Recensione ICO & Shadow of The Colossus Collection

Una raccolta fatta di sogni e capolavori immortali: tornano le due grandi avventure del Team ICO in un'edizione rivitalizzata su Ps4.

Recensione ICO & Shadow of The Colossus Collection
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  • PS3
  • ICO e Shadow of the Colossus sono due capolavori senza tempo. Diretti dall'estro creativo di Fumito Ueda, d'un colpo celebrano e giustificano la generazione ludica appena trascorsa. Sono due videogiochi fatti di sottili suggestioni emotive, ammantanti da una poesia visiva che costantemente, in ogni scorcio, disvela la sua pienezza. Travalicando la logica di genere, si avvicinano in maniera irrazionale e bellissima a quella che l'uomo chiama, da secoli, Arte.
    Chi non conserva il ricordo, ancora vivido, dell'incredibile esperienza con questi due titoli, potrebbe considerare addirittura esagerato questo cappello introduttivo. Ma la verità è che oggi come allora i due prodotti mostrano arditissime soluzioni di Game Design, e superano gran parte della produzione moderna e contemporanea, fino ad irretire lo spettatore grazie al magnetismo delle soluzioni tecniche e stilistiche.
    In breve, ICO e Shadow of the Colossus dovrebbero far parte del bagaglio culturale di chiunque voglia definirsi un vero videogiocatore. E' quindi un peccato che i due titoli abbiano incontrato il mercato in tempi non sospetti, lontani dalla recentissima mobilitazione di massa, raggiungendo un numero decisamente esiguo di giocatori. Rarissime, le edizioni cartonate delle due opere di Ueda rappresentano ancora l'oggetto del desiderio di molti collezionisti, ma per i retrogamer incalliti prezzo e reperibilità sono proibitivi. Ecco dunque che il rilascio di una Collection HD, sulla scia delle molte uscite recentemente, deve essere salutato con grande entusiasmo e soddisfazione. Il recupero di questi due pezzi di storia videoludica è una tappa fondamentale per valorizzare la Line-Up esclusiva di Playstation 3, consegnando nelle mani delle nuove leve una “chiave di lettura” per reinterpretare gran parte delle opere recenti.
    E se pure di “operazione commerciale” volessimo parlare, risulterebbe davvero difficile utilizzare propriamente questo appellativo, dal momento che i giochi che abbiamo di fronte sono lontanissimi dai gusti del popolino, e ancora evasivi, particolari, insoliti.
    Impreziosite dalla pulizia dell'alta definizione, nonché da un'ottimizzazione tecnica di cui purtroppo non hanno potuto godere in gioventù, le due opere di Ueda ci vengono oggi riconsegnate in un pacchetto dal valore incalcolabile, che non dovrebbe mancare in nessuna ludoteca.

    La luce della solitudine

    La sequenza iniziale si apre inquadrando la lineare bellezza di un bosco. La luce filtra dalle fronde degli alberi, facendo esplodere il verde rigoglioso delle foglie. Basta un'immagine -un attimo- e siamo in un mondo diverso, antico, in cui si può ancora scoprire una naturalità incontaminata che incontra architetture gargantuesche e secolari. C'è un drappello di uomini che avanza a cavallo, trascinando con se uno strano giovane. E' un bambino nato con le corna: un cattivo presagio, segno del demonio. Così, per il bene del villaggio, questo illegittimo figlio del peccato deve essere rinchiuso, dimenticato per sempre: sepolto vivo nei loculi di un castello sconfinato. Mentre il macabro rituale si compie, la telecamera indugia sulle mura antiche, corrose dal tempo. Non ci dicono nulla di più, ma sappiamo che sui torrioni e sui merli, sui ponti di pietra, pesa il veto del tempo, il logorio dei secoli.
    ICO viene lasciato a morire, solo. Ma i giochi del destino sono curiosi, ed una piccola scossa tellurica fa cadere la sua tomba di pietra, liberandolo nella solitudine del castello.
    Passano pochi minuti prima che il protagonista incontri una bianca fanciulla, Yorda. Un essere delicato, fragile, quasi come se fosse fatto di luce. Anche lei è prigioniera, e braccata. Strani esseri d'ombra, malefiche creature di fumo e cenere, escono dalle pareti per rapirla, e trascinarla via, nei vortici di buio da cui sono emerse. Yorda è bellissima, impaurita, e parla una strana lingua di cui non capiamo una parola. Sappiamo solo che dobbiamo proteggerla, mentre tentiamo di scappare da questo labirinto di pietra e mattoni.

