"Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto... vediamo se è vero"
Quando due anni or sono, al Los Angeles Convention Center, venne alla luce Red Dead Revolver, i miei pensieri volarono a ritroso fino a Sunset Riders: uno dei pochissimi titoli a fondo western capaci di mietere consensi, grazie alla disinvoltura con cui donava divertimento puro e ricreava l'atmosfera del Vecchio West. La garanzia significata dall'allora produttore Capcom, insieme alla peculiarità del progetto, corroborarono di ottimismo e speranza le già valide premesse fornite dalla prima alpha mostrata al pubblico. Scopriamo se il trasferimento negli studios Rockstar (l'autrice di un certo signor GTA, mica tre cammellieri dietro un computer) ha giovato alla realizzazione di queste. Da quando il 3D ha soppiantato definitivamente il 2D, e le potenzialità di calcolo delle diverse console hanno iniziato a permetterlo, diversi videogiochi sono stati realizzati in maniera da far compiere al gameplay di un determinato genere balzi da gigante. Pensate a Tomb Raider, a Metal Gear Solid, a Shenmue, al nuovissimo Fable. Prodotti che hanno centrifugato le meccaniche standard, ampliandone largamente gli schemi e spostandone in là i confini. Talvolta anche invadendo (e ultimamente non di poco) il territorio di altre tipologie di giochi, finendo col riunire dentro di sé diversi generi accessori, che quando ben amalgamatigli possono dare vita ad un capolavoro che rivoluziona il genere principale. E così, tali prodotti creano nuovi standard per il gameplay di quel genere. Talora, invece, la casa produttrice preferisce limitarsi ad affinare uno standard consolidato, raffinandone gli schemi al punto da creare comunque qualcosa di straordinario, perché seppur non espande i confini di un genere, fa toccare allo stesso vette di eccellenza prima solo immaginate. Pensate in questo caso a Ocarina Of Time, a Halo Combat Evolved, a Ninja Gaiden. Ecco, Red Dead Revolver è un titolo che probabilmente, se fosse uscito alcuni anni fa, sarebbe davvero un grande gioco. Se fosse stato creato prima che Hideo Kojima configurasse l'odierno metro di paragone dell'action game cinematografico, Red Dead Revolver si potrebbe considerare un grande gioco. Se fosse uscito prima che Devil May Cry ridefinisse i contorni del pure action game, Red Dead Revolver sarebbe un grande gioco. Ma peccato che sia arrivato sugli scaffali solo nel 2004, e che il videoplayer del 2004 pretenda quindi ben altro, da un titolo d'azione. A dispetto della piacente introduzione, dove il marchio Rockstar trasuda di frame in frame, e dell'elegante menu a tema western, sotto la cartina tornasole troviamo uno sparacchino in terza persona senza grandi pretese, che punta spudoratamente tutto sull'insolito scenario in cui è ambientato. Se l'accompagnamento sonoro a detta atmosfera western si presenta più che dignitosamente, accompagnando lo scorrere del gioco con impegno ma senza strafare, graficamente ci troviamo dinanzi al consueto multipiattaforma sviluppato su radici PS2: l'engine visivo, che già sfrutta piuttosto maluccio l'hardware Sony, sulla console neroverde fa esattamente lo stesso effetto di quei titoli Xbox di prima generazione che compiacevano per la pulizia video, ma per tutto il resto facevano storcere il naso perfino prima del mortificante confronto con Halo e Dead Or Alive 3. Potete dunque immaginare quanto poco gratificante risulti oggi insozzare di modestissimi effetti particellari e di renderwaristica povertà di poligoni un'occhio lucidato dalla recente meraviglia di Tecmo o (peggio) da quella imminente di Bungie. Un Vecchio West riprodotto solo discretamente, dai paesaggi alle cittadine allo sceriffo ai banditi al treno, che però riesce comunque a fare piena breccia nel cuore del giocatore innamorato di Sergio Leone. Rockstar ripropone con frequenza i noti clichè dei film western, senza però mai avventurarsi nella farina del proprio sacco, e compiendo il madornale errore di lasciare sempre il giocatore con un palmo di naso proprio quando una situazione o una cut-scene ben realizzata inizia a gasarlo e a persuaderlo di imminenti variazioni di gioco o altre significative novità. Errore a mio avviso, ripeto, madornale, perché il grande game designer sa quando deve alimentare l'acquolina in bocca al giocatore, e quando invece deve spingere sull'acceleratore con le novità ludiche. Limitazione che tuttavia viene sufficientemente offuscata da una a tre ore di gioco, a seconda del vostro amore per i semplici sparacchini in terza persona e della suggestione che sa esercitare su di voi uno scenario tanto originale (in ambito videoludico, ovviamente) ed evocativo. La prima sparatoria, la prima fucilata in pancia, le prime compravendite al negozio in cui tra un livello e l'altro si può