Recensione Prince of Persia : I due troni

Sweet Home Babilonia

Recensione Prince of Persia : I due troni
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  • Pc
  • Ritorno a Babilonia

    Non sempre il successo di critica corrisponde a quello di pubblico. È il caso del primo Prince of Persia, The Sand of Time, accolto calorosamente dalle testate giornalistiche di tutto il mondo ma capace di conquistare solo una piccola schiera di appassionati videogiocatori. Convinta di avere tra le mani un gameplay di successo, Ubisoft decise per un seguito che riuscisse a compensare le scarse vendite dell’anno precedente. Purtroppo, l’infelice scelta di snaturare il personaggio ed il bilanciamento del gioco imperniandone le meccaniche sul combattimento piuttosto che sull’esplorazione e sulle evoluzioni del protagonista ha portato ad un titolo sfortunato.


    In molti hanno storto la bocca di fronte ad un look eccessivamente gotico, che stonava con le atmosfere da ‘mille e una notte’ caratteristiche del franchise, e la critica che tanto aveva osannato il ritorno del Principe di Persia non ha tardato a denunciare i limiti di un titolo che faceva forza su un sistema di combattimento fin troppo confusionario e caotico. Ciò nonostante, in piena Matrix mania, The Warrior Within aveva avuto miglior fortuna ai botteghini, forse anche grazie al clamore suscitato dall’insuccesso di un predecessore così apprezzato dagli hardcore gamer.
    Dopo due titoli dal destino tanto diverso, è giunto il momento di giudicare se Ubisoft abbia saputo imparare dagli errori del passato confezionando un titolo capace di mettere d’accordo critica e grande pubblico.
    Il Principe torna a casa, nella sua Babilonia. La permanenza nell’isola del tempo ha segnato il suo corpo con mille cicatrici, ma il suo non è più lo sguardo malvagio e disperato di un assassino. C’è qualcosa di malinconico in lui: ha voglia di riposare... voglia di tornare a casa.

    Bentornati (finalmente), nella sognante Persia.

    Una poltrona per due


    Coniugare il gameplay di due titoli tanto diversi poteva sembrare un’impresa titanica, a tratti impossibile. Allo stesso tempo, riuscire a riproporre i combattimenti frenetici e il cupo look di Warrior Within e le magiche atmosfere e gli enigmi ‘ambientali’ (da risolvere solo grazie alle acrobazie del principe) di The Sand of Time, era la migliore garanzia per la realizzazione di un titolo finalmente completo. Con un colpo di scena degno della migliore tradizione holywoodiana, Ubisoft Montreal è riuscita nell’intento in maniera tanto semplice quanto improbabile: dotando il protagonista di una seconda personalità. Accanto al tradizionale principe, e alle sue evoluzioni, troviamo il minaccioso ‘Dark Prince’ vero e proprio alter ego malvagio del protagonista, privo di scrupoli e pronto a tutto pur di rivendicare il trono sottrattogli con la forza.

