Recensione Outlast per PS4

Arriva anche su PlayStation 4 lo spietato horror di Red Barrels

Outlast
Recensione: PlayStation 4
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • A grandi passi ci avviciniamo verso l'uscita di Infamous: Second Son, titolo che rappresenta -per molti utenti- il primo vero scossone di una line-up PlayStation 4 che ha finora regalato soddisfazioni più moderate rispetto a quelle che ci si aspetterebbe da una piattaforma Next-Gen. In attesa del lieto evento, Sony cerca comunque di coccolare i sui fan, proponendo di mese in mese almeno una nuova proposta: a gennaio è stato il turno di Don't Starve, mentre questo febbraio si apre all'insegna del terrore puro, con l'arrivo dell'ottimo Outlast. Entrambi i prodotti sono disponibili gratuitamente per gli abbonati del PlayStation Plus, servizio che rappresenta ormai la punta di diamante dell'offerta Sony, più “killer app” di qualsiasi gioco preso singolarmente.
    Dopo gli ottimi riscontri ottenuti su PC, l'horror firmato Red Barrels raggiunge insomma l'ambiente console, rappresentando in questo mercato una vera e propria mosca bianca: se gli utenti abituati a giocare “in punta di mouse” hanno riscoperto proprio grazie alla scena indipendente il piacere di un terrore viscerale e oppressivo (ad esempio con il primo Amnesia), i player armati di pad hanno visto il genere imbarbarirsi e piegarsi a logiche sicuramente più commerciali. Dall'ultimo Dead Space per arrivare a Resident Evil 6, nessuna delle grandi saghe dell'orrore ha saputo di fatto accontentare i puristi del genere, abbracciando elementi troppo action. Ci pensa adesso il team canadese, ad aggiustare il tiro, infilandoci nel mezzo di un'esperienza terribile e destabilizzante.

    Fughe e ossessioni

    Outlast si apre immergendo il giocatore nei panni di Miles Upshur, giornalista d'assalto che appare assolutamente ignaro del destino cui sta andando incontro. La sequenza d'apertura riesce ad ottenere un triplice scopo: fornire il blando background narrativo necessario ad introdurre la vicenda, far assimilare il sistema di controllo al giocatore e, soprattutto, iniziare a fargli entrare sotto pelle un senso di disagio che con il proseguire dei minuti diventerà sempre più martellante.
    L'arrivo al manicomio di Mount Massive avviene a bordo di un fuoristrada che Miles guida autonomamente. Un'atmosfera di tetra desolazione si diffonde dalla struttura, mentre ombre dense e limacciose si allungano su di essa. I fulmini di una tempesta in lontananza illuminano improvvisamente la strada dissestata che porta al sanatorio, ormai abbandonato.
    Raggiunto il cancello e raccolta la fida videocamera, si potrà finalmente prendere il controllo totale di Miles, alla ricerca dello scoop della vita. Muovendo i primi passi cominceremo a percepire il peso del corpo del protagonista, in quello che si preannuncia un titolo molto ansiogeno anche l'impostazione. Outlast non è infatti un first person shooter e nemmeno un'avventura in soggettiva di stampo classico: l'imperativo, spesso e volentieri, sarà quello di fuggire, ma oltre alle minacce rappresentate dalle persone che ancora abitano l'edificio, ormai in preda ad una follia assoluta e ad una sete di sangue non comune, anche i movimenti del protagonista ci remeranno contro, elemento che non farà altro che aumentare la tensione ed il senso di integrale smarrimento.

    L'esplorazione di Mount Massive sarà suddivisa in momenti ben specifici, alternati tra loro: quelli di relativa calma permetteranno di esaminare l'ambiente, rimanendo però sempre sul chi vive: gli spaventi improvvisi, sebbene non sempre perfettamente riusciti, saranno costantemente dietro l'angolo, imponendo quindi un atteggiamento circospetto perfettamente in linea con l'atmosfera generale.
    Le fughe saranno invece l'altra anima dell'intera produzione, andando in parte a recuperare quanto visto in Silent Hill Shattered Memories, unico episodio della serie di origine nipponica nel quale non si poteva nulla contro le entità che popolavano la città. L'approccio di Outlast è simile: ogni volta che si verrà scoperti, per semplice disattenzione, per un errore di valutazione oppure per esigenze di trama, l'unica opzione sarà la fuga, sempre disperata, al limite della capacità polmonare, con l'obbligo di attraversare gli ambienti nella maniera più rapida possibile e cercando di mettere metri o oggetti tra sé stessi e la minaccia, possibilmente uscendo dal campo visivo dell'inseguitore. In questi momenti Outlast si trasforma temporaneamente in un titolo frenetico, con dinamiche ben architettate, che riescono ad elevare la tensione ben oltre il limite di guardia.

