Recensione God Hand

L'ultimo regalo di Clover

Recensione God Hand
Articolo a cura di
Disponibile per
  • PS2
  • L’incontro con God Hand è spiazzante a priori. Ancora prima di essere lanciato in contesto ludico surreale e grezzo, soltanto a guardare il repellente packshot l’utente medio potrebbe restare in qualche modo disorientato. Ancora di più se fosse a conoscenza, nonostante l’assenza i indicazioni sulla copertina, che team di sviluppo del nuovo titolo Capcom è lo stesso Clover Studio responsabile del recente Okami e del più vetusto (e, ci spiace, inflazionato dalle produzioni portatili) Viewtiful Joe. Nello specifico, superato il primo approccio sulle scaffalature del negoziante, inserito il disco nel Tray della gloriosa (permettetelo) Ps2 e gettati senza preamboli né indicazioni nel mezzo di un’azione inizialmente incomprensibile e di un Far West cromaticamente pietoso, è inevitabile chiedersi che cosa abbia in comune God Hand con le altre produzioni del “quadrifoglio”.
    La risposta è semplice: la richiesta di una particolarissimo senso del gusto, di una buona cultura ludica, di una totale dedizione.

    God Hand è un action game. L’elemento centrale di tutto il gioco è costituito dagli scontri con le esuberanti personalità di demoni incarnati. L’impostazione è però molto particolare: l’inquadratura stretta alle spalle del protagonista, la modalità di movimento, persino le routine comportamentali dei nemici rendono God Hand molto simile ad un tridimensionale picchiaduro a scorrimento, in cui ogni piccolo scontro diventa una sfida degna di nota. Il gameplay stesso pare sottolinearlo: la pulsantiera frontale, in combinazione con le direzioni dell’analogico destro, permette di eseguire una stringa di colpi basilare e continua (tasto quadrato senza modificatori di direzione) e varie “stand alone move” (triangolo, quadrato, X combinati con le direzioni dello stick). Il parco mosse non è fisso, anzi totalmente configurabile: tramite l’acceso al menù è possibile assegnare alle combinazioni predeterminate qualsiasi mossa a disposizione del protagonista, fra quelle disponibili al principio e quelle conquistate (o acquistate) durante lo svolgimento del gioco. I parametri da considerare nella definizione dello stile di combattimento sono, oltre che la potenza della mossa e la velocità di esecuzione, alcune funzioni secondarie ben indicate: rottura della difesa avversaria, colpi caricati, schivate “incluse” movimento. E chiunque non sia in grado di notare l’importanza di queste piccolezze, non è in grado di giocare a God Hand: la produzione dei Clover è senza “mezze misure”, e fin dal primo schema richiede al giocatore una marcata predisposizione all’agire meticoloso, dinamico, ed un’attenzione ai dettagli da combinare con una buona prontezza di riflessi. Già i primi nemici appaiono coriacei, ma soprattutto perfettamente capaci di gestire i vostri assalti: gli avversari entrano in guardia molto spesso, attendendo il giusto momento per rompere le vostre combo e colpirvi piuttosto velocemente. Nonostante quello che abbiano detto “illustri” colleghi d’oltre oceano, in God Hand il Button Smashing porta alla morte prematura (e si parla di morte durante i primi dieci minuti di gioco. Non accadeva dal ’90, ad occhio). Il giocatore deve stare ben attento a rompere la guardia avversaria prima di subire un contrattacco, oppure a schivare velocemente le “counter” con un rapido tocco sull’analogico destro. Il protagonista (che sia a causa del suo egocentrismo?) non è infatti in grado di entrare in posizione difensiva, e tutte le schivate (laterali e frontali) sono gestite dallo stick destro. L’impostazione funziona: il giocatore deve porre una marcata attenzione alle sue azioni: concentrarsi esclusivamente sulla pulsantiera frontale e sui tre tasti d’attacco significa probabilmente non essere in grado di reagire con sufficiente tempismo alle risposte avversarie (senza potersi liberare da una presa, o eseguire particolari contrattacchi).
    Non è tutto: per superare al meglio le difficoltà è necessario sbarazzarsi dei nemici in velocità. Questo non accade con la pressione insensata del tasto d’attacco principale: anzi serve un approccio “dinamico”, in grado di reagire istintivamente alla situazione di gioco. Capita infatti che gli avversari, in particolari momenti di stordimento o nei pochi secondi che si trovano a terra, siano particolarmente vulnerabili: il protagonista può attivare mosse particolari (sequenze di colpi ad alta velocità, pestoni sulla testa, suplex, ginocchiate nei denti) alla pressione ripetuta del tasto cerchio. Perdere queste occasioni (i nemici si riprendono velocemente) significa faticare il doppio per annientare le forze del male. Ancora, il sistema aperto di God Hand permette di esibirsi in lunghe e spettacolari Juggle (quella pratica per cui si mantiene in aria l’avversario con i propri colpi): oltre a mosse di devastante potenza (calci rotanti, uppercut a la Street Fighter), sottolineate da un movimento di telecamera da lasciare stupiti, una serie di montanti combinata con pugni veloci riesce a dare frutti insperati. Il quadro principale è praticamente completo, al di là delle mosse speciali che è possibile utilizzare riempiendo un’apposita barra. Perché God Hand necessita di uno studio attento, e di grande pratica, votata alla comprensione ed all’assimilazione delle razioni avversarie, alla creazione di un sistema di combo adatto al contesto, alla prontezza di riflessi. Senza tutto questo, God Hand non sarebbe niente. Giocarlo in modalità “facile”, cercando un clone di Devil May Cry o un action game di stampo classico, significa necessariamente ridurlo ad un niente. E il prodotto Clover non lo merita affatto: è forse uno dei più profondi e complessi titoli di combattimento degli ultimi anni.

