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Phantom Dust Remastered: Recensione
Uscito nel 2004 su Xbox, Phantom Dust torna tredici anni dopo su Xbox One e Windows 10 con una riedizione HD scaricabile gratuitamente.
INFORMAZIONI GIOCO
Articolo a cura di
Daniele D'Orefice
Disponibile perPc
Xbox One
È una sorte sfortunata quella capitata a Phantom Dust. Un destino immeritato per un piccolo gioiello d'inventiva che ben tredici anni fa approdò sulla prima Xbox, prima esclusivamente in Giappone e poi anche in Nord America. Forse per la sua connotazione di titolo di nicchia, il gioco non fu un successo commerciale e non approdò mai sul vecchio continente, lasciando i giocatori europei a bocca asciutta. A distanza di molto tempo, il ricordo di Phantom Dust è ancora vivo nella mente dei giocatori: il figlio di Yukio Futatsugi (creatore della serie Panzer Dragoon) è infatti un'opera che risente indubbiamente il peso degli anni e che soffre per pessime scelte di design, ma che nasconde idee ancora validissime e divertenti.
In un periodo di estrema di difficoltà, Microsoft ha quindi preso una decisione piuttosto intelligente e ha riportato su Xbox One e Windows 10 un piccolo gioiello del passato senza prendersi particolari rischi. Phantom Dust Remastered è una riedizione abbastanza pigra, che si limita ad aumentare la risoluzione dell'originale e a risolverne i costanti problemi al framerate (bloccato a 30), senza però modificare la grafica della versione per la prima Xbox. Un "compitino" svolto con sforzi commerciali esigui, messo a disposizione gratuitamente e con un sistema di microtransazioni legato esclusivamente al multiplayer: un prodotto, insomma, pronto ad incassare un altro insuccesso. Questa mossa, inoltre, è chiaramente un modo per tastare il terreno e comprendere se la community sarebbe felice di avere tra le mani un reboot (già annunciato all'E3 2014 e poi sparito dalla scena). Tra le urla di giubilo e i sentiti ringraziamenti alla casa di Redmond, si nasconde quindi un esperimento: dal suo risultato dipende la sorte di un'IP scolorita dal tempo, semisconosciuta a molti, eppure caratterizzata da idee ancora valide e fresche.
Polvere alla polvere
C'è un qualcosa di Mad Max in Phantom Dust, un retrogusto di Fallout e pure di Matrix: l'umanità deve fare i conti con un cataclisma sconosciuto che ha trasformato la superficie in una landa desolata e polverosa. Gli ultimi scampoli della società si sono rifugiati nel sottosuolo e cercano di comprendere la natura del disastro, di cui nessuno ha memoria. Solo un'immagine accomuna gli ultimi sopravvissuti: nei loro ricordi c'è un luogo che conoscono col nome di "Rovine", un posto dove si crede ci sia la risposta al mistero che tanto li attanaglia. Piccoli drappelli di esploratori battono la superficie alla ricerca di risposte, si muovono tra tempeste di sabbia che, dopo una lunga esposizione, cancellano la memoria. Molti coraggiosi si perdono tra le rovine del vecchio mondo, confusi ed inconsapevoli del loro scopo e della loro identità, nel frattempo la società sotterranea si sviluppa, nascono dei centri abitati e la vita, pur con mille sacrifici, continua.
Il protagonista di Phantom Dust viene ritrovato durante una missione di pattuglia. La sua identità, come quella del suo compagno, non è ben chiara, il perché fosse rinchiuso in un sarcofago un mistero. L'uomo senza nome e senza ricordi dimostra di avere abilità molto simili a quelle degli Esper, e cioè la possibilità di manipolare la polvere e lanciare incantesimi di vario tipo. Così si unisce ai Vision, un gruppo di persone intenzionate a scoprire i segreti della superficie e ad elaborare i rimasugli di memoria, custoditi in piccole capsule sparse tra gli scheletri delle antiche città.