accedere hanno indubbiamente il loro sapore. Subito tornano alla mente sequenze memorabili di cui strepitosi interpreti furono Lee Van Cleef, Gian Maria Volonté, e soprattutto Clint Eastwood (sulle cui sembianze è stato modellato Red, il protagonista del gioco). Un sistema di controllo complesso ma non oppressivo aiuta a calarsi nei panni di Red senza doversi soffermare eccessivamente sui comodi tutorial disseminati nell'arco dei primi livelli (uno ad ogni nuova feature introdotta). E la rilettura Rockstar del bullet-time riesce a nasconderne l'ormai nauseabondo abuso grazie sia all'incremento scenico che produce l'utilizzo di questa tecnica da parte del giocatore, sia alla buona implementazione della stessa nel gameplay. I duelli fuori dal saloon non potrebbero essere più divertenti ed appaganti. Il fascino del Vecchio West interviene a salvare la baracca anche nelle frequenti cadute di qualità che oberano la meccanica di gioco: al termine della breve ma intensa sparatoria (con tanto salvataggio di sceriffo dal boss di turno) che interessa uno dei primi stages, si viene catapultati sul tetto di un treno in corsa, a scansare i marrani che ci puntano e ad evitare di cadere giù dal vagone per un contatto con uno dei ripetitivi ostacoli posti lungo il percorso...E tuttavia, poterlo finalmente fare anche in un videogioco gonfia l'animo di soddisfazione. Ma è pur sempre cosa da poco. La ventina di stages da percorrere per assolvere l'esperienza (sempre che di esperienza sia lecito parlare) non serve tanto ad aggiungere punticini alla voce Longevità, quanto a tediare ulteriormente il giocatore sbadigliante dinanzi ad un titolo che non solo non riesce a decollare, ma neppure dà mai la sensazione di provarci. Come già detto, un'opera che edifica ogni suo auspicio di intrattenimento sul fascino dell'ambientazione: questo è Red Dead Revolver. E quando l'occhio si abitua al buon design di cui ancora una volta è autrice Rockstar, quando il pollice destro non sente più aria di nuovo nell'inizialmente gaudiosa estrazione dell'arma durante i duelli, emergono definitivamente tutte le carenze di un titolo che con la manna ludica dei Metal Gear Solid, dei Ninja Gaiden, ma anche degli Psi-Ops o dei Prince Of Persia, non ha nulla da spartire.
Recensione Red Dead Revolver per Xbox
Leggi la nostra recensione e le opinioni sul videogioco Red Dead Revolver per Xbox - 460
"Quando un uomo con la
pistola incontra un uomo col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto...
vediamo se è vero"
Quando due anni or sono, al Los Angeles Convention Center, venne alla luce Red
Dead Revolver, i miei pensieri volarono a ritroso fino a Sunset Riders: uno dei
pochissimi titoli a fondo western capaci di mietere consensi, grazie alla
disinvoltura con cui donava divertimento puro e ricreava l'atmosfera del
Vecchio West. La garanzia significata dall'allora produttore Capcom, insieme
alla peculiarità del progetto, corroborarono di ottimismo e speranza le già
valide premesse fornite dalla prima alpha mostrata al pubblico. Scopriamo se il
trasferimento negli studios Rockstar (l'autrice di un certo signor GTA, mica
tre cammellieri dietro un computer) ha giovato alla realizzazione di
queste.
Da quando il 3D ha soppiantato definitivamente il 2D, e le
potenzialità di calcolo delle diverse console hanno iniziato a permetterlo,
diversi videogiochi sono stati realizzati in maniera da far compiere al gameplay
di un determinato genere balzi da gigante.
Pensate a Tomb Raider, a Metal Gear Solid, a Shenmue, al nuovissimo Fable.
Prodotti che hanno centrifugato le meccaniche standard, ampliandone largamente
gli schemi e spostandone in là i confini. Talvolta anche invadendo (e
ultimamente non di poco) il territorio di altre tipologie di giochi, finendo col
riunire dentro di sé diversi generi accessori, che quando ben amalgamatigli
possono dare vita ad un capolavoro che rivoluziona il genere principale. E così,
tali prodotti creano nuovi standard per il gameplay di quel genere.
Talora, invece, la casa produttrice preferisce limitarsi ad affinare uno
standard consolidato, raffinandone gli schemi al punto da creare comunque
qualcosa di straordinario, perché seppur non espande i confini di un genere, fa
toccare allo stesso vette di eccellenza prima solo immaginate. Pensate in questo
caso a Ocarina Of Time, a Halo Combat Evolved, a Ninja Gaiden.
Ecco, Red Dead Revolver è un titolo che probabilmente, se fosse uscito alcuni
anni fa, sarebbe davvero un grande gioco. Se fosse stato creato prima che Hideo
Kojima configurasse l'odierno metro di paragone dell'action game
cinematografico, Red Dead Revolver si potrebbe considerare un grande gioco. Se
fosse uscito prima che Devil May Cry ridefinisse i contorni del pure action
game, Red Dead Revolver sarebbe un grande gioco.
