katherine è la sua antitesi: decisa, pragmatica, nervosa; sa esattamente cosa vuole e sa come ottenerlo, come testimonia la sua folgorante carriera.
    I due sono stati compagni di classe in passato e si erano persi di vista. Un ritrovo del vecchio gruppo di amici della scuola ha dato il via alla loro frequentazione.
    Catherine è invece una ragazza indecifrabile, che danza tra una personalità da femme fatale e quella di un'adolescente, alternando momenti quasi infantili, nei quali invia messaggi che traboccano cuoricini a Vincent, e altri nei quali è in grado di far crollare qualsiasi resistenza maschile, facendo leva sulle sue curve, spesso sottolineate da un abbigliamento che lascia ben poco all'immaginazione.
    Sia i protagonisti che i comprimari sono stilizzati ma profondi ed esprimono i loro stati d'animo con gli occhi e con la mimica, a volte estremizzata al limite delle deformazioni anatomiche ma efficace per trasmettere le giuste sensazioni al giocatore.

    Due anime

    La struttura di gioco si articola in due distinte sezioni: quella in stile visual novel e gli incubi, in cui il gioco si trasforma in un vero e proprio puzzle game.
    Nella prima Vincent vive la vita di tutti i giorni, spesso concentrata nelle ore serali delle uscite con gli amici, parlando con le persone e interagendo con quelle non direttamente presenti utilizzando il suo cellulare, in grado di ricevere e-mail e messaggi.
    I dialoghi sono strutturati come brevi scambi di battute, con sporadiche possibilità di intervenire scegliendo tra due risposte, in modo da indirizzare la conversazione.
    Spesso, inoltre, le parti giocate sono intervallate da filmati che fanno avanzare la trama. Tali scene sono per la maggior parte non interattive, e benché a volte possano risultare abbastanza lunghe non vengono a noia in quanto la regia si lascia andare a trovate fuori dagli schemi, estremizzando soluzioni grafiche e tecniche viste solo in anime molto recenti, come Durarara o Baccano.
    Durante i dialoghi o gli spostamenti all'interno dello Stray Sheep, Vincent può ricevere delle e-mail, tipicamente scritte da Katherine o Catherine. Il giocatore potrà quindi decidere se e come rispondere, scegliendo tra alcune frasi pre confezionate da assemblare dinamicamente. In questo modo potrà non solo scegliere cosa dire ma anche il modo in cui farlo, dando un taglio tranquillo e sicuro oppure sgarbato ed estremo, alterando in questo modo l'evolversi della trama, verso uno dei finali multipli.
    Una volta giunto a casa, però, con un Vincent spesso su di giri a causa dell'alcool, il gioco muterà pelle improvvisamente, mostrando il suo vero volto.

    Fear of the Dark

    Il vero cuore di Catherine sono gli incubi. Ogni giorno di gioco sarà scandito dalla notte, durante la quale Vincent si addormenta e inizia a sognare un mondo terrorizzante, nel quale una torre formata da svariati piani lo divide dalla libertà e nella quale sono stati imprigionati altri traditori come lui, visibili agli altri sotto forma di pecore antropomorfi, in grado però di mantenere i segni distintivi della persona: occhiali, capelli lunghi, cravatta e così via.
    Ogni notte obbliga quindi Vincent a risalire i piani, evitando di rimanere ucciso nel tentativo, con una struttura a livelli nei quali l'ultimo di ogni sezione prevede l'affronto di un boss.
    La struttura a puzzle è formata da blocchi sospesi da utilizzare per salire progressivamente verso l'uscita. Tali blocchi possono essere spinti, tirati e utilizzati come appiglio, appendendosi con le braccia su uno dei lati.
    Per sperare di riuscire a salvarsi è d'obbligo non spostarli in modo casuale: ognuno rimane sospeso se ha almeno un vertice a contatto con un altro. Se nessuno di questi lo collega ad al resto della struttura cadrà nel vuoto, portando con sé lo sfortunato occupante.
    E' quindi necessario architettare una strategia, muovendo i blocchi con l'obiettivo di formare dei gradini in modo da poter salire progressivamente verso l'alto.
    Per far ciò è necessario imparare a padroneggiare alcune tecniche, la maggior parte delle quali verrà svelata tra una sezione di gioco e l'altra, dalle pecore che accompagnano Vincent nei suoi incubi. La spiegazione delle tecniche avviene con un filmato esplicativo, quindi ogni singolo step sembrerà sorprendentemente semplice da riprodurre anche se, una volta in gioco, il tempo ristretto e le possibilità di errore giocheranno brutti scherzi.
    Sempre tra una sezione puzzle e l'altra è presente un confessionale nel quale Vincent sarà obbligato ad entrare per venir poi proiettato al piano successivo: all'interno il narratore si lascerà andare in domande decisamente personali, spesso su argomenti spinosi o piccanti.
    La risposta influenzerà quindi l'evolversi della trama e durante il caricamento del livello successivo verranno visualizzare le percentuali di risposta della comunità.
    Un'idea carina che fa sentire tutti i giocatori nella stessa situazione, a lottare tra tradimenti, incubi tremendi e situazioni ai limiti del grottesco.

