Danganronpa Another Episode: Ultra Despair Girls Recensione

La serie Danganronpa torna sulle nostre PlayStation 4 con uno spin-off che ibrida visual novel e sparatutto in terza persona...

Danganronpa Another Episode: Ultra Despair Girls Recensione
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Disponibile per
  • PSVita
  • Pc
  • PS4
  • Quella che fa da sfondo alla serie Danganronpa è una trama contorta, subdola e - a modo suo - indiscutibilmente feroce: mette alla berlina la tipizzazione delle maschere adolescenziali, ironizza sardonicamente sulle aspettative e suoi ruoli sociali, e si tramuta in uno spietato ed esasperato ritratto del regime mass-mediale, che tutto controlla, osserva, divora. Una storia tanto elaborata, così rifinita e stratificata aveva pertanto bisogno di un adeguato mezzo di comunicazione per essere raccontata: ed è per questo che lo studio Spike Chunsoft ha deciso di inscenarla tramite due straordinarie visual novel, Danganronpa Trigger Happy Havoc e Goodbye Despair, inizialmente uscite solo sulle console portatili di Sony e di recente trasposte anche su PS4 grazie alla collection Danganronpa 1.2 Reload. Attraverso questi "romanzi interattivi" - che di loro natura prevedono una fruizione piuttosto passiva in cui poco spazio è lasciato all'azione diretta - il team ha imbastito un immaginario ammirevole ed affascinante, capace di riscuotere un successo di notevole estensione, che ha portato persino allo sviluppo di uno spin-off sotto forma di shooter in terza persona. Ma Another Episode: Ultra Despair Girls non è solo un semplice capitolo che si rannicchia ai margini della saga principale: è un "altro episodio" canonico a tutti gli effetti che, pur modificando la formula ludica di partenza, rappresenta comunque un tassello imprescindibile del puzzle narrativo di Danganronpa. Diffuso, come i suoi progenitori, unicamente su PS Vita nel 2015, Ultra Despair Girls è stato ora rimasterizzato anche per l'ammiraglia di casa Sony con risultati, a voler essere sinceri, non del tutto rassicuranti.

    Old Girl(s)

    La dolce e remissiva Komaru Naegi (sorella di quel Makoto che abbiamo conosciuto nel primo episodio) sembra sulle prime condurre una normale vita da adolescente: si sveglia, fa colazione, indossa la divisa da studentessa del liceo e, con un po' di preoccupazione, pensa al futuro che l'attende nella sua vita da adulta.

    Solo che Komaru, a differenza di tanti altri ragazzi della sua età, ha una ragione in più per temere l'avvenire: a scapito delle apparenze, la giovane è infatti tenuta prigioniera in un appartamento di Towa City da circa un anno e mezzo. Il suo unico contatto con il mondo esterno è la razione di cibo giornaliera che le viene servita da una fessura della porta: almeno finché un bel giorno, d'improvviso, un Monokuma, ossia l'orso assassino ormai divenuto il "volto" iconico del brand, non distrugge l'ingresso, con il preciso intento di sbrindellare la protagonista. Nonostante il terrore che l'assale alla vista del suo aguzzino, questa è per Komaru l'occasione perfetta in cui darsela a gambe. Ciò che l'attende al di fuori di quelle quattro mura nelle quali ha vissuto così a lungo, però, è solo un'altra, terrificante prigione: durante il suo periodo di cattività, infatti, il mondo è profondamente cambiato. Qualcosa, o qualcuno, sta controllando un esercito di Monokuma e massacrando la popolazione della città: Komaru si ritroverà così dinanzi ad un sadico gioco di morte nel quale sarà davvero difficile riuscire a sopravvivere.

