Recensione Operation Flashpoint: Red River

Sviscerato il secondo FPS-tattico di Codemasters

Operation Flashpoint: Red River
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Operation Flashpoint è un nome che rieccheggia potente nelle menti di moltissimi videogiocatori. Amanti degli sparatutto in prima persona e gamer almeno da due generazioni non possono non ricordare il titolo Bohemia Interactive Studio, capace nel 2001 di cambiare radicalmente la concezione di “simulazione” nel genere bellico. Un prodotto senza fronzoli ma profondo, intransigente ma capace di regalare incredibili soddisfazioni. Passato di mano a Codemasters, del brand non è rimasto che il nome, ri-utilizzato in questi anni per una riproposizione dedicata soprattutto alle home console. Un reboot sicuramente distante dalle velleità del Call of Duty di turno, ma altrettanto lontano dalla cruda precisione di Cold War Crysis. Una via di mezzo incapace di accontentare gli affamati videoplayer che, aldilà del gameplay, criticarono una campagna priva di mordente (e di background narrativo) ed un multiplayer per nulla funzionale.
    Con un occhio di riguardo alla community Codemasters ha deciso, per il secondo capitolo Nex Gen del franchise, di percorrere una via più popolare, senza tuttavia scendere a troppi compromessi. Ad un sistema di gioco più snello ed accessibile (ma comunque scalabile a seconda delle esigenze) si accompagna dunque una maggior enfasi sulla narrazione e sul coinvolgimento del videoplayer. Aspetto che passa anche attraverso scelte impopolari come quella di abbandonare del tutto il multiplayer competitivo a favore della sola coop.
    Operation Flashpoint: Red River sarà disponibile nei negozi, per Xbox 360, Playstation 3 e PC a partire dal 21 Aprile.

    Welcome to Tajikistan

    Come promesso dagli sviluppatori il primo elemento che caratterizza la campagna di Red River, scostandola con decisione da quella del suo predecessore, è la natura e la consistenza dell’intreccio. Se in Dragon Rising la contestualizzazione e il supporto narrativo all’azione a schermo lasciavano spesso -se non sempre- a desiderare, ora occuperanno una posizione di assoluto rilievo nel compendio ludico della produzione. Ogni elemento di fiction, ad incominciare dall’ambientazione inventata, è sparito per lasciare spazio ad un contesto ben più realistico. Benché l’azione militare rappresentata in Red River sia comunque frutto di fantasia, premesse e location in cui si svolgeranno le missioni ricalcano scenari coerenti alla situazione reale. La campagna si svolgerà infatti in Tajikistan (zona di guerra ai confini con l’Afghanistan), dove s’annidano sacche terroristiche direttamente collegate allo “scomodo” antagonista selezionato dai ragazzi di Codemasters per l’intera produzione. Tra intrighi politici ed interessi commerciali ci ritroveremo strumenti in mano ad una macchina bellica desiderosa di macinare introiti; legata al denaro più che alla salvaguardia di qualsivoglia ideale o, più semplicemente, della vita umana. Una situazione, insomma, non troppo distante (anzi, per nulla) dalla realtà, che metterà in gioco sensazioni diverse rispetto ai classici FPS bellici a cui siamo abituati. Il protagonista stereotipato a cui siamo soliti inneggiare lascerà qui posto ad un alter-ego più umano: un marine tra i tanti, una pedina sacrificabile. Nonostante il buon lavoro di contestualizzazione, supportato da interessanti intermezzi (briefing estesi) tra una missione e l’altra, “l’anonimato” del protagonista si dimostra ben presto un’arma a doppio taglio. Da una parte la sensazione di venire catapultati in un crudo e spietato campo di battaglia è ben presente e perfettamente in grado di scoraggiare qualsivoglia azione da Rambo digitale; dall’altra, la pressoché totale assenza di caratterizzazione del protagonista (ed il suo mutismo), costringeranno a tediose sessioni di ascolto, infarcite sì dal macabro e tagliente umorismo “tipico” dei Marines ma, alla lunga, molto monotone. Per nulla azzeccata, da questo punto di vista, la scelta di intervallare l’azione sul campo a lunghi intermezzi in-game a bordo di veicoli da trasporto; minuti e minuti nei quali non potremo far altro che spostare lo sguardo ammirando il non certo attraente panorama ed ascoltare quanto avranno da (ri)dire i nostri commilitoni e i superiori. Qualche cut-scene più vivace (magari pre-calcolata), benché rea di minare la precisa ricerca della fedeltà e dell’immedesimazione in un’operazione bellica, avrebbe certamente reso meno noiose e ripetitive le oltre dieci ore di gioco di cui si comporrà la campagna.
    La “caratterizzazione” riguarderà dunque soltanto pochi elementi con cui verremo a contatto (superiori, commilitoni...) e, paradossalmente, riporterà alla luce gli stereotipi che il team pareva voler evitare sin dall’inizio. Per “movimentare” i momenti lunghi e statici Red River fa infatti ricorso all’esagerato abuso dello sproloquio, che ci riporta inevitabilmente alla mente l’immagine sin troppo generalizzata del soldato grezzo, tutto muscoli e niente cervello.

