Recensione Hippocampal: The White Sofa

L'Odissea Nello Spazio (Videoludico) di Freegamer

Recensione Hippocampal: The White Sofa
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  • Sulla questione dell'ippocampo torneremo spesso, nel corso dell'articolo: per ora basti sapere che si tratta di una regione del cervello di forma ricurva (tanto da ricordare il cavalluccio marino) che ha un ruolo centrale nei processi mnemonici e (forse?) nella percezione dello “spazio” (altra parola chiave, come vedremo). Gli sviluppatori stessi sono già in qualche modo “ippocampali”: è difficilissimo collocare il team indipendente Freegamer da qualche parte... I giochi di questi autori sono difficili da reperire, e non si riesce a comprendere “dove siano” esattamente. Un esempio perfetto è rappresentato dal primo gioco degli sviluppatori (francesi?), ovvero Vigil: Blood Bitterness, interessante avventura punta-e-clicca disponibile su Steam dal 2007. Per poter iniziare a giocare si devono compiere veri e propri salti mortali tecnologici, dal momento che il gioco non è direttamente acquistabile dallo store di Valve (sic! Il consiglio è di rivolgersi a negozi online di chiavi di gioco, come Kinguin), e per poter essere avviato necessita della demo di R.I.P. Trilogy (basta che sia presente in libreria, l'installazione non è richiesta). La confusione, anche solo per accedere al gioco, è tanta. Con Hippocampal: The White Sofa la situazione, almeno in partenza, è più “comoda”, ma i “problemi” non tardano ad arrivare...

    ODISSEA NELLO SPAZIO

    Hippocampal, secondo le parole degli autori, è un gioco “satirico-contemplativo”, un titolo in cui vengono prese di mira le abitudine videoludiche dei giocatori e viene proposta un'interazione “ridotta all'osso”, limitata alla “navigazione” nello “spazio” (vedremo quale accezione di spazio adottare di volta in volta, per ora è meglio rimanere nel dubbio, garantito dall'ambiguità del termine). Un'interazione appunto contemplativa. Non si tratta certo del primo esperimento in questo senso: l'idea di ambiente videoludico, inteso come luogo virtualmente (e di conseguenza realmente) abitabile in cui la prima (inter)azione è già l'esistenza stessa, è stata recentemente riscoperta da molti videogiochi, come Gone Home, Dear Esther, Proteus, The Novelist, Little Inferno, Dinner Date, The Stanley Parable e altri ancora. Sono tutti titoli in cui l'ambiente (e di conseguenza l'interazione, anche involontaria e/o indiretta, con esso), pur con le dovute differenze nella creazione e nei modi di intervento su un dato spazio, viene riscoperto come elemento centrale dell'esperienza ludica.

    La struttura di The White Sofa è quanto mai semplice e comprensibile: l'obiettivo è semplicemente quello di raccogliere quattro oggetti in ognuno dei tre “livelli” presenti nel gioco. Si è già detto della componente ironica che permea l'intera produzione, ed è ora il caso di ritornare sull'argomento: i suddetti oggetti, così come molti altri elementi di gameplay che avremo modo di considerare, sembrano prendere di mira le abitudini, le consuetudini e i cliché videoludici, con l'intento di “spaesare” il giocatore, sia dal punto di vista ambientale che da quello mentale. Ci si trova, così, nei panni dell'astronauta Mr Kurt C, a vagare per luoghi dal level design quantomeno contorto in cerca di palette (quella da mare, non quelle dei colori, ma torneremo anche sulla questione grafica) e secchielli spaziali, cavallucci marini dalle fattezze simil-aliene, veicoli e/o copie del protagonista intente a saltare tra le rocce, tra effetti sonori presi di peso dalla quotidianità “umana” e con una soundtrack frammentata, sparsa qua e là nella varie a(e)ree. Tutto sembra congegnato per nascondere un mistero che non c'è, per far credere al giocatore di essere realmente alla ricerca di qualcosa. E in tutto questo, naturalmente, lo spazio è il vero protagonista del gioco. Ma non un protagonista “positivo”, “gioioso” come quello sperimentato nel già ricordato Proteus, quanto una sorta di antagonista, di nemesi malefica, di meccanismo (claudicante e malconcio) da comprendere nel suo enigmatico funzionamento.

    ANDAVO A DIECI FPS (PER TROVARE LA CIAMBELLA)...

    Si parlava di spazio inteso come un “nemico”. Effettivamente il qui presente Hippocampal sembra voler far di tutto per lavorare sulla rabbia del giocatore (come già accaduto in Vigil: Blood Bitterness, per il quale gli autori hanno dichiaratamente espresso la volontà di creare un gioco basato sulla frustrazione dell'utente), ma anche per creare una navigazione spaziale e un'interazione con il mondo di gioco diversa da quelle già sperimentate in altri titoli. Questo “grazie” a un frame rate bloccato ai dieci fotogrammi per secondo (anche con tutti gli espedienti di questo mondo, dall'uso di un file .ini all'intervento sulle impostazioni del gioco, che tra l'altro non sono nemmeno disponibili nel menu principale: si può lavorare sulla resa grafica, anche se in maniera piuttosto grossolana, solo premendo il tasto “Tab” e digitando comandi raccolti sotto la voce “Show”). E qui arriva il difficile: il difficile è comprendere se questa sia una scelta volontaria o un incidente di percorso, se si tratti di una consapevole decisione di game design o di un'ottimizzazione inesistente... Eppure, come si accennava, il fatto di vivere al rallentatore rende Hippocampal diverso da molti altri giochi. Costituisce una sorta di carattere distintivo dell'opera. Che importa in fondo se tutto questo è accaduto per caso (ci sarebbe comunque da discuterne, visto che fra i mille problemi presenti nelle altre produzioni Freegamer, tra cui va annoverato anche Monster Challenge Circus, solitamente non c'è quello di un frame rate troppo basso)? L'importante è andare a vedere cosa significa sul piano del gameplay, come si ripercuote, insomma, sul funzionamento del gioco.