    Ben costruita è anche l'ambientazione, probabilmente l'aspetto più disturbante del gioco. Sulle prime si potrebbe pensare ad un setting derivativo e sostanzialmente già esplorato da troppe produzioni horror, ma in verità il sanatorio di Mount Massive è stato costruito con una cura maniacale. Spostandosi dalle sale d'accoglienza agli uffici, si comincia a percepire un disagio incalzante, mentre si colgono tutti gli indizi della follia brutale e violenta che ha sconquassato l'edificio. Non sono soltanto le pozze di sangue, i corpi martoriati di qualche guardia: è più che altro lo stato mentale di alcuni pazienti che ancora abitano le stanze della struttura. Sono gusci vuoti il cui senno è perduto per sempre, martoriati da piaghe terribili, in preda all'autolesionismo più spinto: folli pronti ad esplodere, sull'orlo di una follia omicida.
    Non passerà molto tempo prima di incontrare le prime minacce: pazienti armati di spranghe o enormi energumeni pronti a strapparci la testa dalle spalle. Poco a poco ci addentreremo nelle viscere scure dell'edificio, nei seminterrati allagati o nelle aree di detenzione dei pazienti, e poi ancora nelle fogne. In ogni ambiente verremo accolti da un senso di terribile putrescenza, perfettamente costruito dal team di sviluppo, che alterna ambienti marci e cadenti a scene gore di forte impatto, scaraventandoci ad esempio in una stanza che funge da fossa comune, dove si ammassano corpi martoriati e mutilati.
    L'esplorazione, insomma, è sempre tesa e disturbante, e viene quasi naturale procedere con estrema circospezione. Nelle fasi più “rilassate” è possibile poi sporgersi dagli angoli, in modo da sbirciare oltre un corridoio o una porta aperta, a volte pentendosi istantaneamente di averlo fatto, e saltando sulla sedia per lo spavento di ritrovarsi un avversario a pochi centimetri dal proprio naso.
    Si tratta di una dinamica ben implementata, che fa da controcanto ad un'altra possibilità, ben più subdola e in parte innovativa, legata ai momenti di fuga. Mentre correremo a perdifiato per sfuggire a qualche maniaco, potremo infatti guardarci indietro: opportunità inizialmente ben accolta ma che presto si rivelerà un'arma a doppio taglio assolutamente affilata: meglio sbirciare alle proprie spalle, con il rischio di rendersi conto di essere ancora inseguiti, perdendo magari centimetri di vantaggio preziosi, oppure continuare a correre, rabbrividendo per gli inquietanti rumori che si sentono subito dietro di noi? Mai come in questi casi ci si renderà conto che la curiosità andrebbe tenuta a freno, perché potrebbe rivelarsi letale.

    Anche la telecamera ha un ruolo fondamentale nell'economia di gioco. Servirà ad esempio per scrutare alcuni oggetti a distanza sfruttandone lo zoom, ottenendo in cambio note inedite in grado di espandere il background narrativo o piccole sorprese, come un corpo esanime che inizierà a muoversi solo se inquadrato. Sarà anche l'unico strumento che ci permetterà di vedere al buio, attivando la classica visione notturna caratterizzata da una dominante verde. L'alternanza tra luce e buio integrale è uno degli elementi più riusciti della produzione, e riesce a creare situazioni veramente opprimenti. Di fatto l'attivazione delle “night vision” consuma le batterie della telecamera, probabilmente il bene più prezioso, se non vogliamo ritrovarci totalmente sperduti nelle stanze non illuminate del manicomio. L'utente è preso così da un'attenzione quasi morbosa, che lo porta a spegnere con regolarità la visione notturna, restando per lunghi secondi immerso in un buio colloso e totalizzante.
    Questa ossessione per le tenebre viene valorizzata per altro da un comparto tecnico di livello discreto, sorretto dall'ormai diffusissimo Unreal Engine 3. Il motore riesce a convincere soprattutto nella resa delle texture, mentre lascia a desiderare per quanto riguarda la realizzazione dei tantissimi elementi gore di cui Outlast è infarcito, con pozze di sangue e frattaglie sparse ovunque, che non riescono tuttavia mai ad accendere davvero un vero moto di repulsione. L'edizione Ps4 è ben ottimizzata, e schizza fluida a 60fps mettendo in conto qualche episodio di tearing, ed ombre tutt'altro che perfette (anzi molto spesso “seghettate” e poco convincenti). Neppure la conta poligonale è miracolosa, ma grazie alla gestione dell'illuminazione il titolo riesce complessivamente nei suoi intenti.
    Da sottolineare poi un comparto audio di rara qualità, che lascia poco spazio alle musiche, con l'intento preciso di dare risalto ad un campione di effetti assolutamente agghiacciante: l'audio di Outlast riesce a far tuffare il giocatore in un mondo da brivido, aggrappandosi alle sue orecchie e utilizzandole poi per trascinare tutto il corpo. I pavimenti in legno scricchiolano sotto i lenti passi del protagonista, mentre il suo respiro si fa sempre più affannoso, con un ritmo che si adatta alla tensione presente su schermo e che proprio grazie agli effetti si trasferisce nella mente del giocatore. Sotto questo aspetto, quindi, sembra quasi che l'accompagnamento sonoro di Outlast diventi un vero e proprio elemento al servizio del gameplay, riuscendo progressivamente a diventare il motore stesso delle sensazioni e delle azioni del giocatore: segno che ciò che fa più paura continua ad essere quel che si può percepire, ma non vedere.

    Outlast OutlastVersione Analizzata PlayStation 4Outlast è un horror riuscito e convincente: potente, ansiogeno, con meccaniche ben indovinate che riescono a scuotere e destabilizzare il giocatore. Un titolo così, su console, non si vedeva da anni, tanto che molti giocatori potrebbero persino avere qualche momento di smarrimento, al “primo contatto”. L'ossessione per il buio, la visuale in prima persona, le dinamiche di fuga e l'accentuata vena gore che attraversa le stanze del sanatorio riescono a costruire un'atmosfera sempre disturbante, nonchè sequenze da giocare veramente con il fiato sospeso. Il team canadese ha insomma lavorato bene, dal punto di vista delle atmosfere e del gameplay. Già disponibile su PC, Outlast rappresenta una bella proposta per i neo-acquirenti di PlayStation 4; visto il prezzo del gioco, è poi un buon motivo per cominciare a provare il servizio Plus, e scoprire così le nuove frontiere di un genere che ha evidentemente deciso di uscire dalla tomba.

    8.5

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