    Tatticismi alleggeriti

    E’ meglio precisare prima di tutto che l’ambientazione afghana di questo secondo capitolo Next Gen si è dimostrata dal principio estremamente funzionale alla collocazione degli incarichi, proponendo al giocatore ampie aree completamente aperte per pianificare, tra promontori e macchie di vegetazione, la propria tattica. E, in generale, i game designer paiono aver svolto un buon lavoro nella realizzazione strutturale delle aree di gioco (liberamente ispirate all’Afghanistan reale), trovando il giusto equilibrio tra insediamenti rurali ed aree completamente brulle il cui terraforming, tuttavia, è parso sempre aprire diverse strade per la risoluzione dei vari compiti assegnatici.
    A lasciare a desiderare è però, inspiegabilmente, la varietà degli incarichi, che passeranno sì dalla ripulitura di una zona/edificio all’estrazione di una compagnia in difficoltà e via discorrendo, ma che implicheranno sempre la medesima struttura. Trasportati nelle vicinanze dell’obiettivo dal “solito” mezzo si tratterà infatti di percorrere chilometri e chilometri a piedi, risolvere qualche scontro a fuoco, ripercorrere altri chilometri e farsi trasportare all’area successiva. Un'iter sin troppo snello anche per giustificarlo con la “ricerca del viscerale realismo”. Dopotutto si tratta sempre di un’esperienza ludica.
    Venendo al gameplay è da subito possibile notare come siano stati inseriti numerosi nuovi aiuti atti a facilitare l’esperienza dei giocatori alle prime armi. Aldilà delle modifiche all’HUD, che permettono di attivare/disattivare il mini-radar, l’indicazione dei nemici, la bussola in sovra impressione e i vari checkpoint, avremo ora la facoltà d’agire in maniera più precisa sul sistema di mira, personalizzandone vari aspetti. Potremo, ad esempio, abilitare l’auto-lock on alla Call of Duty che, premuto il grilletto sinistro, aggancerà automaticamente il nemico più vicino; potremo diminuire la sensibilità del reticolo di mira, in maniera da mandare a segno anche i colpi molto vicini al bersaglio anziché solo quelli centrati; potremo, infine, diminuire contestualmente la velocità di spostamento della visuale durante la fase di fuoco, in maniera da seguire facilmente i bersagli in movimento. Tutti accorgimenti che faranno sicuramente storcere il naso ai “puristi” ma che, oltre ad essere disattivabili, non sono parsi intaccare le meccaniche simulative che Dragon Rising già ci aveva fatto conoscere. L’incedere sul campo di battaglia, ad esempio, è ancora impacciato al punto giusto, così come lievemente macchinosi risultano l’appiattirsi “pancia a terra” o lo scavalcare un ostacolo. Permane, inoltre, l’ottima realizzazione delle armi da fuoco e dei loro effetti (rinculo su tutti), correggibili dosando il rateo di fuoco o selezionando la modalità a colpo singolo, disponibile per quasi tutte le armi della dotazione. Invariata, infine, la funzionalità delle ottiche di precisione, fortunatamente incapaci (come in altri FPS ben più noti) di divenire veri e propri binocoli ma limitate ad un utilizzo decisamente più consono, da affiancare al binocolo vero e proprio, inforcando il quale -purtroppo- sarà ancora una volta impossibile spostarsi.