    Da un primo punto di vista si potrebbe vedere questa “scelta” come figlia di quell'ironia di cui sopra: il frame rate, elemento tecnico tra gli altri, viene preso in giro e sbeffeggiato, perché effettivamente, e sorprendentemente, un gioco esiste anche a 10 fotogrammi per secondo, o anche meno. E diventa un'esperienza (ancora più) allucinante. Da un altro punto di vista, però, l'esistenza rallentata dell'astronauta protagonista e del suo “im-mondo” (cioè terribile mondo interiore) è funzionale alla costruzione dello spazio propria del gioco. The White Sofa vuole mettere alla prova la percezione ambientale del giocatore, e creare architetture complesse e impossibili non basta. Si interviene allora su un elemento considerato troppo spesso sottinteso, dato di frequente per scontato, ovvero la velocità stessa della visione. Di fatto, dopo mille tentativi e mille problemi, si comincia a scendere a patti con un mondo “a passo uno”, un universo in “stop motion”. La concezione spaziale, con questo semplice espediente, cambia completamente, perché si è costretti a girare in tondo agli stessi elementi dello scenario più e più volte (come le cavie da laboratorio utilizzate negli esperimenti per gli studi sull'ippocampo) per potersi orientare.

    (IPPO)CAMPA CAVALLO!

    E in tutta questa “Odissea nello Spazio/Spazio” (non mancano infatti i riferimenti diretti al vagabondare dell'occhio nei meandri dell'universo di Kubrick), si impara anche che le collisioni possono essere facoltative, o almeno arbitrarie. Non tutti gli elementi sono “fisici”, alcuni sono ectoplasmi attraversabili, altri sono muri invalicabili. E anche qui ci si fa gioco (facendo un gioco) delle abitudini dell'utente.
    Volendo chiudere il discorso sulle funzioni dell'ippocampo rappresentate attraverso il medium videoludico, è però necessario affrontare ancora un paio di punti. Una delle teorie riguardanti questa parte del cervello è quella dell'inibizione che, almeno in passato, sosteneva la centralità dell'ippocampo per quanto riguarda la velocità (non a caso?) dei movimenti: secondo vecchi studi, danni all'ippocampo provocherebbero iperattività nel soggetto colpito. L'ippocampo, elemento anatomico ancora misterioso, almeno in parte, svolgerebbe dunque un'importante azione “frenante”.
    Un ippocampo mal funzionante (come quello di The White Sofa?) sarebbe inoltre causa della difficoltà ad inibire azioni “insegnate precedentemente” (l'inerzia e la “scattosità” con cui si muove il protagonista sono indicative, in questo senso).

    Tutto questo senza dimenticare il ruolo che l'ippocampo ha per quanto riguarda la memoria, che è in realtà più vicina all'idea di ambiente di quanto ci si potrebbe aspettare. Trovare l'uscita dai “labirinti” cerebrali del gioco significa riuscire ad orientarsi, ma anche a ricordare l'esatta posizione di scene d'intermezzo, eventi e oggetti vari. La navigazione spaziale e la memoria, in questo modo, collaborano per l'orientamento, insomma...
    In definitiva, Hippocampal: The White Sofa è un gioco molto grezzo e a tratti veramente difficile da digerire, a causa delle questioni tecniche già elencate. Un gioco nudo e crudo, diretto e graffiatissimo, che risponde perfettamente alla “missione” produttiva e culturale scelta dai ragazzi di Freegamer: “lavorare di nuovo con lo spirito dei giochi da garage, lo stesso che ha permesso la nascita dei primi videogiochi”. Una filosofia che porta a creare opere talvolta sgangherate, ma proprio per questo capaci di arrivare all'essenza e al non-senso del (video)giocare.

    Hippocampal: The White Sofa Hippocampal: The White SofaVersione Analizzata PCHippocampal: The White Sofa è un videogioco problematico e difficile da comprendere, un lavoro grezzo e mal funzionante, non è dato sapere se per volontà creativa o per trascuratezza e basta. Ma spesso gli elementi involontari e casuali diventano motivo d'interesse... Si tratta di un gioco “ambientale”, un titolo in cui lo spazio esplorabile diventa centrale e viene riscoperto come essenza, come caratteristica principale dell'interazione videoludica. Un titolo ironico e satirico, che prende di mira le abitudini (e le “esigenze”?) dei (video)giocatori, costretti a vivere in un labirintico mondo virtuale dalle regole oscure eppure semplicissime e basilari, il tutto nei panni di un astronauta alle prese con alieni “tentacolari” e cavallucci marini dello spazio. Un gioco claudicante e imperfetto, insomma, che ha il pregio di esplorare nuove possibilità ludiche (il videogioco può esistere anche ai dieci fotogrammi per secondo!) e di mettere in discussione le certezze e le acquisizioni date per scontato sul mondo videoludico (e non solo).

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