Recensione Gomo

Fishcow scimmiotta Amanita Design con un'avventura grafica senza il giusto mordente

Recensione Gomo
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  • Da oltre un decennio sentiamo ripetere che quello delle avventure grafiche sia un genere ormai defunto. Il 2012 ha visto però il trionfo di un titolo che ha portato nuova linfa a questa forma d'intrattenimento elettronico. Stiamo ovviamente parlando di The Walking Dead che, nonostante la sua coraggiosa ricerca di nuove declinazioni per l'avventura punta e clicca, non rinnega le radici di provenienza. L'industria mainstream sembra però voler continuare a mantenere il suo sprezzante disinteresse di fronte ad un genere considerato anacronistico e non sufficientemente profittevole. Il genere sembrava aver esaurito ogni forza propulsiva ma, nel sottobosco delle produzioni indipendenti, facevano capolino piccole avventure in prima persona costruite sul modello di Myst (tra le più riuscite possiamo citare la serie di Dark Fall realizzata da Jonathan Boakes). All'appassionato il lavoro di questi sviluppatori e alla dedizione di una ristrettissima cerchia di affezionati acquirenti si deve la sopravvivenza di questo genere, seppure in uno stato di semi ibernazione.
    Il risveglio si è cominciato ad avvertire di recente, quando alcune piccole software house (tra le quali: Daedalic, Pendulo Studio, Wadjet Eye, Amanita Design e Phoenix Online Studios) decisero di ritornare alla tradizionale impostazione in terza persona, impegnandosi in un maggiore sforzo produttivo rispetto ai progetti a bassissimo costo d'inizio decennio. Seppur lontani da incassi milionari, queste avventure si rivelarono, in buona parte, dei discreti successi. Questi successi sono proprio la chiara dimostrazione del persistere d'una domanda che premia un'idea di gameplay forse troppo frettolosamente liquidata tra le memorie dell'archeologia videoludica.
    E' in questo contesto che si inserisce Gomo. la prima avventura punta e clicca realizzata dalla slovacca Fishcow e pubblicata presso Daedalic. L'accostamento con la software house di The Dark Eye e The Whispered World può risultare fuorviante. A differenza del tradizionale stile Dadelic, Gomo non vuole costruire lunghe e complesse strutture narrative ma gioca tutte le sue carte sullo stile grafico. Con i suoi disegni a mano libera e la sua palette cromatica con dominanti grigio-marroni non può che riportare alla mente l'acclamato Machinarium.

    Tanto stile ma nulla da raccontare

    L'intreccio costruito dai Fishcow è estremamente esile ed ha per protagonista Gomo, una sorta di grottesco orsacchiotto dagli occhi asimmetrici e lunghe braccia sottili. Mentre schiacciava un pisolino, un alieno ha rapito il suo amato cane Dingo. Per riscattare il suo amico a quattro zampe, il buffo pupazzo dovrà andare in cerca d'un prezioso cristallo rosso da consegnare nelle mani del rapitore. Come Machinarium la narrazione si sviluppa attraverso l'arte della pantomima. Nessun dialogo né cutscene. Solo l'espressività di gesti e suoni non verbali. Le affinità con il titolo degli Amanita Design si fermano però qui. La lieve malinconia ed il decadente clima che attraversavano le vicende del robot Josef sono state sostituita da una vena scanzonata che sfocia a tratti nel nonsense. Gomo ha il sapore d'una surreale slapstick comedy piena d'ingenue invenzioni comiche che non mancano di strappare qualche sincero sorriso. Sin dall'incipit narrativo, il gioco del team slovacco rinuncia a farsi prendere sul serio. Il fruitore non è chiamato a risolvere grandi misteri o a salvare il pianeta: tutto ciò che il protagonista rivuole indietro è il suo cane. Per il suo fedele compagno, Gomo è disposto a cercare il cristallo chiesto dall'alieno: un mero "MacGuffin" per una narrazione che non vuole portarci da nessuna parte se non tra allegri quadretti sapidamente disegnati. Il senso di meraviglia che suscitavano i ricchi scenari di Machinarium è andato irrimediabilmente perduto; il tratto grafico è meno dettagliato e più infantile. Le scelte coloristiche, sebbene garantiscano coerenza estetica, rischiano di generare un senso di piatta uniformità. Gli autori di Gomo riescono però a spezzare la monotonia attraverso le frequenti ed improvvise irruzione dei "fuori campo" nel quadro rappresentato e grazie soprattutto ad una costruzione scenica che sfrutta la profondità, creando piccole e divertenti scenette che si svolgono sullo sfondo. L'assenza di parola è compensata dall'efficacia mimica delle animazioni che, pur non andando oltre un tratteggio macchiettistico e cartoonesco, riescono a far affiorare alcuni tratti del carattere del protagonista come la sua puerile propensione ai dispetti gratuiti. Altrettanto espressivo risulta l'uso antinaturalistico dei suoni che colorano di buffe tonalità le azioni dei personaggi, così come perfettamente riuscito è l'accompagnamento musicale a base di stranianti ritmi elettronici.
    La frammentarietà dell'esperienza, composta dagli sviluppatori attraverso la rappresentazione di brevi scenette, esige uno sviluppo narrativo di corto respiro per evitare la ripetitività. Il pericolo è stato senza dubbio scongiurato ma, alla fine delle appena due ore su cui si attesta la longevità del titolo, è difficile non avvertire una fastidiosa impressione di vacuità e sostanziale inconsistenza.

