Recensione Okamiden

Il seguito di uno degli Action Adventure più belli della scorsa generazione arriva su Nintendo DS

Recensione Okamiden
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  • DS
  • In principio fu Zelda. Il primo titolo della saga Nintendo ed i suoi successori di fatto crearono un nuovo genere, che mischiava elementi degli RPG ad altri dei giochi d'azione. Il gioco a la Zelda di fatto potrebbe essere un genere a sé stante, dato che nel tempo di fatto pochi altri esperimenti riuscirono a replicarne non tanto il successo e la qualità, ma anche solo l'impostazione della struttura di gioco. Questo è ancor più vero quanto più ci avviciniamo ai giorni nostri: similmente a quanto avvenuto col genere platform, Nintendo ha completamente occupato lo spazio creativo a disposizione degli "emuli", e gli sviluppatori gliel'hanno lasciato pavidamente fare. Troppo impauriti dal confronto con un colosso del genere, annichiliti dalla probabilità di un insuccesso: perché se è vero che negli anni le saghe Nintendo si sono rinnovate poco, è altrettanto palese che il livello qualitativo espresso da tali titoli si è dimostrato essere pressoché innavicinabile per qualunque software house.
    Ci provarono, riscuotendo un buon successo di critica (minore quello riscontrato tra il pubblico) i ragazzi di Clover nel 2006. Okami di fatto rappresentò allora l'unica alternativa a Zelda, sebbene nulla facesse per nascondere la chiara ispirazione dalla saga Nintendo. Ma in molti elementi riusciva a brillare di luce propria, grazie a particolari soluzioni del gameplay (il Pennello Celestiale su tutte) e ad un feeling unico, creato tramite una grafica allo stato dell'arte e le connessioni alla mitologia nipponica.
    A distanza di cinque anni arriva in Europa il seguito diretto di Okami, Okamiden appunto, che promette di prolungare e migliorare l'ottima esperienza di gioco del suo predecessore.

    Un lupetto all'avventura

    Cronologicamente parlando gli eventi di Okamiden si svolgono giusto nove mesi dopo la conclusione delle vicende di Okami. Amateratsu è tornata in cielo e da lì vigila sul mondo, ed il malvagio Yami è stato sconfitto. Non per questo però il male si deve ritenere estirpato dalle lande di Nippon: demoni malvagi hanno infatti ripreso a infestarne le terre, terrorizzando la popolazione e corrompendo e avvelenando la natura. Forse per la necessità di un eroe che nuovamente torni a salvare il paese dal male, ecco che dal cielo nuovamente un lupo bianco scende sulla terra. Ma non è Amateratsu, la dea del primo episodio: è il suo piccolo cucciolo, Chibiteratsu, che con l'aiuto di vari piccoli compagni dovrà nuovamente riportare la pace su Nippon.
    Spostare la narrazione dal punto di vista di un gruppo di bambini, e da quello di un cucciolo, è un passo coraggioso per il team di sviluppo, ma che dà i suoi frutti. Gli adulti sembrano essere impotenti di fronte a quello che sta succedendo, e quello che è il figlio di una divinità a loro sembra solo un piccolo cagnolino. I bambini no: loro hanno la sensibilità e l'ingenuità dell'inesperienza, ed ecco quindi che -più come il seguito di Okami- Okamiden da subito sembra configurarsi come la sua versione “chibi”. Persino le divinità portatrici di poteri per il pennello lasciano spazio ai loro piccoli cuccioli.
    Il fatto che Chibiteratsu per la maggior parte del gioco sia accompagnato da un piccolo amico è sostanzialmente la maggior differenza nel gameplay tra Okamiden ed il suo predecessore. Dato che ognuno di loro ha caratteristiche diverse che impattano in maniera decisa sullo svolgimento dell'azione di gioco, la varietà di situazioni ne beneficia particolarmente, sia nell'ambito dei combattimenti che, maggiormente, in quello dei dungeon, pieni zeppi come sono di enigmi da risolvere. Pertanto si passa da Kuni, efficace in combattimento grazie alla sua spada, alla sirena Nanami, capace di scatenare il potere dell'acqua, a Manpuku, letale con il fuoco, con sempre però il piccolo e tenero cucciolo al centro della scena. L'interazione tra la coppia di compagni è infatti fondamentale, e mano a mano che si sbloccheranno nuovi poteri per il pennello risulterà ancora più intrigante. Forse è proprio questo il punto maggiormente riuscito della produzione, allorquando si mette al servizio del giocatore un sistema facile, intuitivo ma comunque ben congegnato.
    Questo non vuol dire assolutamente che il resto degli elementi che compongono la struttura di gioco non sia anch'essi di elevata qualità, tutt'altro. Nel naturale alternarsi tra il mondo di gioco, le città ed i dungeon si registra in effetti una continuità ed una coerenza che, udite udite, manca persino ad alcuni titoli della serie di Zelda. L'impianto di gioco non è spezzettato, sebbene ovviamente sia riconoscibile quando ci stiamo per avventurare in un sotterraneo per sconfiggere un demone particolarmente potente, ma organico ed armonioso, così come dovrebbe essere la regola per un action-adventure che sfrutti il mondo di gioco non come hud tra una locazione ed un'altra, ma come effettivamente area nella quale il giocatore può liberare le proprie pulsioni esplorative. Ne consegue che, nonostante sia assolutamente facile ed automatico seguire le fasi della storia secondo i confini della trama, l'esperienza di gioco non è condannata ad una tediosa e costrittiva linearità, ed anzi il giocatore è incoraggiato ed invogliato a fare di testa propria, ogni tanto, da una serie ben nutrita di side-quests: queste perlopiù si risolvono nel ritrovamento di alcuni oggetti preziosi per il personaggio non giocante in difficoltà, ed elargiscono una gradita ricompensa fatta di preghiere, utili per rimpolpare l'apposito indicatore e migliorare così piano piano la salute e l'inchiostro a disposizione di Chibiteratsu.
    Assolutamente funzionale in tal senso è l'utilizzo dei poteri del pennello. Andando avanti nel gioco ne sbloccherete di nuovi, e questi permetteranno non solo di districarsi in nuove situazioni, ma di rendere accessibili zone prima precluse. Sebbene il backtracking non sia sfruttato in maniera consistente, anche il solo andare in giro a rianimare pian piano gli alberi spogli o le lande infette ha il suo perché.
    Nonostante la suddetta organicità del mondo di gioco, va spesa qualche parola per descrivere le sessioni di gioco preponderanti, nelle quali frequentemente il giocatore si ritroverà coinvolto in furibonde mischie e bloccato da ingegnosi trucchi: i dungeon. Senza andare troppo per le lunghe, si può facilmente asserire che, sebbene ben collocati, questi non costituiscono delle prove di ottimo level design. Ciò non significa assolutamente che siano poco curati, scialbi e affatto ispirati; semplicemente non mostrano l'intrico e la sfida necessari, e senza fare il paragone con uno Zelda a caso (perché in tal caso il titolo Capcom ne uscirebbe con le ossa rotte), è paradossale notare come la linearità tanto evitata nell'overworld sia la regola nei sotterranei, che mostrano una pianta immediatamente decifrabile e, sebbene costellata di vari enigmi, per nulla difficile da esplorare. Niente di tragico ovviamente, ed anzi qualcuno potrebbe anche preferire questa soluzione, meno ricercata ma di certo più immediata. Assolutamente da applausi invece, sono gli scontri con i boss: un tripudio d'inventiva, che richiede spesso il sapiente uso dei poteri del pennello e delle potenzialità dei propri compagni.
    Rischiano di lasciare un po' con l'amaro in bocca, invece, i combattimenti. Gli scontri si svolgono in schermate apposite, anche se in giro troverete anche qualche nemico che affronterete direttamente (ma questi saranno solitamente eliminabili con un sol colpo). Una volta di fronte al nemico, si tratta di scagliarglisi contro a suon di tasto Y, quello appunto delegato agli attacchi. In un'impennata di button mashing Chibiteratsu ed il suo compagno si produrranno in acrobazie di ogni tipo, in maniera abbastanza forzata vista la ripetitività e la monotonia del gesto effettuato dal giocatore. Poco male comunque, visto che a vivacizzare l'azione ci sono i poteri del pennello, tramite i quali effettuare taglienti fendenti o creare distruttive bombe. Il giocatore è inoltre invogliato a cambiare ogni volta l'approccio agli scontri dal sistema di potenziamento dell'arma: questo è possibile solo tramite pezzi di demone, ottenibili tramite uccisioni particolari. Demone diverso, modo diverso, la logica equazione. Ma il button mashing, comunque, rimane.