    Accanto alla cerchia dell’accettabile, al solito, vi è però anche il meno accettabile. Ed ecco quindi comparire il Medikit illimitato, nuova feature atta ad aiutare quei videogiocatori fortemente disabituati al Game Over. Esattamente come nel precedente episodio ogni proiettile incassato potrà risultare mortale, soprattutto nella misura in cui sarà foriero dell’apertura di una ferita che, se non medicata, continuerà a sanguinare fino ad ucciderci. Il team ha dunque pensato di “rimediare” dotando ciascun soldato di un kit medico permanente grazie al quale, in appena quindici secondi, rimettere in sesto qualsivoglia ferita, al nostro alter ego ed ai compagni. Questo aspetto, anche alla luce di una prova a difficoltà “Estremo” ci è parso facilitare sin troppo l’esperienza, lasciando spazio anche a qualche azione solitaria che da un simulatore di guerra di questo calibro non ci saremmo mai aspettati. 
A questo va aggiunta, purtroppo, un’intelligenza artificiale tutt’altro che perfetta, sia per quel che riguarda i propri compagni di squadra che gli avversari. Entrambe le parti sembrano infatti dividere equamente momenti di assoluta genialità con altri di completa follia e dabbenaggine. Sin dai livelli più bassi di difficoltà abbiamo potuto notare situazioni in cui commilitoni e nemici si sono prodotti tanto in avvistamenti ed uccisioni impensabili (per la distanza piuttosto che per l’ottima posizione di copertura del bersaglio) quanto in vere e proprie dormite. Fortunatamente fa il suo ritorno la ruota dei comandi che permetterà di controllare agevolmente le azioni dei propri partner sul campo, dirigendoli in maniera semplice e sufficientemente efficace. Anche qui, però, ci sono state numerose semplificazioni, con l’eliminazione addirittura di un intero layer di possibilità tattiche. Quello che in fase d’anteprima sembrava un taglio senza importanza, con l’approfondimento dell’esperienza si è fatto sentire, mostrando diverse difficoltà nella gestione del team che, soprattutto per demeriti di programmazione delle routine computerizzate, si ritroverà spesso fuori posizione o completamente vulnerabile al fuoco nemico.
    Alti e bassi caratterizzano in toto quest’ultima creatura Codemasters, che mostra aggiunte interessanti come quella dei “perks” e degli attachment sbloccabili ottenendo punti esperienza al completamento degli obiettivi, ma al contempo mancanze inspiegabili come la possibilità di far fuoco sporgendosi dalle coperture o di prodursi nel cosiddetto blind fire.