    La vera maestria dei game designer, in questo caso, risiede nella capacità di rendere l’escamotage utilizzato per coniugare i gameplay dei precedenti titoli, funzionale e necessario alla trama del titolo stesso. Il Principe torna a casa, finalmente libero dalla maledizione delle sabbie del tempo. Il potente spirito che gli dava la caccia è placato, l’imperatrice dell’isola del tempo lo accompagna verso la sua nuova vita, finalmente libera dagli errori del passato cancellati dai poteri delle sabbie del tempo. Ma cancellare il passato ha un prezzo: se è vero che le sabbie del tempo non sono mai state liberate dalla loro prigione, è altrettanto vero che il malvagio Visir (antagonista e avversario finale del primo capitolo della serie) non è mai stato sconfitto, ed è pronto a minacciare la pace del regno di Babilonia. Tornando indietro nel tempo e cancellando gli eventi che lo avevano portato ad essere colpito da una malvagia maledizione, il Principe ha di fatto cancellato anche tutti gli eventi narrati nel primo gioco. Dal punto di vista del giocatore, questo significa che aver giocato (e completato) i precedenti capitoli non è assolutamente necessario per godere della trama di questo nuovo gioco. Dal punto di vista del protagonista della storia, questo significa dover riaffrontare antichi nemici e incontrare di nuovo vecchi amici, in una versione alternativa degli eventi narrati nel primo episodio della serie.
    Una città in fiamme attende il nostro eroe. La sua nave viene attaccata ed affondata, la sua compagna, l’Imperatrice del tempo, persa tra i flutti. Alle porte della sua città natale, il Principe si trova di fronte ad uno scenario inquietante: edifici in fiamme, cadaveri lungo le strade ed un esercito invasore intenzionato a radere al suolo la bellissima città. Nelle prime battute di gioco (che fungono da pratico tutorial) il giocatore ha modo di scoprire che dietro a tanta distruzione e rovina non c’è altri che il gran Visir, deciso più che mai ad impadronirsi dei poteri delle sabbie del tempo, uccidendo l’imperatrice. Ed è proprio nel tentativo di salvare l’avvenente sovrana che il Principe viene ferito e contaminato dalle sabbie stesse, portando alla nascita del Dark Prince, espressione della rabbia e delle paure del protagonista. Comincia quindi una lunga avventura, alla riconquista del trono perduto, ma anche un lungo viaggio introspettivo nell’ego di uno dei personaggi più affascinanti del mondo dei videogiochi. Periodicamente, nelle situazioni più critiche (e comunque sempre in punti prestabiliti dalla regia del gioco), questa seconda personalità prenderà il sopravvento, modificando drasticamente il gameplay e di conseguenza l’approccio stesso alle situazione di gioco. Ma procediamo con ordine.


    Il grande pregio di questo terzo capitolo delle avventure in terra di Persia è quello di reintrodurre massicciamente gli enigmi ambientali che tanto avevano affascinato gli hardcore gamer in The Sand of Time. Una buona dose di inventiva e di immaginazione sono necessarie per capire come impiegare le atletiche evoluzioni del protagonista guidandolo nella sua strada verso la vendetta. Ai salti millimetrici, le corse sui muri e i funambolici voli che sono ormai il marchio di fabbrica della serie, si aggiungono nuove possibilità che rendono di fatto ancor più acrobatiche e dinamiche le avventure del principe. Lungo i muri dei palazzi di Babilonia sono infatti disseminate sporgenze a cui il protagonista può aggrapparsi con il proprio pugnale, prolungando così i suoi voli sui tetti della città; inoltre il Principe può utilizzare dei curiosi pannelli di legno per catapultarsi da una parete all’altra, complicando sicuramente la vita del giocatore ma aumentandone esponenzialmente il senso di soddisfazione. Consci che uno dei principali punti deboli dei precedenti titoli era un sistema di combattimento capace di confondere più che di coinvolgere il giocatore, i ragazzi di Ubisoft hanno ben pensato di correre ai ripari, introducendo le speed kills. Sia il Principe che il suo alter ego malvagio sono infatti in grado di porre velocemente fine all’esistenza delle guardie che infestano le strade di Babilonia sorprendendole alle spalle. Una volta giunti in posizione vantaggiosa, su schermo viene segnalata la possibilità di sopprimere l’avversario, scatenando una sequenza di colpi letali cadenzati dal bagliore sulla lama del protagonista. Un po’ come accade in God of War, infatti, il giocatore è chiamato a premere il pulsante di attacco con il giusto tempismo per ottenere la cruenta esecuzione della propria vittima. Le speed kills possono anche essere inserite al termine di una lunga serie di salti ed acrobazie, accrescendo ancor di più l’immedesimazione e il divertimento durante il gioco.
    L’introduzione delle speed kills è gradita non solo perché introduce una componente stealth ben integrata nel resto dell’avventura ma anche perché supplisce al sistema di combattimento che, purtroppo, è stato riproposto in tutta la sua caotica imprecisione. Per quanto le combo a disposizione del giocatore siano spettacolari ed efficaci, non si ha mai la sensazione di essere davvero padroni della situazione, generando un senso di approssimazione che alla lunga tende a frustrare e annoiare.

