Recensione Gears of War: Judgment

People Can Fly ci consegna un nuovo capitolo della saga Epic, purtroppo un po' sottotono

Gears of War: Judgment
Recensione: Xbox 360
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  • Xbox 360
  • Da un anno a questa parte, la politica di esclusive che Microsoft ha abbracciato per ravvivare la Line-Up Xbox360 non è stata proprio lungimirante. L'andazzo si era capito già ai tempi dell'E3, quando erano mancati gli annunci a lungo termine; ed in effetti qualche mese dopo ci troviamo nel bel mezzo di una scena un po' desolante. Smaltito l'ottimo Halo 4 (in verità non proprio all'altezza dei migliori momenti della vecchia trilogia), consumato l'eccellente Forza Horizon (purtroppo non supportato da una campagna comunicativa all'altezza), e riposto nell'angolo più buio della propria memoria il mediocre Fable: The Journey, non ci resta che Gears of War Judgment a chiudere una stagione senza più sorprese.
    Quello che lascia un po' stupiti è l'attuale assenza di una prospettiva futura per la console Microsoft, che con tutta probabilità verrà soppiantata integralmente dall'hardware next gen, senza più il supporto dei team interni (che -a dirla tutta- sono rimasti davvero in pochi). Questa “migrazione di massa” verso i lidi della nuova console ha fra l'altro gettato qualche dubbio anche sui titoli attuali. Nel caso di Judgment, ad esempio, molti giocatori si chiedevano se People Can Fly (la software house di Bulletstorm) sarebbe stata in grado di consegnarci un capitolo qualitativamente comparabile ai precedenti. Le demo e i rari incontri con la produzione avevano in parte rassicurato l'utenza, incuriosita dalla particolare modalità narrativa adottata dal quarto Gears of War. Purtroppo però, lo anticipiamo, il team non si è trovato a proprio agio con l'IP targata Epic, ed ha fatto un po' di pasticci su quasi tutti i fronti. Gears of War Judgment è quindi l'episodio meno riuscito della saga: raffazzonato e messo in piedi un po' troppo “meccanicamente”, getta un'ombra un po' scura su una serie che avrebbe meritato una chiosa migliore.

    Halvo Bay

    La campagna di Gears of War Judgment si ambienta prima di quella del terzo capitolo, in una parentesi narrativa autonoma, che tira tuttavia in ballo due protagonisti dello scorso episodio. Baird e Cole sono infatti in servizio presso la squadra Kilo, impegnati in una dura battaglia ad Halvo Bay, oramai quasi spacciata e completamente assediata dalle locuste. Assieme a loro ci sono Sofia, una recluta dell'accademia Onyx, e Paduk, ex soldato dell'Unione delle Repubbliche Indipendenti e ora arruolato nei COG, dopo aver prestato servizio a Gorasnaya. La trama di Judgment comincia però a giochi fatti: nella sequenza iniziale il team viene portato in manette di fronte alla corte marziale, accusato di alto tradimento dopo aver disobbedito agli ordini sprecando risorse militari fondamentali. Tutta la storia, quindi, sarà narrata tramite dei Flashback, come se i membri della squadra riportassero, attraverso le gesta del giocatore, le proprie deposizioni. Solamente alla fine la trama tornerà nel presente, chiudendo una volta per tutte la vicenda di Halvo Bay, e consegnandoci nuovamente i due COG che vedremo poi in Gears 3.

    Purtroppo, al di là della struttura potenzialmente interessante, il comparto narrativo di Gears of War Judgment ha pochissimi lati positivi. La sceneggiatura è trita e triviale, troppo lineare e senza neppure un colpo di scena, mentre le linee di dialogo sono insipide e non si sforzano minimamente di caratterizzare vecchie e nuove conoscenze. La squadra Kilo avanza in maniera molto meccanica di difficoltà in difficoltà, alla ricerca di un'arma capace di spazzare via le armate nemiche in un sol colpo. Ma anche quando alla fine, disobbedendo ai propri superiori, il quartetto deciderà di anteporre le ragioni dei propri commilitoni a quelle della strategia militare su larga scala, mancherà il senso di epicità e di rivalsa, per una vicenda che non coinvolge minimamente il giocatore. Personaggi “spessi come un foglio di carta”, in certi casi un po' troppo stereotipati, senza intenti precisi, navigano a vista attraversando i più svariati teatri di guerra: difficile affezionarsi e non sbadigliare, di fronte ad una vicenda mal raccontata e poco interessante, frettolosa nella conclusione e nei ritmi, che si regge in piedi a stento.