Dopo tante operazioni di ricerca la situazione diviene sempre più chiara, ma le vicende si spostano su una dimensione più intima e cominciano a ruotare attorno alla storia del protagonista, del suo compagno Edgar e di una donna misteriosa. Si inizia a comprendere che in realtà quello che cercano gli ultimi uomini non sono i motivi dell'origine dell'apocalisse: essi vogliono scoprire la loro vera identità, il loro nome, vogliono dare un motivo alla loro esistenza rispondendo all'atavica domanda che un po' tutti ci siamo fatti.
Phantom Dust riesce a trasmettere molto bene l'angoscia dei sopravvissuti, i loro dubbi, le loro pene. Giocando all'opera di Futatsugi ci siamo ricordati anche di Planescape Torment, che condivide con il gioco di Microsoft Game Studios molti degli spunti narrativi e alcune delle caratteristiche del Nameless One.
Peccato che delle premesse interessanti si debbano infrangere contro una struttura del singleplayer gestita piuttosto male, sbagliata nei ritmi e con missioni ripetitive, vuote e troppo numerose. La campagna in Phantom Dust è sicuramente qualcosa in più di un grosso tutorial al multiplayer, ma spesso sembra volerci dare proprio quest'idea. In più di trenta ore di gioco ne abbiamo viste di tutti i colori, dai pallidi tentativi di giustificare un'ennesima missione identica a decine di precedenti, fino all'annichilimento della tensione narrativa a favore di una serie di incarichi spazzatura, utili solo per allungare il brodo.
Trenta ore di gioco, dicevamo, ma secondo noi all'interno della story mode di Phantom Dust c'è materiale per solo un quarto di questo tempo. I restanti sono contenuti non necessari, anzi, di più, persino dannosi, che, senza mezzi termini, rovinano una trama nel complesso ottima e piena di spunti di riflessione. Davvero, non comprendiamo perché gettare così tanto potenziale alle ortiche. Perché arrivare fin quasi all'esasperazione di alcune meccaniche e poi piazzare un filmato intrigante, che, nonostante la bassa risoluzione, ravviva l'interesse, quasi come se quella piccola caramella bisognasse guadagnarsela con sudore e frustrazione.
Non è difficile notare il buono in Phantom Dust. È palese, lampante il grande sforzo immaginifico dietro la creazione dell'universo di gioco. L'enclave dei Vision è un piccolo capolavoro, con un'estetica madmaxiana, musiche ambientali che sembrano uscite dagli spartiti di Mark Morgan e il vociare degli abitanti del sottosuolo. La Moonlight Sonata nel quartier generale, i violini di Vivaldi che si fanno spazio a fatica tra le miriadi di lugubri rumori e le grazie di una grossa barista che ondeggiano sulle note dell'Habanera di Bizet. Dettagli, che molti neanche percepiranno, rappresentazione, però, di un talento tristemente seppellito da una spessa coltre di polvere.
Un geniale connubio
C'è poco da discutere, il successo riscosso da Phantom Dust e il fascino che ancora emana proviene quasi esclusivamente dal suo gameplay, dall'idea di fondere un action game in terza persona con un gioco di carte. Un connubio che dà il suo meglio nel multiplayer, dove gli scontri sono più serrati e impegnativi.
Tutti i combattimenti si svolgono in arene di ridotte dimensioni (in totale 7), ognuna con un ottimo level design e con una sorprendente distruttibilità ambientale, sfruttabile anche per danneggiare gli avversari. Le aree sono spesso su più livelli, permettono ai giocatori di sfruttare delle correnti ascensionali per saltare e raggiungere luoghi sopraelevati o gli consentono di ripararsi dietro barriere naturali indistruttibili.
Ci sono mappe in cui bisogna fare attenzione a non precipitare nel vuoto (e perdere un piccolo quantitativo di salute) ed altre più tradizionali, in cui conta più l'abilità con gli incantesimi.