    ICO è un gioco essenziale, diretto, che lavora per limare e rifinire l'aspetto narrativo e quello ludico, consegnando al giocatore un meccanismo davvero perfetto in tutte le sue parti. Ueda fa in modo che sin da subito l'utente si perda nei conturbanti silenzi delle stanze abbandonate, affascinato dal profilo architettonico di un enorme relitto di pietra. Lo stick analogico destro serve soltanto a muovere la visuale, esplorando con curiosità le asperità delle pareti, le stranezze di marchingegni sofisticati, il gioco dei raggi di luce che di tanto in tanto penetrano dall'alto, inondando i pavimenti e diluendone i contorni. Il rapporto che si crea con l'ambiente è davvero unico, e buona parte della sostanza di ICO gira attorno a questo. Il titolo è infatti un adventure game tutto giocato sulla componente “enigmistica”, tant'è che la sovrabbondanza di rompicapi ambientali passa spesso il confine del Puzzle Game. Non ci sono trappole da superare: solo gli ostacoli antichissimi di ponti sospesi e corde, di torce votive e blocchi da spostare. La progressione, di stanza in stanza, prosegue seguendo una stringente logicità, e quello che al giocatore è richiesto è spirito d'osservazione e prestanza d'ingegno. Occorre però capire che ICO, nell'arco di sei ore densissime, non si stanca mai di lasciare il giocatore a bocca aperta, incantandolo con alcuni degli scorci più evocativi di sempre. Sovrastato dalla smisurata vastità dei colonnati, dalle proporzioni fuori scala degli androni, l'utente si abbandona frastornato alla meraviglia del luogo, sentendosi al contempo stupito e sperduto. La morbida amarezza di una solitudine esistenziale, evocata dal rumore del vento e dai prolungati silenzi, si attenua nell'incontro delicato con Yorda, che si muove come un fantasma pallido e muto. ICO può chiamarla, prenderla per mano, conducendola come fosse un cavaliere senza paura attraverso le stanze del castello. Di tanto in tanto, armato di un bastone o di una spada poco affilata, deve proteggerla dall'assalto delle creature d'ombra, in sessioni poco più movimentate (ma non del tutto riuscite a livello ludico). E questa ansietà costante, l'assillo di custodire la bellezza di una giovane dai tratti gentili, è un turbamento che si aggrappa allo stomaco del videoplayer, fino a diventare una strana necessità, in un rapporto di simbiosi davvero sentito.
    Costruire emozioni così forti, vibranti e sincere, è una conquista rara per un videogioco; ma ICO riesce alla grande ad ammaliare l'utente, che ora vorrebbe perdersi ad esplorare ogni angolo dell'enorme maniero, ora vorrebbe poter stringere la mano di Yorda appena più delicatamente.
    Pare chiaro, insomma, che soprattutto grazie alla sua artisticità non comune, alle sue originali soluzioni espressive, ICO non senta minimamente il peso e i segni del tempo. L'opera prima di Ueda si è “conservata” magnificamente, e l'adattamento HD non fa che valorizzarla ulteriormente. Svanito qualunque rallentamento, il colpo d'occhio si fa più estroso grazie alla definizione delle texture, pur non nascondendo ovviamente la sua genesi. Ma la mole poligonale ridotta non è un intralcio alla possibilità di apprezzare ancora oggi lo stile magnifico e magniloquente. ICO è la dimostrazione lampante che non serve il fotorealismo per stupire: seppur molto semplici, le animazioni sono tremendamente comunicative, ed il gioco continuo di chiaroscuri, l'alternanza fra la luce ubriacante che deborda dai margini delle porte e l'ombra fredda che si allunga dai muri, è uno spettacolo che ha davvero pochi paragoni nella recente storia videoludica. E' difficile descrivere la meraviglia provata quando si scopre una zolla di verde chiusa fra le mura del castello, o uno specchio d'acqua ai margini di un vecchio mulino.
    ICO, lo ripetiamo, non è solo stile e sentimento. Nella scandita sequenza di stanze che il duo attraversa si scoprono geniali soluzioni di level design, efficacissime e semplici, ma comunque ben nascoste. Non c'è nulla di simile nella produzione moderna. Anche perchè ICO non guida il giocatore, ma lo lascia davvero solo: lo abbandona in un enorme tomba di pietra, e gli chiede -semmai- di salvarsi. Salvando, per suo conto, idee e valori che questa industria sembra avere ormai dimenticato.