    Those were the days my friend

    Sono passati oltre sei anni dal 17 Novembre 2006, giorno che viene ricordato dai possessori di Xbox360 come l'Emergence Day. Gears of War, al tempo, cambiò per sempre il modo d'intendere gli sparatutto in terza persona, introducendo alcune novità che sarebbero poi diventate uno standard de facto per il genere. In questi sei anni la formula di base dello shooter firmato Epic è stata recuperata da un interminabile numero di emuli, ma anche riproposta ad intervalli regolari dalla stessa software house, che ben poco ha fatto per svecchiarla. E se -innegabilmente- il sistema funziona ancora, persa la sua “eccezionalità” l'unico modo per rendere ancora digeribile una formula un po' sovrasfruttata è sicuramente puntare tutto sul ritmo e sull'incedere della campagna. Gears of War 3, nonostante una parte finale un po' sottotono, riusciva con qualche interessante aggiunta ed una conclusione roboante a tenere saldo l'entusiasmo del giocatore. Judgment, purtroppo, non è altrettanto in forma.
    Ad onor del vero bisogna dire che fin dai primi momenti di gioco il totale immobilismo anche grafico e artistico ci consegna un gioco che sa molto di già visto. L'occhio si posa su ambientazioni desolate che sembrano recuperate integralmente dallo scorso episodio, identiche per stile e selezione cromatica. Il concetto di “Destroyed Beauty” aveva fatto al tempo dell'uscita, ma oggi buona parte di questa bellezza si è persa, abbondantemente sondata dagli appassionati del brand e ormai un po' trita. Lo stesso vale per gli ipertrofici modelli dei personaggi, che ormai abbiamo imparato fin troppo bene a conoscere. Ed ovviamente anche le dinamiche di gioco le conosciamo a menadito, tanto che Judgment non ci propone neppure un tutorial.
    Controller alla mano, riscopriamo una formula totalmente inalterata, che sfrutta uno dei front button per la corsa e l'uso delle coperture dinamiche, e basa molto del suo appeal anche sul concetto di Ricarica Attiva (a tutt'oggi una delle caratteristiche più indovinate di Gears of War).
    Rispetto al terzo capitolo non è cambiato proprio niente: alla motosega montata sul Lancer si affianca la baionetta della sua versione “Retro”, per brutali impalamenti, mentre il trattamento riservato ai nemici morenti, che si trascinano a terra, è sempre lo stesso: utili come scudi umani, possono essere martoriati con le cattivissime “finisher”, che comunque sono identiche a quelle del vecchio capitolo.
    La stessa dotazione di armi rimane invariata, anzi forse un po' meno nutrita nel corso della campagna principale (il Digger, ad esempio, non si farà mai vedere). Ed ovviamente neppure le linee nemiche si arricchiscono con nuovi avversari o inedite tipologie di locuste.

