Recensione di Hard To Be A God

Progetto Hack'n'Slash

Recensione di Hard To Be A God
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  • Pc
  • Fumo metallico (tanto)

    Una radicata credenza popolare vuole che il peso e la consistenza di un manufatto ne determinino inequivocabilmente il valore produttivo. Devono pensarla certamente così i grafici che hanno realizzato la splendida confezione in metallo serigrafato di Hard to be a God. E non certo a torto. Impugnandola non si può che rimanere sorpresi dell'attenzione al dettaglio che gli è stata dedicata: tanto nel materiale, satinato e con caratteri a sbalzo, quanto nell'evocativo artwork fantasy stampato sulla superficie della stessa. Di primo acchito la sensazione è di avere a che fare con un videogioco di indubbia qualità e non saranno certo pochi quelli che lo acquisteranno anche solo per via del suo accattivante aspetto esteriore.

    Arrosto digitale (pochino)

    Lo sforzo del publisher è stato esemplare nel valorizzare al massimo l'appeal del gioco, lo stesso non si può dire purtroppo del lavoro compiuto dagli sviluppatori, ironicamente proprio a partire da un "aspetto esteriore" decisamente lacunoso sul piano tecnico: texture e poligoni di qualità e dettaglio altalenanti, una palette cromatica eccessivamente satura, più i numerosi artefatti grafici derivanti da un sistema di ombre volumetriche approssimativo. Tutto ciò, unito ad animazioni ai minimi sindacali tradiscono un quadro tecnico in ritardo di almeno tre anni rispetto allo standard attuale.
    D'altra parte va sottolineato che non sempre ciò è sinonimo di un prodotto scadente, il recentissimo The Witcher (Clicca QUI per leggere la nostra Recensione) ha dimostrato brillantemente che un motore grafico non certo all'ultimo grido come quello di Neverwinter Nights, se modificato e potenziato con cognizione di causa, può dire la sua anche in questo 2008 particolarmente agguerrito. Cos'è dunque a differenziare in maniera così radicale due titoli che poggiano le rispettive fondamenta su impalcature ugualmente fatiscenti? La risposta al quesito posto riguarda non solo la componente grafica, ma è in realtà il leit-motiv alla base del fallimento di Hard to be a God e contemporaneamente dell'inaspettato successo della piccola perla di CD Projekt Red. Benché entrambi i team avessero a disposizione due eccellenti universi letterari da sviscerare, solo gli sviluppatori polacchi sono stati in grado di rendere giustizia al tetro universo medievale/steam-punk di The Witcher ad opera dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski; il merito va sicuramente all'ispirazione e all'impegno che questi hanno profuso nel tradurre il più fedelmente possibile le parole dell'autore in ambientazioni, personaggi, nemici, architetture, agglomerati urbani. Esattamente al contrario del modus-operandi di Burut e Akella, i cui contributi creativi sono stati indubbiamente superficiali e generici, col risultato di rendere la controparte virtuale dell'altrettanto affascinante Hard to be a God dei fratelli Arkadi e Boris Strugatsky, completamente anonima e priva di qualsivoglia aderenza all'opera originaria. La decisione di ambientare il gioco diversi anni dopo gli eventi descritti nel libro non sarebbe stata di per sé malvagia, una volta che il primo si fosse basato su una narrativa di pari livello rispetto al secondo; purtroppo la storia creata appositamente dagli sviluppatori, oltre che essere priva di ritmo e tensione, è raccontata tramite blande e sgraziate sequenze non interattive ricreate tramite il deficitario motore grafico. Queste, ulteriormente appesantite da un doppiaggio inespressivo, per non dire dilettantesco e da testi scritti egualmente ridicoli per argomentazioni e toni, demoliscono letteralmente la credibilità del gioco. Dopo poche ore si avrà così la netta impressione di essere all'interno di una sgradevole ed involontaria parodia del gioco di ruolo fantasy tutto.

    Fretta, cattiva consigliera

    La sensazione che Hard to be a God sia stato frutto non solo di inesperienza ma, peggio ancora, di svogliataggine è ravvisabile nelle numerose imperfezioni, più o meno gravi, che lo costellano. Basti pensare al brusco debutto che vede il giocatore scaraventato all'interno di un forte della Guardia Imperiale senza alcuna introduzione, sia essa scritta o filmata. E dopo una brevissima fase di allenamento sarà già tempo di occuparsi delle prime missioni. Queste ultime sono spesso pretestuose ed in ogni caso raramente originali o anche solo vagamente intriganti; permettono di quando in quando un approccio più discreto rispetto alla carneficina indiscriminata tipica dell'Hack'n Slash, genere a cui Hard to be a God va senza dubbio ascritto (sebbene le aspettative inizialmente fossero ben altre), ma in ogni caso non sono nulla di particolarmente memorabile, beninteso. La meccanica di gioco ricalca come detto poc'anzi quella tipica del filone capeggiato da Diablo e relativi cloni al seguito, purtroppo alcune leggerezze in fase di sviluppo hanno compromesso anche soluzioni che sembravano oramai ultra-collaudate come i sistemi di controllo e puntamento: spessevolte imprecisi, richiedendo più e più tentativi per recuperare gli oggetti e/o colpire gli avversari, con tutte le ovvie conseguenze allorquando la battaglia si facesse particolarmente concitata o nel malaugurato caso in cui due o più cadaveri venissero a sovrapporsi. Stesso identico discorso per quanto concerne l'interfaccia di dialogo, sicuramente farraginosa nell'esigere la pressione di un numero irragionevolmente alto di tasti per compiere una banale selezione tra le classiche risposte multiple. Perfino la telecamera fa la sua parte nel rendere l'esperienza di gioco insoddisfacente: un'infelice via di mezzo tra la classica isometria a volo d'uccello e la visuale libera; questa stramba sintesi sembra essere riuscita nell'incredibile impresa di incorporare tutti i difetti e contemporaneamente nessun pregio di ambedue le tipologie! Straziante.
    Due degli aspetti più interessanti rilevati in fase di anteprima (Clicca QUI per leggere l'articolo) erano il combattimento a cavallo ed il sistema di classi correlato alla tipologia di indumento indossato: purtroppo per l'ennesima volta Hard to be a God riesce a deludere in entrambi i casi: se la cavalcatura è utile per accorciare i tempi di spostamento, al contrario diventa un grosso intralcio in fase di combattimento per colpa della sua incredibile macchinosità ed imprecisione; mentre le classi, solitamente le possibili "chiavi interpretative" del gioco di ruolo per computer, risultano perlopiù superflue ed indifferenziate. Tolti sporadici episodi chiave in cui travestirsi è richiesto espressamente per completare missioni peculiari, impersonare un Ladro, un Don, un Monaco, un Brigante, un Grigio, o Cittadino della LRA (questo è l'elenco esaustivo...) non avrà ripercussioni rilevanti sulla condotta di gioco, men che meno sulla storia.

    Hard To Be A God Hard To Be A GodVersione Analizzata PCQuella di Hard to be a God è una bocciatura su tutta la linea, come avrà capito chiunque sia arrivato a leggere sino a questo punto. Si salva davvero poco di questo scapestrato prodotto, il quale potrebbe risultare gradevole solo ed esclusivamente a chi volesse avvicinarsi per la prima volta al genere dell’Hack’n Slash senza alcuna pretesa. Più che semplice, semplicistico, tralasciando la “confezione tecnica” senza dubbio datata e tutto il coacervo di bug e difetti che lo affliggono a rammaricare più di ogni altra cosa è la bruciante sensazione che Hard to be a God sia stata una grandissima occasione sprecata.

    4

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