    L'ombra della divinità

    Lei è morta. Sacrificata per chissà quale capriccio. Ma è sempre bellissima, mentre il vento le accarezza i capelli, e li muove ancora lungo la sua pelle.
    E' morta, ma forse c'è una speranza. Le leggende parlano di un luogo al di fuori del tempo, in cui albergano le ultime vestigia di divinità cadute. In questo posto, anche gli umani possono sfidare le leggi della natura. Ed è qui che comincia l'avventura di Shadow of the Colossus, dove un eroe senza nome depone il corpo della sua amata. Una voce celeste, che discende sulla terra assieme a raggi di luce pura, ci dice cosa dobbiamo fare per ottenere il potere degli dei: uccidere sedici colossi, enormi creature che abitano questa terra dimenticata.
    Comincia così, dopo un preambolo misterioso e affascinante, il viaggio lungo e logorante di un ragazzo spinto dall'amore e dalla determinazione. In sella al fido cavallo, Agro, l'eroe segue la scia di luce riflessa dalla sua spada, che indica il luogo da raggiungere. La sostanza ludica di Shadow of the Colossus è molto più particolare rispetto a quella di ICO. Ci troviamo di fronte ad un action adventure lontanissimo dalla logica di genere, che anzi la manda all'aria volutamente, sacrificano però compostezza e varietà. Shadow of the Colossus è un titolo senza combattimenti, senza enigmi, fatto solo d'esplorazione e “boss fight”. Solcando le immense pianure di questo luogo sacro, si raggiungono gli enormi colossi: immensi per davvero, terrificanti e terribili. Semoventi strutture di carne e di pietra, ricolmi di concrezioni ossee, coperti da maschere rocciose. Creature davvero pachidermiche, sulla cui pelle cresce da secoli una mucillagine muscosa. Sappiamo soltanto che dobbiamo abbatterli, armati di una piccola spada e di un tesissimo arco. Lo scontro con i colossi diventa dunque una prova d'ingegno e sagacia. Osservarli con attenzione, guardare i loro movimenti, è il primo passo per imbastire una strategia. E poi ecco l'assalto, aggrappati con forza ai loro corpi mentre si dimenano a più non posso, cercando di scacciare quella mosca fastidiosa che gli cammina sul ventre, sulla testa, pungendoli con il suo spadino affilato. Ogni colosso è un scontro a sé, con le proprie logiche e le sue routine: quasi come se ci trovassimo ad attraversare una piccola cittadella animata, scoprendone le insidie. Molto si basa sulla solidità della presa del protagonista, che deve riposarsi di tanto in tanto per restare ancora attaccato agli arti dei giganti. E' insomma un gioco di logica e tempismo, saldamente stimolante. Ma è anche un gioco iterativo: Ueda fa di tutto per sorprendere il giocatore, e come nel caso di ICO ha successo: ci porta prima nelle profondità dei laghi, e poi addirittura in cielo, sul dorso di un enorme colosso volante. Ci sorprende con queste enormità splendidamente caratterizzate, bellissime, dalle forme minacciose o gentili. Ma alla fine il percorso che si compie è sempre lo stesso: una corsa a cavallo, ed uno scontro duro e impietoso. Nel mezzo, certo, c'è l'esuberante profilo naturale di una valle bellissima. Ci sono i monti e le spiagge, i boschi e le paludi avvolte dalla nebbia. E, disseminati qua e là, i resti di qualche palazzo antico, violati dell'edera e dal rodere sordo dei giorni. E' uno spettacolo letteralmente da brividi, valorizzato da un'estetica delicatissima: la luce che fora le nubi è timida, rarefatta, e come un pulviscolo si deposita sulle cose, raramente indugiando sulla vetta di qualche collina. Lo sguardo non trova pace neppure all'orizzonte, vastissimo, ma sempre aperto su scorci straordinari. Eppure, si diceva, è impossibile non avvertire il fantasma della ripetitività che si affaccia su questo paradiso, infestando soprattutto i pensieri di chi è più sordo al fascino delle architetture naturali (o a quello, incredibilmente conturbante, di un'idea portante così originale e unica).