    La mia metà Oscura

    Curiosamente, la metamorfosi nel Dark Prince, non coincide con un’intensificarsi dei combattimenti, ma con un aumentare delle capacità offensive del protagonista. Non solo la catena appesa al braccio del protagonista gli permette di gestire con facilità scontri con molti avversari, ma la capacità di recuperare l’energia vitale semplicemente assorbendo le sabbie del tempo (sparse un po’ ovunque nei livelli di gioco) porta ad un approccio più temerario ai combattimenti. Al tempo stesso, la vitalità del Principe Oscuro si deteriora in maniera lenta ed inesorabile al trascorrere del tempo; di conseguenza, il tempo per individuare la via di fuga da un quadro di gioco e la maniera più opportuna per raggiungerla è limitato. Questo porta a delle vere e proprio corse contro il tempo (che ricordano da vicino gli inseguimenti del Dhaka del secondo episodio) che si fanno più impegnative nel proseguo del gioco con l’aggiunta di trappole e trabocchetti sulla strada del principe.
    Come detto in apertura dell’articolo, gran parte della bravura del team di sviluppo sta proprio nell’aver coniugato due anime tanto diverse, incarnate nella dualità del protagonista, non solo dal punto di vista delle meccaniche di gioco, ma anche al livello narrativo. Col dipanarsi della trama, saranno sempre più frequenti i dialoghi interiori del Principe con la propria metà Oscura, un espediente capace di conferire spessore alla vicenda e di dotare di una personalità affascinante il personaggio controllato, novello Dottor Jekill ante litteram alle prese con una coscienza tormentata.


    A completare un gameplay già di per se sufficiente ricco, contribuiscono le sezioni di corsa sui carri, in realtà abbastanza rare ma capaci di spezzare piacevolmente il ritmo di gioco. Il giocatore è chiamato ad indirizzare la folle corse di una biga nelle strette strade di Babilonia, difendendosi dagli assalti dei soldati dell’esercito invasore, pronte a far sbandare pericolosamente il cocchio pilotato dal Principe. In realtà, più che un sottogioco, queste sezioni somigliano più ad un divertente intermezzo, che non vuole certo proporsi come un gioco di guida: mancando la possibilità di accelerare o rallentare la corsa, rimane la possibilità di impostare la giusta traiettoria evitando ostacoli di ogni genere. Ciononostante, la frenesia e la spettacolarità di queste sezioni (unitamente alla loro natura di ‘diversivo’) compensano ampiamente alle lacune indicate.
    Nel corso del gioco si incontrano tre boss di fine livello. Ciascuno di essi deve essere affrontato seguendo la giusta strategia, impiegando sapientemente i meccanismi delle sopra citate speed kills e le abilità acrobatiche del protagonista. Per quanto questi scontri non brillino per originalità, si deve riconoscere al titolo Ubisoft l’indubbio merito di saper coinvolgere nella lotta il giocatore senza mai frustrarlo e di trasmettere appagamento come solo i grandi titoli sono in grado di fare.
    In mezzo a tanta varietà di situazioni di gioco, perde importanza la capacità di manipolare il tempo che tanto aveva impressionato nei precedenti capitoli. Piuttosto che funzionale alla meccanica di gioco, questa abilità risulta indispensabile solo per ripetere un salto finito tragicamente o ritentare un’acrobazia non andata a buon fine. È bene ricordare che il Principe non ha ‘extra life’ a propria disposizione e che cadere in un baratro spesso significa dover ripetere una lunga sezione del gioco. A onor del vero, non si sente particolarmente la mancanza di un impiego più organico di questi poteri; al tempo stesso, inserire anche questo elemento, non avrebbe di certo nuociuto all’esperienza di gioco.