Sono questi ultimi la chiave di tutto: prima di ogni match è possibile creare un arsenale di magie, da quelle di attacco, a quelle di difesa, passando le skill di supporto e ambientali, che modificano il campo di battaglia con degli effetti. Gli arsenali possono essere composti da una, due o tre scuole di abilità: le scuole, in totale cinque (per un totale di trecento abilità), determinano lo stile di un set di mosse. Il ramo Faith si concentra su attacchi che rubano salute al nemico, ma che possono succhiare anche parte della barra vitale dell'utilizzatore, quello Optical mette a disposizione una serie di laser a lunga distanza, Nature, invece, garantisce attacchi basati su effetti elementali. Anche le due scuole rimanenti, Ki e Psycho, hanno incantesimi dagli effetti unici e un'estetica immediatamente distinguibile. Un arsenale può contenere al massimo trenta abilità, circa la metà dello spazio dovrà essere composto di Aura Particles, delle skill non appartenenti a nessuna scuola in grado, però, di incrementare l'Aura Level del giocatore. Questo livello rappresenta il mana dei classici card game e permette di utilizzare le mosse, che andranno quindi selezionate saggiamente per evitare composizioni troppo sbilanciate.
Ma non è solo per questo che Phantom Dust è simile ad un gioco di carte collezionabili: è comunque importante conoscere l'arena, sfruttarla a proprio vantaggio, così come è fondamentale il tempismo nell'attivare le skill difensive o valutare quando utilizzare un attacco a lungo o a medio raggio, in tutto ciò, però, il caso riveste un ruolo importantissimo. Le abilità selezionate nell'arsenale non appariranno in un ordine preciso, bensì faranno capolino sul campo di battaglia (sotto forma di sfere colorate raccoglibili) in maniera completamente randomica. Strategie perfette potrebbero andare in frantumi perché quella magia non "esce", oppure, con l'intercessione della dea bendata, potremo vincere uno scontro grazie ad un set di abilità iniziale invidiabile.
È sorprendente come a ben tredici anni di distanza dalla release dell'originale, questo sistema funzioni ancora benissimo e riesca a regalare ancora grandi soddisfazioni e pure un po' d'assuefazione. La vecchiaia, però, si sente, in particolar modo per un sistema di controllo che si rivela abbastanza scomodo, soprattutto con un avversario nel mirino, oppure nelle animazioni legnose e poco varie. Forse il problema più fastidioso è legato ai cali di framerate, molto evidenti in occasione di esplosioni o effetti ambientali più pirotecnici, e il blocco degli FPS a trenta immagini per secondo non aiuta di certo.
Problemi a parte, che, vi assicuriamo, non pesano eccessivamente sull'esperienza di gioco, Phantom Dust merita di essere provato, in particolar modo da coloro che non misero le mani su una copia d'importazione ai tempi della prima Xbox e che, quindi, non sono mai entrati in contatto con un gameplay tanto atipico quanto divertente.
7.5
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Phantom Dust HDVersione Analizzata Xbox OneLa riedizione in alta definizione di Phantom Dust è un’ottima occasione per (ri)scoprire un piccolo titolo di culto del passato. Un gioco dalla grande personalità che purtroppo è rimasto confinato solo in Giappone e Nord America, senza mai giungere sul territorio europeo. La versione disponibile su Xbox One e Windows 10 non nasconde totalmente le rughe - dopotutto si tratta semplicemente di una riproposizione in HD dell’originale -, ma non sembra neppure un gioco di tredici anni fa. Il gameplay brillante, sviluppato attorno ad un’idea davvero originale, funziona ancora molto bene, sia contro i nemici dell’intelligenza artificiale che nel multiplayer, il punto di forza della produzione. Dispiace che la campagna, ricca di dettagli e di spunti narrativi intriganti, sia piagata da scelte di design infelici ed estremamente nocive, ma questo è un problema che nessuna remaster avrebbe potuto risolvere. Non costa nulla soddisfare quella stilla di curiosità, potreste rimanere seriamente stregati.