    Difetti perversi

    Catherine non è però esente da difetti, uno su tutti l'incredibile difficoltà anche a livello normale -quello preimpostato- emersa a pochi giorni dal lancio sopratutto in Giappone e che ha costretto il team a pubblicare una patch che introducesse una modalità easy più abbordabile.
    La patch è stata integrata ed estesa nella versione statunitense e, di conseguenza, in quella PAL in nostro possesso, offrendo la possibilità di scegliere la difficoltà in qualsiasi momento dal menu di pausa.
    Iniziare una partita a normal, quindi, non equivale assolutamente allo stesso tasso di sfida che può offrire un qualunque puzzle game presente sul mercato: le tecniche particolari di arrampicata vanno imparate ed applicate in maniera quasi istintiva e basta un blocco spinto o spostato senza giudizio per vanificare ogni possibilità di superamento del livello.
    Il dubbio che la difficoltà e il bilanciamento siano state tarate verso l'alto, per poi cercare di correre ai ripari, diventa una certezza quando, in alcune sezioni, si troverà il power-up del cuscino a metà della scalata, in una posizione evidentissima che annulla di fatto la possibilità di non raccoglierlo.
    Tale oggetto regala due tentativi aggiuntivi al giocatore, che potrà quindi ripartire in caso di errore dall'inizio dello stage o da uno dei checkpoint raggiunti.
    In alcune sezioni, però, si tenderà a morire decine di volte, cercando di capire, per ragionamento o tentativi, la strategia da seguire per superare una parete particolarmente ostica.
    Il perdere una vita e recuperarne due, ad ogni nuovo approccio, porterà a finire il livello con un valore doppio o triplo rispetto a quelle possedute all'inizio, tramutandosi di fatto in un cheat involontario.
    In alcuni sporadici casi anche la telecamera mostra il fianco a critiche, con la visuale che viene occlusa dai blocchi delle file superiori e che obbliga a virtuosismi con l'analogico destro per riuscire a recuperare un angolo di visione adeguato, fatto che porta necessariamente a sprecare alcuni preziosi secondi, vitali per potersi salvare in molte situazioni al limite.
    Infine i controlli che si invertono quasi arbitrariamente quando Vincent è aggrappato al vertice più lontano di uno qualsiasi dei blocchi, disorientando il giocatore che rischia di cadere, immerso nella frenesia dell'azione.
    Sono tutti dettagli che avrebbero meritato qualche mese di sviluppo in più, in modo da rendere il gioco più accessibile e rifinito, senza quelle asperità che possono portare alla frustrazione già da metà dell'avventura.

    Catherine CatherineVersione Analizzata Xbox 360Catherine fa leva sull’originalità, costruendo la sua esperienza su fondamenta all’apparenza semplici ma solide, con una presentazione e un lavoro di caratterizzazione che non ha pari sul mercato attuale dei videogiochi. In quest’ottica la cura per i dettagli è maniacale: la giacca in pelle italiana che Vincent indossa alla sera, durante le uscite con gli amici, ha un ricamo sulla manica spesso ben leggibile mentre il suo cellulare ha l’indicatore di ricezione che varia in base alla posizione nel quale lo si sta usando all’intendo del locale. Sono piccole cose che però denotato un’impegno incredibile e un amore non comune per il proprio gioco, fattore che spesso è andato scemando nella produzione nipponica contemporanea. La sezione puzzle è invece più complessa da valutare, in quanto è sicuramente stata studiata con perizia ma offre un tasso di sfida che per molti potrebbe risultare indigesto, con alcune soluzioni che non soddisfano appieno e che denotano delle lacune in termini di game design di base, facendo perdere parecchi punti all’intera produzione. L’aggiunta di una modalità più semplice può in parte ovviare al problema, offrendo la possibilità di affrontare il gioco con una curva di difficoltà più lieve, magari sbloccando un primo finale con la volontà di riaffrontare il gioco per vederne un altro, forti dell’esperienza accumulata durante il primo Playthrough. In ogni caso il livello di difficoltà può essere modificato in qualsiasi momento dal menu delle opzioni, in modo da poter adattare il gioco dinamicamente alla bravura del giocatore. Una nuova prova vincente, quindi, per Atlus che dimostra ancora una volta la propria bravura nel produrre titoli interessanti e in grado di osare, tanto in materia di contenuti quanto di gameplay. Un’esperienza praticamente imperdibile.

    8.5

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