Ma peccato che sia arrivato sugli scaffali solo nel 2004, e che il videoplayer
del 2004 pretenda quindi ben altro, da un titolo d'azione.
A dispetto della
piacente introduzione, dove il marchio Rockstar trasuda di frame in frame, e
dell'elegante menu a tema western, sotto la cartina tornasole troviamo uno
sparacchino in terza persona senza grandi pretese, che punta spudoratamente
tutto sull'insolito scenario in cui è ambientato.
Se l'accompagnamento sonoro a detta atmosfera western si presenta più che
dignitosamente, accompagnando lo scorrere del gioco con impegno ma senza
strafare, graficamente ci troviamo dinanzi al consueto multipiattaforma
sviluppato su radici PS2: l'engine visivo, che già sfrutta piuttosto maluccio
l'hardware Sony, sulla console neroverde fa esattamente lo stesso effetto di
quei titoli Xbox di prima generazione che compiacevano per la pulizia video, ma
per tutto il resto facevano storcere il naso perfino prima del mortificante
confronto con Halo e Dead Or Alive 3.
Potete dunque immaginare quanto poco gratificante risulti oggi insozzare di
modestissimi effetti particellari e di renderwaristica povertà di poligoni
un'occhio lucidato dalla recente meraviglia di Tecmo o (peggio) da quella
imminente di Bungie.
Un Vecchio West riprodotto solo discretamente, dai paesaggi alle cittadine allo
sceriffo ai banditi al treno, che però riesce comunque a fare piena breccia nel
cuore del giocatore innamorato di Sergio Leone. Rockstar ripropone con frequenza
i noti clichè dei film western, senza però mai avventurarsi nella farina del
proprio sacco, e compiendo il madornale errore di lasciare sempre il giocatore
con un palmo di naso proprio quando una situazione o una cut-scene ben
realizzata inizia a gasarlo e a persuaderlo di imminenti variazioni di gioco o
altre significative novità.
Errore a mio avviso, ripeto, madornale, perché il grande game designer sa quando
deve alimentare l'acquolina in bocca al giocatore, e quando invece deve
spingere sull'acceleratore con le novità ludiche.
Limitazione che tuttavia viene sufficientemente offuscata da una a tre ore di
gioco, a seconda del vostro amore per i semplici sparacchini in terza persona e
della suggestione che sa esercitare su di voi uno scenario tanto originale (in
ambito videoludico, ovviamente) ed evocativo.
La prima sparatoria, la prima fucilata in pancia, le prime compravendite al
negozio in cui tra un livello e l'altro si può accedere hanno indubbiamente il
loro sapore.
Subito tornano alla mente sequenze memorabili di cui strepitosi interpreti
furono Lee Van Cleef, Gian Maria Volonté, e soprattutto Clint Eastwood (sulle
cui sembianze è stato modellato Red, il protagonista del gioco). Un sistema di
controllo complesso ma non oppressivo aiuta a calarsi nei panni di Red senza
doversi soffermare eccessivamente sui comodi tutorial disseminati nell'arco dei
primi livelli (uno ad ogni nuova feature introdotta). E la rilettura Rockstar
del bullet-time riesce a nasconderne l'ormai nauseabondo abuso grazie sia
all'incremento scenico che produce l'utilizzo di questa tecnica da parte del
giocatore, sia alla buona implementazione della stessa nel gameplay. I duelli
fuori dal saloon non potrebbero essere più divertenti ed appaganti.
Il fascino
del Vecchio West interviene a salvare la baracca anche nelle frequenti cadute di
qualità che oberano la meccanica di gioco: al termine della breve ma intensa
sparatoria (con tanto salvataggio di sceriffo dal boss di turno) che interessa
uno dei primi stages, si viene catapultati sul tetto di un treno in corsa, a
scansare i marrani che ci puntano e ad evitare di cadere giù dal vagone per un
contatto con uno dei ripetitivi ostacoli posti lungo il percorso...E tuttavia,
poterlo finalmente fare anche in un videogioco gonfia l'animo di soddisfazione.
Ma è pur sempre cosa da poco. La ventina di stages da percorrere per assolvere
l'esperienza (sempre che di esperienza sia lecito parlare) non serve tanto ad
aggiungere punticini alla voce Longevità, quanto a tediare ulteriormente il
giocatore sbadigliante dinanzi ad un titolo che non solo non riesce a decollare,
ma neppure dà mai la sensazione di provarci. Come già detto, un'opera che
edifica ogni suo auspicio di intrattenimento sul fascino dell'ambientazione:
questo è Red Dead Revolver.
E quando l'occhio si abitua al buon design di cui ancora una volta è autrice
Rockstar, quando il pollice destro non sente più aria di nuovo
nell'inizialmente gaudiosa estrazione dell'arma durante i duelli, emergono
definitivamente tutte le carenze di un titolo che con la manna ludica dei Metal
Gear Solid, dei Ninja Gaiden, ma anche degli Psi-Ops o dei Prince Of Persia, non
ha nulla da spartire.
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