    Superate le prime ore di gioco, che scorrono in maniera dignitosa, questa generale staticità comincerà un po' a pesare, soprattutto perchè l'idea complessiva sarà quella di trovarsi di fronte ad un gioco fatto integralmente con elementi di riciclo, costruito semplicemente gettando “nell'impasto” tutto quello che era “avanzato” dalla scorsa produzione. L'idea si concretizza, superata la prima metà della storia, anche quando si analizza la struttura della campagna. Lo Story Mode ci presenta una serie di missioni molto brevi, abbastanza condensate, ciascuna con uno specifico obiettivo. Quasi tutte, però, si riducono alla necessità di ripulire l'area di gioco, oppure di resistere agli assalti delle locuste, in una sorta di modalità Orda integrata nel Single Player.
    Inutile dire che ben presto verrà a mancare la coesione e la varietà, e l'idea sarà quella di affrontare piccole arene indipendenti, che si esauriscono in poche decine di minuti. Questo sistema è stato pensato per valorizzare un meccanismo di valutazione a tre stelle, che sancisce l'abilità del giocatore (o del gruppo) a seconda delle sue gesta. Un aspetto molto interessante è quello dei “modificatori”, unico guizzo in una produzione davvero sottotono. All'inizio di ogni missione l'utente troverà un enorme teschio luminoso dipinto su una parete: esaminandolo, potrà a tutti gli effetti modificare la deposizione del soldato che sta raccontando le vicende, aggiungendo dettagli particolari. In questa maniera aumenterà la difficoltà complessiva, e sarà ovviamente più facile accumulare i punti necessari per l'ottenimento delle tre stelle.
    All'inizio i modificatori riescono a rivitalizzare la campagna di Gears of War Judgment. Alle volte ci impongono di superare un livello usando solo determinate armi, altre volte attivano effetti particolari

    "Quello che invece influisce, ed in maniera parecchio negativa, sul bilanciamento dell'esperienza, è il fare un po' smargiasso del team di sviluppo, che ha lavorato davvero poco sulla “composizione”. In certi casi, l'idea è quella che People Can Fly si sia limitata a gettare addosso all'utente ogni sorta di nemico avesse a disposizione."

    che riducono drasticamente la visibilità (come nebbia o gas tossici), e non mancano stage da superare entri un limite di tempo. Nel corso delle otto ore necessarie per portare a termine l'avventura, sfortunatamente, anche questo espediente finisce per scadere. Sul finale, le uniche “proposte” del team sembrano essere l'inserimento di più locuste o di avversari più potenti negli stage, mentre il numero di missioni da compiere in condizioni di scarsa visibilità è davvero esagerato. C'è anche da dire che, in fondo, questo sistema non vivacizza troppo l'esperienza di gioco: qualsiasi giocatore che si rispetti non si tirerà centro indietro di fronte alla sfida, e già al primo playthrough avrà attivato sicuramente tutti i teschi. Più che un'opzione vera e propria si tratta quindi di una formalità, spacciata come un incremento della libertà decisionale concessa al giocatore, ma per nulla influente ai fini della qualità complessiva dell'esperienza.
    Quello che invece influisce, ed in maniera parecchio negativa, sul bilanciamento dell'esperienza, è il fare un po' smargiasso del team di sviluppo, che ha lavorato davvero poco sulla “composizione”. In certi casi, l'idea è quella che People Can Fly si sia limitata a gettare addosso all'utente ogni sorta di nemico avesse a disposizione. Ci sono certi momenti dove questa tendenza diventa davvero esagerata, e la squadra Kilo deve resistere all'assalto continuato di un troppe locuste. La sovrabbondanza di Boomer, di soldati armati con l'arco Torque, di mutanti che ci corrono incontro in “berserk mode” e di bestioni armati di Cleaver rende molto spesso le sequenze del tutto caotiche, troppo cariche, persino frustranti. La difficoltà è insomma mal bilanciata, ed in generale la struttura delle campagna è mal calcolata.
    Non manca ovviamente qualche momento più interessante, o alcuni “modificatori” piuttosto creativi: segno che con un lavoro un po' più attento il team avrebbe potuto smussare le spigolosità del prodotto. Allo stato attuale dei fatti, invece, la campagna di Gears of War Jugment è parecchio sottotono: una serie di situazioni sconnesse, non correlate tra loro, in cui ci viene chiesto di falcidiare indistintamente tutto quello che si muove. L'assenza quasi totale di Boss (uno solo alla fine della campagna) sottolinea una volta di più la povertà concettuale di Judgment.
    Una volta terminata la campagna principale, in ogni caso, se ne sblocca una secondaria: Aftermath è ambientata proprio nel bel mezzo degli eventi di Gears 3, in un momento in cui Cole e Baird si allontanano da Fenix, e ritrovano proprio il loro compagno Paduk, assieme all'immancabile Carmine. Questa mini-avventura dura poco meno di due ore, e la progressione risulta quanto meno più coesa. Tornano alcune conoscenze del precedente capitolo, sia sul fronte dell'armamentario (Digger) che per quanto riguarda i nemici (gli umani contaminati dall'Imulsion). Non che la gamma di situazioni, però, sia migliore: People Can Fly dimostra anche in questo caso di avere poca dimestichezza con la progressione inquadrata, e neppure Aftermath riesce a scacciare l'idea che la base del processo creativo sia sbagliata.
    In tutto questo, bisogna comunque riconoscere che il gioco cooperativo (sia in coppia che in quattro) riesce a divertire, nascondendo molte delle magagne della produzione. Valutate però attentamente che giocato in solitaria, Judgment stanca in men che non si dica.