    I motivi che si celano dietro l'incipit narrativo di Ultra Despair Girls sono sì meno spiazzanti rispetto a quelli dei capitoli originali, ma il prosieguo della storia mantiene intatto tutto il suo magnetismo diabolico e crudele. Che il plot incarni il punto forte della produzione lo si intravede sin dai primi minuti: questo spin-off, benché sia sulla carta ascrivibile al genere degli sparatutto in terza persona, si presenta in realtà come un ibrido inusuale tra un TPS con elementi da survival game ed una visual novel. La fiumana di testo che interrompe l'azione, del resto, non lascia ampi margini di dubbio. Gran parte del tempo lo trascorrerete leggendo le chilometriche conversazioni con gli altri personaggi dell'avventura, ognuno dei quali è, prevedibilmente, tratteggiato con una cura maniacale sia nell'aspetto, sia nella sua ingarbugliata personalità. È innegabile che lo script si assesti sui medesimi livelli qualitativi cui la serie ci ha abituati, ma nel complesso l'ordito di Ultra Despair Girls non riesce a coinvolgerci quanto i suoi predecessori: la ragione risiede nella sostanziale disparità del ritmo narrativo, che frammenta la progressione con sequenze eccessivamente verbose, che mal si sposano con la partitura action di uno shooter. L'anima da visual novel, insomma, è quasi predominante: non ci sarebbe certo nulla di male, se non fosse che le sequenze pad alla mano finiscono con l'essere spezzettate con troppa frequenza, squilibrando di fatto il bilanciamento del gameplay. La disomogeneità è quindi il difetto primario e più evidente di Another Episode. Persino sul versante del racconto, assistiamo spesso e mal volentieri ad un susseguirsi ininterrotto di cutscene realizzate con stili troppo diversificati tra di loro: i filmati, d'altronde, ci vengono mostrati ora con bellissimo stile da anime giapponese, ora in una grezza CGI, ora con un tratto bidimensionale tipico dei romanzi interattivi. Queste diverse scelte artistiche si alternano tra di loro senza soluzione di continuità, creando così un miscuglio troppo frastagliato. Ed è un gran peccato, soprattutto se consideriamo l'altissima qualità delle sezioni animate, che ricordano quelle della serie Danganronpa: The Animation. Dinanzi alla soverchiante preminenza narrativa, lo spirito da third person shooter finisce chiaramente in secondo piano: Spike Chunsoft non ha prestato altrettanta attenzione all'intelaiatura ludica del gioco, proponendo un gameplay che si sottomette a logiche un po' datate. Komaru entrerà sin da subito in possesso di un particolare megafono in grado di mettere KO i teneri e letali Monokuma che cercheranno di strapparle tutti gli arti: lo strumento può sparare ben otto tipi di proiettili (da recuperare man mano nel corso dell'avanzamento) - chiamati Truth Bullet - ciascuno dei quali è dotato di specifici effetti. Si parte dai colpi in grado di mandare in tilt gli orsetti (specialmente se beccati in pieno nell'occhio sinistro - il loro punto debole!), arrivando fino a munizioni che costringono i nemici a danzare in modo buffo per qualche secondo, lasciandoli alla mercé dei nostri attacchi.

    Altre pallottole permettono inoltre di hackerare i terminali sparsi per le aree o scannerizzare l'ambiente di gioco, in modo tale da aprire porte prima bloccate o individuare indizi utili a risolvere semplicissimi enigmi. Al netto di un backtracking invasivo e di una rigorosa linearità, l'incedere di Ultra Despair Girls prova sì a mettere in scena un pizzico di varietà, ma esaurisce la maggior parte delle sue cartucce già dopo poche ore. È vero che ci troveremo a dover fronteggiare alternative tipologie di Monokuma, deboli a determinate tattiche d'azione, eppure la curva di sfida - tendente pericolosamente verso il basso - non ci stimolerà quasi mai a cercare nuove soluzioni per avere la meglio sugli avversari. L'unico reale grattacapo, semmai, deriva dalla scarsa precisione del reticolo di mira e da una telecamera che definire schizofrenica è un eufemismo: impostando l'inquadratura manuale, infatti, durante le sessioni esplorative faticheremo non poco a centrare correttamente la visuale, mentre selezionando quella automatica gli scontri a fuoco si tramuteranno in un inferno, data l'inspiegabile incapacità della regia virtuale di posizionarsi sui bersagli. Poco dopo l'inizio della storia, in ogni caso, Komaru verrà affiancata da Toko Fukawa (uno degli indimenticabili coprotagonisti di Trigger Happy Havoc): in qualsiasi momento, nel mezzo di una battaglia, potremo allora utilizzare l'abilità della nostra comprimaria, specializzata negli attacchi corpo a corpo, fino al consumo della sua barra d'energia dedicata.