    Per quanto riguarda il multiplayer, avendo abbandonato la competizione, i ragazzi di Codemasters si sono concentrati sulla modalità coop chiamata “Ingaggi di Squadra”. Avremo qui la possibilità, coadiuvati da tre compagni guidati dalla CPU o da amici in carne ed ossa (tramite Xbox Live, PSN o System Link) di svolgere alcuni incarichi inseriti in scenari predefiniti tratti dalla campagna. Le missioni, adeguatamente snocciolate attraverso comode schermate di briefing, consisteranno nel difendere una determinata area dall’attacco di ondate (orde?) di nemici, scortare convogli liberando e mantenendo sotto osservazione un percorso prestabilito, liberare ostaggi e via discorrendo.
    Si ripresenta anche qui l’interessante sistema di “potenziamento” delle classi che consentirà di sbloccare nuove armi, nuovi attachment e di potenziare alcuni parametri riguardanti le capacità belliche del nostro alter-ego. Prendendo spunto dal precedente capitolo ma anche introducendo moltissimi nuovi elementi Red River permette, in sostanza, di modellare il proprio alter-ego militare.
    Ad ogni azione compiuta sul campo guadagneremo punti esperienza che faranno aumentare di livello la classe utilizzata. La vera novità -per la serie- saranno però i punti abilità, qualcosa di totalmente diverso e slegato dalle singole classi. Ottenuti completando le missioni questi serviranno ad ottenere, man mano, diversi bonus in diverse categorie come Scatto (capacità di muoversi rapidamente), Resistenza (capacità di mantenere lo scatto), Abilità Fucile d’Assalto (miglioramento della precisione e molte altre ancora.
    Queste possibilità (in coop come in singolo) donano un pizzico di brio in più alla produzione, non rendendo al contempo troppo facile l’incedere sul campo di battaglia.

    EGO-centrico

    Il motore grafico adottato da Red River è esattamente lo stesso (con le opportune revisioni) visto già in Dragon Rising. Sin dal primo istante si nota una certa rifinitura per quel che concerne la modellazione poligonale, sia prendendo come esempio le armi che i militari. Le impressioni positive, tuttavia, si fermano qui: le animazioni si dimostrano spesso legnose e ripetitive, ed in particolare i ragdoll, quasi imbarazzanti. Per nulla migliore la ricostruzione ambientale, monotona, piatta e del tutto priva di particolari soprattutto per via di una texturizzazione molto al di sotto della norma, con cui evidentemente si è dovuto fare i conti nel realizzare mappe vaste come quelle di Red River. Per quanto il level design sia strutturalmente interessante e ben riuscito una tale mediocrità nella rifinitura tecnico-artistica pare del tutto inaccettabile, anche a fronte di una produzione senza fronzoli.
    Mediocri, infine, gli effetti particellari, non all’altezza delle produzioni più blasonate di questa generazione.
    I problemi tecnici, purtroppo, non si fermano all’aspetto estetico ma si spingono anche al funzionale. A sminuire l’operato Codemasters non vi sono soltanto compenetrazioni e cali di frame rate sparsi qua e là, ma anche una programmazione leggermente imprecisa del reticolo di mira e dell’hit box, con grosse conseguenze per la fruibilità del gameplay.
    Discorso leggermente differente per quanto concerne il comparto sonoro, coadiuvato da una serie di campionature di buon livello e da un voiceover da non sottovalutare (completamente in inglese), pur parlando di un titolo dove le linee di dialogo non sono certo il primo fattore da prendere in considerazione.

    Operation Flashpoint: Red River Operation Flashpoint: Red RiverVersione Analizzata Xbox 360Nonostante le buone intenzioni Red River ha un’impatto decisamente inferiore rispetto a quello del suo predecessore, fatto di tanti passi avanti quanti indietro. Ad una campagna maggiormente articolata fa difatti da contraltare la generale sciatteria di molti elementi di gioco, dal gameplay alla tecnica, nonché una mal congegnata programmazione dell’intelligenza artificiale, sicuramente uno dei più grossi problemi della produzione. Il titolo spicca appena dalla mediocrità soltanto grazie alle velleità tattiche che mantiene come retaggio del nome che porta, e grazie ad alcune interessanti aggiunte (abilità e “perks”) in grado di rendere meno monotono il cammino nelle oltre dieci ore di gioco previste. Da non sottovalutare, infine, la cooperativa, un plus-valore dall’appeal sicuramente minore per la community ma senza ombra di dubbio significativo in termini generali.

    7

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