    Overrun

    Quello che salva in parte la produzione è il comparto multiplayer, che funziona in entrambe le sue componenti pur essendo recuperato quasi integralmente dallo scorso capitolo. Le modalità principali sono sempre le stesse: Dominazione, Deatmatch e Team Deathmatch. Non ci sono novità particolari a livello di gameplay, se non una buona ottimizzazione del netcode ed una pulizia generale che rende le partite sicuramente più piacevoli. Compiace a più livelli, invece, il lavoro di design sulle mappe: i playground allestiti per Judgment sono convincenti, ben strutturati, pieni di spunti tattici e persino più interessanti, dal punto di vista stilistico, rispetto alle pallide ambientazioni del single player. Alcuni degli scorci di “Gondola”, un paesino costiero arroccato su un promontorio che scende a picco sul mare, restano fortemente impressi mentre si esplorano le stradine e le balconate di una mappa che si distingue anche per la sua spiccata verticalità. Lo stesso vale ad esempio per “Streets”: un dedalo di strade buie illuminate dalla luce dei neon che si riflette sull'asfalto umido, dando al complesso industriale un tocco quasi spettrale.
    E' un peccato che le nuove mappe siano solo quattro: un pacchetto un po' misero, che molti interpreteranno quasi come un Add-On per il multiplayer - già bello che consumato - del terzo capitolo.
    A questi game mode si affianca Overrun, che è in pratica una modalità Horda reinquadrata dal punto di vista competitivo. Anche le locuste sono infatti impersonate da giocatori umani. Qui l'obiettivo dei COG è quello di difendere una postazione (tipicamente una stazione di contenimento delle Fosse da cui emergono le locuste). Gli umani possono scegliere di interpretare una di quattro classi, ciascuna con le sue specificità: il soldato ha l'armamentario migliore, una granata, e soprattutto può rifornire di munizioni i propri compagni, mentre l'ingegnere riesce a piazzare torrette difensive a supporto del team. Il medico è invece dotato di granate curative, e lo scout svolge la funzione del cecchino, rivelando anche la posizione dei nemici grazie alle granate di ricognizione.

    Dall'altra parte troviamo invece le locuste, da selezionare con un sistema molto simile a quello del multiplayyer di Dead Space 2: all'inizio è possibile impersonare semplicemente Ticker e granatieri, per rompere le linee difensive distruggendo fili spinati e postazioni fisse. Accumulando progressivamente punti è finalmente possibile prendere il controllo delle bestie più potenti. Persino dei Serapede e dei Corpser, anche se continuiamo a preferire i giganteschi Mauler.
    Le dinamiche di gioco di Overrun sono ben bilanciate, ed ogni round si divide in verità in tre ulteriori match, in cui la squadra di locuste deve avanzare di obiettivo in obiettive, spingendo indietro i COG verso l'ultima linea. Una volta terminato il round, i ruoli si invertono.
    La formula funziona alla grande, ed anche in questo caso le quattro mappe a disposizione son ben studiate e piacevoli (Island e Skyline le nostre preferite).
    Anche la classica Orda in co-op è modellata sulla base dello stesso meccanismo (quindi con tre obiettivi sensibili da difendere uno dopo l'altro), e si gioca sulle stesse mappe. Forse è presto per giudicare, ma potenzialmente questa struttura è persino più interessante di quella -un po' troppo carica- proposta per l'Orda di Gears of War 3.
    Insomma tutto quello che era mancato nella campagna (studio e design delle mappe, buon bilanciamento), c'è nel multiplayer di Judgment. Resta il fatto che, per la quantità di contenuti proposti e soprattutto per un gameplay già metabolizzato da molti anni, è impossibile non considerare il pacchetto Online come una ben riuscita espansione, che non ha una sua totale autonomia e non rappresenta di certo il fulcro della produzione.