    Meravigliose pennellate

    Il primo Okami era riconoscibilissimo non tanto per il suo gameplay, di dichiarata derivazione zeldiana, ma per il suo aspetto grafico che allora, nel 2006, era avanti sia per tecnica che, soprattutto, per direzione artistica. Non era la prima volta che si vedeva il cel-shading in un gioco (visto che sempre a Zelda si finisce, il caso più significativo: 2003, The Wind Waker), eppure i canoni particolari della produzione Clover riuscivano sia a stupire che ad assecondare l'immaginario del giocatore, in una ridondanza di elementi classici della tradizione nipponica (ciliegi in fiore, templi, fiori di loto). Okamiden ripropone, e non poteva essere altrimenti, tutto questo, e lo fa senza alcun complesso d'inferiorità rispetto al genitore: il tratto netto e deciso che disegna le ambientazioni ed i personaggi, i colori vividi catturano oggi come allora, in un tripudio visivo che denuncia qualche incertezza solo a tratti, per alcune scelte cromatiche (a volte vengono usate tonalità troppo scure). Tecnicamente è presente un leggero effetto di pop-up, ma i limiti della macchina non possono essere superati, ed anzi è già tanto che le particolari soluzioni grafiche adottate riducano al minimo la più grave carenza del Nintendo DS quando deve fare i conti con il 3D, ovvero il filtro per le texture.
    La colonna sonora, prevedibilmente, può contare su melodie riprese da Okami e su brani assolutamente nuovi, in un'estasi di suoni orientaleggianti che ottimamente si coniugano con l'esperienza visiva. A dire il vero i brani che rimangono nella mente son pochi, ma la qualità delle melodie è indiscutibile, così come lo è quella degli effetti sonori. Tenerissimi sono i guaiti di Chibiteratsu, strampalati ma simpatici i mugugni tramite i quali si esprimono i personaggi umani.

    Okamiden OkamidenVersione Analizzata Nintendo DSOkamiden è praticamente quello che gli appassionati volevano: una versione portatile del capolavoro Clover. Oltre alla struttura di gioco simile a quella del predecessore però, c'è di più, ed il connubio tra il cucciolo ed i suoi compagni è lì a testimoniarlo: utile a variare le situazioni di gioco così come ad arricchire un quid ludico di per sé già sostanzioso. Qualche piccola pecca nel level design e nei combattimenti va rilevata, ma non corrompe la purezza di una gemma che va assolutamente accaparrata. Il canto del cigno del Nintendo DS, e di migliori sarebbe stato difficile immaginarne.

    8.5

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