    Gli scintillanti tesori di Babilonia

    Tecnicamente, il gioco si attesta su buoni livelli, pur accusando (in alcuni casi fin troppo vistosamente) il peso degli anni. Il motore grafico utilizzato è infatti un’evoluzione di quello già impiegato nei precedenti capitoli, particolarità che contribuisce con buona probabilità all’incertezza del frame rate, soprattutto per quanto riguarda la versione Ps2. In compenso, pur con tutti i limiti di un hardware ormai datato e di un software per molti versi non all’avanguardia, la complessità poligonale non viene mai sacrificata, garantendo un impatto visivo di prim’ordine, accompagnato da eccellenti effetti particellari e di flare. Come testimoniato dai numerosi artwork che accompagnano l’articolo, il titolo è stato oggetto di una cura certosina, che traspare da tutti gli ambienti e dalle locazioni di gioco. Certo, è difficile rivaleggiare con i panorami proposti dalla prima, indimenticabile, avventura del Principe (se non altro per l’imprinting che The Sand of Time ha saputo dare a questa generazione di videogiocatori) ma alcuni scorci di questo terzo capitolo rivaleggiano in bellezza con le più ardite produzioni dell’architettura moderna.
    Sul piano sonoro è giusto segnalare un ritorno alle evocative sonorità che hanno caratterizzato il primo episodio della serie. Le chitarre elettriche new metal di The Warrior Within lasciano spazio ad un più consono accompagnamento di archi e flauti orientaleggianti. Finalmente si torna a respirare la familiare atmosfera dell’antica Persia.
    Ottimo il doppiaggio in italiano, con l’impiego di professionisti all’altezza della situazione, capaci di trasmettere le emozioni e i sentimenti degli attori digitali.

    Prince of Persia : I due troni Prince of Persia : I due troniVersione Analizzata PlayStation 2Un ottimo titolo, che dimostra come Ubisoft sia attenta alle critiche e agli apprezzamenti, tanto della critica specializzata quanto del grande pubblico e, cosa ancor più importante, testimonianza di come lo studio e l’evoluzione di un progetto tanto curato (ed amato) possa produrre risultati di tutto rispetto. Non siamo di fronte ad un nuovo ‘Sand of Time’, e non potrebbe essere altrimenti, dato che ‘I Due Troni’ deve molto al suo illustre predecessore. Ciononostante si deve dar atto agli sviluppatori di aver saputo rinnovare un titolo che sembrava aver detto tutto, coniugando con maestria insospettata elementi per molti versi agli antipodi della videoludica. Tanta bravura genera un gioco ricco di situazioni e di meccaniche di gioco, che sa divertire proprio in virtù della sua varietà. Il tutto è sorretto da una trama interessante che trova fondamento e vigore su uno dei conflitti più importanti dell’animo umano: quello con la propria metà oscura. Va detto che il titolo è a tratti frustrante e costringe spesso il giocatore a ripetere lunghe sezioni di livello, soprattutto nelle sue fasi più avanzate. È comunque un piccolo prezzo da pagare di fronte ad un prodotto così vario. Una realizzazione tecnica non impeccabile, figlia di un motore grafico ereditato dai precedenti capitoli, è causa di un frame rate incostante ma mai fastidioso ed impedisce al titolo di raggiungere livelli di assoluta eccellenza. The Two Thrones garantisce anche i videogiocatori più esperti almeno 10 ore di divertimento, in linea con gli standard attuali per il genere. Il titolo non fornisce però nessun incentivo per essere rigiocato: è sufficiente terminarlo una volta per sbloccare tutte le gallerie grafiche, ed affrontarlo ad un livello di difficoltà maggiore inasprisce soltanto i già frustranti combattimenti. La degna conclusione di una serie che nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire. Il migliore titolo di uno degli inverni più ‘rigidi’ della produzione videoludica.

    8.0

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