    Senza aver vissuto gli anni ’90, senza aver amato Ken il Guerriero, senza essere videogiocatori navigati, senza umorismo e apprezzamento per il nonsense, probabilmente vi risulterà difficile resistere impassibili ai cazzotti negli occhi che fin dal principio God Hand si impegnerà a darvi. Il titolo è figlio di una propensione verso un gusto ed un’ironia assai poco consoni per la mentalità occidentale, modellati e direttamente emanati dall’immortale colpo d’occhio di Hokuto no Ken. Gli stesi preamboli narrativi, così come il design degli avversari, ricordano molto l’opera di Hara & Okamura: il design è quindi molto particolare, surreale ed esagerato, contorto. Superato l’impatto spiazzante, si riesce ad apprezzarlo non poco, ben calato in un contesto tutto giocato sull’esasperazione, sull’esuberanza, su uno stile rozzo e grezzo. God Hand è inoltre un vorticare continuo d’ironia dell’assurdo: chihuahua velenosi, Drag Queen con succinti costumi di scena, citazioni ai capisaldi dell’animazione (Tiger Man) e del videogioco (lo stesso Viewtiful Joe), ed in generale un comportamento dei protagonisti del tutto inadatto alla situazione.
    Al di là dei pregi stilistici si trova purtroppo un comparto tecnico piuttosto altalenante. Da una parte composto di modelli poligonali curati e dettagliati, a tutti gli effetti bellissimi da vedere, ispirati e adeguati; dall’altra un set di ambientazioni davvero troppo spartano. Gli ambienti di gioco non sono in effetti costantemente sotto gli occhi del giocatore (ben più concentrato sulla realtà dello scontro), ma è evidente la poca cura riposta nella loro realizzazione. Spogli, poco interattivi, composti da zone piuttosto piccole e cromaticamente affatto gradevoli, soprattutto a causa di una texturizzazione, senza mezzi termini, primitiva, carente in dettaglio ed in definizione.
    L’ago della bilancia pende tuttavia verso la (meritata) sufficienza anche grazie ad un parco di animazioni esorbitante: tutte le movenze del protagonista sono curate e si legano fra di loro nel migliore dei modi, velocissime quando viene liberata la potenza della God Hand, ritmate in maniera perfetta. L’altro punto a favore del comparto tecnico è la fluidità di gioco: tanto salda che, viene da pensare, la povertà generale delle location sia stata in qualche modo decisa proprio per permettere un’esperienza senza rallentamento alcuno.
    Il comparto sonoro è gradevole: le musiche che compongono la soundtrack non sono molte, ma la loro efficacia durante le fasi di gioco ed i menù è assicurata. Quello che più gratifica sono forse gli effetti sonori dei colpi, i lamenti dei nemici, che si legano perfettamente all’azione, ed anzi in funzione di essa sottolineano l’avvenuta rottura della guardia, o l’imminente arrivo di un counter attack (opportunamente combinati con reazioni grafiche ed effetti luminosi). Il doppiaggio (in inglese: l’italiano è relegato ai sottotitoli) risulta ben interpretato, ovviamente anch’esso contestualizzato nello stile globale della realizzazione, fatto di personaggi “statici” ed esageranti, che delle loro esagerazioni fanno elemento distintivo.

    God Hand God HandVersione Analizzata PlayStation 2Veniamo al dunque. God Hand non è un titolo per tutti. Si dovrebbe astenere dal considerarlo un valido acquisto anzitutto chiunque non abbia la mente così aperta o, in ogni caso, preparata, per reggere l’impatto con un titolo spartano e dissacrante, che rispecchi i canoni di gusto per un kitsch raffinato. Chi vuole essere “coccolato” da argomentate presentazioni, tutorial ben nutriti, una “learning curve” morbida, deve dimenticarsi a priori dell’esistenza di questo prodotto. Chi invece possiede ancora la tenacia ludica sviluppata sui Coin-Op delle sale giochi (nonostante sia essa attaccata da tutta l’odierna produzione), e soprattutto ogni amante del picchiaduro, non dovrebbe farsi scappare l’ultimo saluto di Clover Studio. A tutti gli effetti God Hand gode di una profondità esorbitante e di un concept affascinante e malleabile, che speriamo possa influenzare ed indirizzare la produzione futura. Piuttosto che ad un titolo d’azione, God Hand è assimilabile ad un picchiaduro a scorrimento tridimensionale, uno dei pochi davvero riusciti: Juggle, schivate, counter, prese contestuali, una varietà interminabile di attacchi. Un set di nemici davvero ampio, ciascuno con proprie routine comportamentali e animazioni, e la richiesta di un’attenzione costante alla situazione e di un’ottima conoscenza delle reazioni ai colpi. Esiste ancora qualche problema a livello ludico (la necessità di accedere ogni volta ai menù di gioco per cambiare configurazione: due “stance” avrebbero potuto essere d’aiuto), un sistema di movimento a volte irritante (rotazioni sull’asse piuttosto lente), ma a tutti gli effetti la formula di gioco di God Hand è praticamente perfetta. Il limite più evidente di God Hand resta quello tecnico, che riguarda locazioni davvero mal realizzate: un limite che “scivolerà” addosso ai puristi del picchiaduro e dell’azione, che troveranno nel titolo Capcom una delle più belle situazioni ludiche di sempre. Per tutti gli altri, un prodotto da provare "con riserva": lasciarsi rapire da un gameplay come quello di God Hand può richiedere moltre "precondizioni".

    7.5

    Quanto attendi: God Hand

    Hype
    Hype totali: 5
    72%
    nd