    Un'avventura molto tradizionale

    Sul piano del gameplay, Gomo non ha nulla di nuovo da dire. I Fishcow nutrono scarso interesse nella ricerca di soluzioni capaci di portare una ventata d'aria fresca al genere delle avventure grafiche. Ciò che propongono è una successione di quadri, ognuno dei quali racchiude un puzzle che può essere risolto attraverso classiche meccaniche quali: la combinazione d'oggetti, la risoluzione di piccoli rompicapo logici o, semplicemente, azionando i corretti hotspot. Tutti gli elementi necessari allo scioglimento di un enigma sono sempre contenuti in un'unica scena e non esiste alcun collegamento tra i diversi puzzle; tutto ciò rende estremamente blando il tasso di sfida.
    La nostra libertà di movimento sarà rigidamente limitata e, una volta entrati in un nuovo scenario, non potremo proseguire né tornare indietro sinché non riusciremo a trovare la giusta chiave al rompicapo con cui siamo impegnati.
    Avremo a disposizione un piccolo inventario che è in grado di contenere sino a tre oggetti (ma raramente ne utilizzeremo più d'uno). Sul menù di gioco è possibile modificare il livello di difficoltà. Scegliendo la modalità "hard", rispetto a quella "easy" (di default), l'unica differenza apprezzabile sarà l'assenza dell'evidenziazione che indica la corretta interazione tra oggetti e hotspot.

    Gomo GomoVersione Analizzata PCOgni singolo tratto di disegno che contorna gli assurdi paesaggi ed i buffi personaggi di Gomo lascia trasparire la passione e la dedizione che gli sviluppatori hanno profuso in questo loro promettente esordio. Lo stile, però, prevale sulla sostanza, il mestiere sull’espressione. Il gameplay è scarno e gli enigmi non brillano mai né per complessità né per ingegno. Gli autori non hanno nulla da dire e nulla da raccontare eppure, in quel breve arco di tempo che costituisce la durata dell’avventura, riescono ad intrattenerci con la simpatia delle loro ingenue gag. Gomo è un innocuo passatempo usa e getta: divertente, ma che non lascia nemmeno un vago ricordo da portare con noi non appena lo avremo completato. Pur mostrando talento, i Fishcow mancano di coraggio e personalità. Si compiacciono della superficie e non scendono mai in profondità. Possiamo solo augurarci che, con il loro prossimo lavoro, i giovani sviluppatori slovacchi riescano a trovare quella ricchezza di sguardo e la voglia d’innovare di cui il mondo delle avventure grafiche ha assoluto bisogno.

    6

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