    Ultra Remastered Girls

    Il port da PS Vita a PlayStation 4 non è stato dei più indolori: laddove Danganronpa 1.2 Reload mascherava le magagne della conversione grazie ad un comparto visivo composto per lo più da statiche illustrazioni, Ultra Despair Girls fa un uso più marcato della modellazione poligonale e della composizione tridimensionale delle ambientazioni, le quali appaiono inevitabilmente piuttosto spoglie e grossolane. Il lavoro di Spike Chunsoft, in verità, ci è parso abbastanza svogliato, aggravato da texture in bassa risoluzione, da caricamenti che azzoppano la fluidità nel passaggio tra le aree visitabili, da movimenti un po' dinoccolati e, più in generale, da una pulizia visiva non proprio esemplare. A ciò si somma anche qualche evitabile glitch grafico, sintomatico di un processo di polishing molto frettoloso. Compensano egregiamente simili mancanze sia un'ottima caratterizzazione delle espressività facciali (enfatiche al punto giusto tali da trasmettere un senso di acuta disperazione), sia un inquietante accompagnamento sonoro, perfettamente in linea con i toni grotteschi ed orrorifici della saga.

    Gli assalti di Toko trasformano Ultra Despair Girls per qualche istante in un semplicistico beat'em'up: prendere il controllo della nostra partner si rivela indispensabile nei (rari) momenti in cui le scorte di munizioni iniziano a scarseggiare e le orde di Monokuma si fanno invece più invadenti. Sia il megafono di Komaru, sia i poteri di Toko andranno poi perfezionati con l'acquisto di numerosi upgrade negli appositi chioschi, distribuiti lungo i quartieri cittadini, spendendo le monete guadagnate dopo ogni uccisione. La facilità con cui si rimpinguano le nostre tasche ed il limitato grado di complessità (almeno al livello di difficoltà intermedio) rendono tuttavia l'esperienza meno appagante di quello che era lecito attendersi: arriveremo così con un po' di affanno sino alla conclusione, stimolati quasi esclusivamente dalla voglia di conoscere i sempre interessantissimi retroscena della narrazione. A tal proposito, non esitate a scrutare ogni angolo degli edifici e delle strade che percorrerete, allo scopo di scovare tutti i collezionabili del gioco: gli oggetti segreti, difatti, non sono quasi mai fini a se stessi, ma nascondono importanti dettagli aggiuntivi sulla storyline di questo spin-off. Disgraziatamente, proprio come nei primi due episodi, in assenza di localizzazione nel nostro idioma, anche in Ultra Despair Girls è richiesta una buona conoscenza della lingua inglese per riuscire a seguire la labirintica trama senza troppi intoppi interpretativi. Tralasciare anche la più infinitesima sfumatura del plot, del resto, farebbe perdere ad Another Episode la maggior parte del suo appeal macabro, sadico, satirico e angoscioso.

    Danganronpa Another Episode Ultra Despair Girls Danganronpa Another Episode Ultra Despair GirlsVersione Analizzata PlayStation 4Danganronpa Another Episode: Ultra Despair Girls è un capitolo senza dubbio accattivante, narrativamente più o meno in linea con le vette d'eccellenza toccate dagli episodi canonici. Ma si è dimostrato anche uno spin-off troppo pretestuoso dal punto di vista ludico e concettuale, incapace di dosare con omogeneità la sua anima da visual novel e quella da shooter in terza persona, finendo quindi per non trovare una propria, rigorosa identità. L'operazione di conversione è poi riuscita solo in parte: accanto a un comparto visivo che risente palesemente della sua origine portatile, si erge una direzione artistica da applausi, in cui trionfa un design morboso, caricaturale e terrorizzante. Ultra Despair Girls è dunque un'atipica opera di transizione, nonché l'ultimo, fondamentale (?) tassello della serie Danganronpa che ci separa dall'arrivo, a settembre, di Killing Armony, terzo esponente del franchise, pronto (dopo questa parentesi action) a ritornare alla sua natura originaria: quella di un romanzo interattivo pieno di armoniosa disperazione.

    6.5

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