    Al di là di questo, capire Shadow of the Colossus senza avere in mente le prospettive di ICO è forse complicato. La seconda opera è pervasa da un rintocco funereo che mancava nel videogioco d'esordio. Chiaramente, non appena il drappo nero che copre il corpo della fanciulla si alza, questo pressante senso della morte invade tutta la vallata. Quello di ICO era un viaggio in cerca della vita vera, della libertà: ancora c'era spazio per la brillantezza piena del sole. Il nostro “wanderer”, invece, compie il suo viaggio per salvare un'idea perduta, morta: quella di un amore che non ha avuto compimento. E sarà infatti un viaggio che conduce alla perdita dell'umanità. Quando i colossi cadono il denso fumo nero che sembra riempirli entra nel corpo dell'eroe, che lentamente perde i suoi connotati. E' il simbolo di un peccato mortale: lo avverte chiaramente anche il giocatore, che maledice la determinazione di queste creature antiche quanto il tempo, ed enormi, ma innocenti, quasi impotenti, e bellissime.
    In ICO la solitudine esistenziale si mescolava sempre con la meraviglia di un rapporto prezioso. Qui, nella valle delle divinità cadute, il silenzio di Agro è quello di una bestia fedele, che segue in silenzio il capriccio d'onnipotenza del suo padrone.
    E ancora, il sottotesto del primo lavoro era semplice, lineare, fatto dell'incomunicabilità fra due mondi, e di una giovane ragazza in fondo come tutte le altre. Tant'è che pure un secondo Playthrough, traducendo gli ideogrammi della lingua di Yorda, raccontava una storia di tutti i giorni: del litigio fra madre e figlia. In Shadow of the Colossus, invece, si scopre una mitologia complessa e stratificata, piena di rimandi biblici. Dietro a Dormin, entità suprema che ci impone il gravoso compito, si nasconde forse la figura di Nimrod, antico Re di Babilonia, il cui corpo fu diviso in 16 parti (!), custodite in altrettante cittadelle. Se davvero fu suo il progetto della torre di Babele, ecco che il viaggio dell'eroe è il viaggio disumano di chi vuole arrivare a toccare dio.
    Insomma, quella di Shadow of the Colossus è un'esperienza parallela rispetto a quella di ICO: le due opere dialogano -come fanno i grandi testi artistici degli autori più fecondi- in un toccante intreccio di significati e soluzioni ludiche. E sono entrambi ricchi di suggestioni, anche il primo appare più compiuto dal punto di vista delle meccaniche di gioco e dell'universale bellezza visiva.
    Ma certo, c'è poco da togliere all'immensità di Shadow of the Colossus, che vive una “seconda giovinezza” grazie all'ottimizzazione tecnica, sempre attenta a valorizzare le texture ma soprattutto a far sparire i rallentamenti che compromettevano in qualche caso una fruizione serena.
    Il secondo lavoro di Ueda è anzi uno dei pochi prodotti che, dovendosi confrontare con l'enormità del capolavoro che l'ha preceduto, accetta la sfida e rilancia, facendosi ancora più schivo e più difficile da inquadrare, e puntando tutto sull'originalità, sullo stile, sulla fecondità creativa.

    ICO/Shadow of The Colossus Collection ICO/Shadow of The Colossus CollectionVersione Analizzata PlayStation 3ICO & Shadow of the Colossus HD Collection è una raccolta da non perdere. I due titoli hanno resistito, granitici, alle ingiurie del tempo, ed anzi oggi, in un universo creativo sempre più arido e desertificato (pronto a stupirci con effetti speciali ma non con idee visionarie), risplendono ancora di più. E non è grazie all'ottimizzazione tecnica: la forza di uno stile evocativo e brillante basta da sola a reggere l'imponente statura di ogni inquadratura. Così come, d'altra parte, nelle soluzioni coraggiose e originali, si riscopre tutta la genuina bellezza di giochi che valorizzano e rincorrono il nuovo. E con un tocco di malinconia, ci tocca ammettere che questo turbine scomposto di emozioni incantevoli, si agita e si contorce nei nostri cuori grazie a due giochi su cui ormai si è depositata la polvere dei ricordi.

    9.5

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