    Unreal

    Per Gears of War Judgment l'Unreal Engine si è rimesso davvero in forma. Inutile aspettarsi grossi stravolgimenti a livello tecnico: gli sforzi produttivi su un motore che verrà presto aggiornato alla sua quarta versione sono comunque contenuti. Eppure questo non impedisce al team di proporre un titolo dal look pulito, che vanta modelli solidi dal punto di vista del Polygon Count e texture ottimamente definite. Il lavoro maggiore è tuttavia quello che riguarda gli effetti di luce, davvero eccezionali. Le ombre dei COG che si allungano sulle superfici lucide delle sale di Halvo Bay, il lampo degli spari che ad intermittenza illumina i volti delle locuste e dei protagonisti, le esplosioni e le fiamme tremule delle fiaccole e dei falò compongono uno spettacolo visivo davvero piacevole.

    "Le ombre dei COG che si allungano sulle superfici lucide delle sale di Halvo Bay, il lampo degli spari che ad intermittenza illumina i volti delle locuste e dei protagonisti, le esplosioni e le fiamme tremule delle fiaccole e dei falò compongono uno spettacolo visivo davvero piacevole."

    Peccato però per lo stile complessivo, davvero molto sottotono. Le ambientazioni attraversate durante la campagna sono tutt'altro che memorabili, e solo in Aftermath si smuove qualcosa, quando una leggera foschia che copre una vallata montana e poi le strutture infestate di un campo di sopravvissuti ricordano improvvisamente qualche scorcio di Alan Wake.
    Lo stesso design esagerato, nei modi e nelle proporzioni, dei COG ha un po' stancato, e risulta decisamente spuntato e senza particolari attrattive.
    Anche sul fronte dell'accompagnamento musicale non siamo certo ai livelli dei precedenti capitoli: il tema principale è un po' troppo invadente ma senza spunti, il resto della soundtrack resta abbastanza in disparte, ben consapevole che gli manca il respiro di altre produzioni. Si limita quindi a sottolineare i molti momenti d'azione salendo di ritmo ed intensità. Il doppiaggio inglese, a parte qualche esagerazione nella stereotipizzazione di Paduk, è efficace ma monocorde, come del resto lo sono le linee di dialogo.

    Gears of War: Judgment Gears of War: JudgmentVersione Analizzata Xbox 360Gears of War Judgment è un titolo ben lontano dall'eccellenza della saga principale. Derivativo e senza nessuna novità, propone una campagna mal narrata, frammentata e affatto epica. Nonostante l'idea dei modificatori potesse essere interessante, è proprio il meccanico alternarsi delle situazioni che affossa lo Story Mode: una serie interminabile di arene e stage di esile durata, in cui il team si diverte -anche a spese del bilanciamento- a tirarci addosso tutto quello che ha per le mani. Gears of Wars Judgment si salva quindi solo in Co-Op: con un compagno affiatato il peso di certe soluzioni si sente di meno, ed è comunque gradevole scoprire, una volta non di più, quali sono le difficoltà aggiuntive nascoste nei teschi dipinti sulle pareti. Sul fronte del multiplayer le cose vanno meglio, sia per una modalità Orda rivitalizzata, sia per l'ottimo design delle mappe dedicate al gioco competitivo. Eppure l'offerta complessiva del pacchetto multigiocatore non può da sola tenere in piedi la produzione. Gears of War, insomma, è una saga che si è leggermente spenta nel corso di questa generazione, e la sua stella non brilla oggi come faceva nel 2006. Per il futuro Epic dovrà pensare ad una bella ristrutturazione. O forse passare ad altro.

    7.8

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