Recensione SOS The Final Escape

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Recensione SOS The Final Escape
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Nuova linfa vitale per un genere?

Siete stanchi di far saltare il cervello a zombie usciti da non si sa quale laboratorio genetico? Massacrare a colpi di spranga creature allucinanti frutto della vostre proiezioni mentali non vi appaga più come prima? Fare foto ai fantasmi lo avete sempre trovato ridicolo?
Se la vostra fame di Survival game non si è ancora placata, ma cercate qualcosa di nuovo e soprattutto volete una storia più attinente alla realtà, eccovi accontentati. Finalmente, a circa un anno dalla sua release giapponese, è sbarcato nel nostro paese SOS The Final Escape, meglio conosciuto come Zettai Zetsumei Toshi in Giappone e SOS Disaster Report in America.
Come molti di voi sapranno già, nel titolo Irem non dovrete affrontare nessuna entità ultraterrena, tantomeno qualche prodotto di un esperimento biologico non andato a buon fine. In SOS The Final Escape il vostro nemico è anche ben più subdolo ed inprevedibile: il terremoto.

21 giugno 2005:Day-0

Stiver Island rappresenta un ambizioso progetto che non ha precedenti nella storia dell’uomo: un'isola artificiale costruita nell’Oceano Pacifico con l’uso delle tecnologie più avveniristiche e strenuamente voluta dal Governo al fine di risolvere il problema del sovraffollamento degli agglomerati urbani.
Per dimostrare la bontà dell’idea e della sua realizzazione, il Governo stesso decide di spostare una buona parte degli uffici preposti alle funzioni amministrative su Stiver Island, ribattezzata dal popolo “Capital City” proprio per questo motivo. E’ l’anno 2001. Passano alcuni anni, anni in cui le magnificienze tecnologiche di Stiver Island la consacrano come la Città del Futuro.

Per Keith Helm è un gran giorno: il 21 giugno 2005 il suo sogno di lavorare per il Town Crier Newspaper sta per avverarsi. Guardando fuori dal finestrino del treno che, percorrendo il lungo ponte di collegamento tra l’aeroporto e la Capitale, lo sta conducendo a Stiver Island, Keith è assorto nei suoi pensieri fantasticando su come si presenterà ai suoi occhi la tanto decantata Città del Futuro.
Il cadenzato rumore del treno sui binari e i versi dei gabbiani che volano radenti sulla superficie del mare sono improvvisamente interrotti da un enorme boato. Una serie di possenti scosse sismiche segnano l’inizio della fine dell’isola e il suo inesorabile affondamento. Per Keith e tutti gli altri superstiti è l’inizio di un lungo e tragico incubo.
Una volta passati i controlli al giocatore, la prima cosa di cui ci si dovrà occupare sarà quella di uscire dal vagone e intraprendere il lungo cammino attraverso il ponte al fine di giungere alla (prima) tanto agognata Stiver Island. Ben presto faremo l’incontro con uno dei primi superstiti, la bella Karen Morris, che ci accompagnerà (sempre che non vi comportiate in modo meschino con lei) fino alla soluzione dell’avventura.

Gameplay a prova di terremoto

Nonostante l'originalità delle tematiche affrontate nel gioco, la struttura non si discosta nemmeno di un millimetro dalle formule ben collaudate tipiche dei vari Survival game. Gli unici elementi mancanti rispetto ai vari Resident Evil o Silent Hill sono i combattimenti, in quanto anche quando braccato da alcuni personaggi armati di tutto punto, Keith userà metodi evasivi (la fuga o l’utilizzo di nascondigli improvvisati tra le macerie) per togliersi dai guai. Gli enigmi proposti non offrono particolari spunti originali e si riducono, generalmente, ai soliti "usa la chiave giusta nella porta giusta", “usa il piede di porco per aprire la botola” e via di seguito.
Il nostro Keith è dotato, inizialmente, di uno zaino utile a contenere gli oggetti recuperati lungo il cammino. La disponibilità di spazio è realisticamente limitata, rendendo necessaria una gestione ottimizzata dell'inventario al fine di conservare unicamente gli oggetti strettamente necessari. Procedendo con l’avventura sarà possibile recuperare nuovi zaini con una maggiore capacità.
Gli oggetti occuperanno uno spazio variabile a seconda delle dimensioni. Alcuni di essi potranno essere suddivisi in più elementi “atomici” – ad esempio l’ombrello, scomponibile in tre pezzi – in modo da ottenere, combinandoli con altri oggetti, nuovi elementi da utilizzare in particolari contesti.
Sarà possibile salvare i progressi di gioco sostando alle varie sorgenti d’acqua (fontanelle o erogatori da ufficio), soddisfando al contempo il bisogno d’acqua del nostro Keith. Nel caso in cui l’indicatore di “sete” del personaggio sia ai massimi livelli, è buona cosa preparare delle scorte da utilizzare nei momenti di maggior bisogno riempiendo le bottiglie vuote raccolte nel corso dell’avventura. Lo svuotamento dell’indicatore sopra indicato darà inizio ad un veloce esaurimento della barra energetica rappresentante le funzioni vitali del nostro personaggio, con la conseguente morte.
Durante il suo peregrinare, Keith incontrerà altri personaggi con i quali stringerà legami più o meno stretti a seconda delle scelte operate dal giocatore. Offrite loro dell’acqua per dissetarsi, un’ombrello per ripararsi dalla pioggia, incoraggiateli nei momenti più difficili in modo da instaurare un rapporto di fiducia con il nostro Keith. E’ anche in base al grado di “relationship” stretto con gli altri NPC che sarà possibile sbloccare un finale piuttosto che un altro. Ebbene sì, come in molti altri esponenti del genere, anche SOS The Final Escape prevede finali multipli. E’ possibile trarre in salvo il povero Keith anche giocando poche ore, ma così facendo molti interrogativi potrebbero rimanere tali.

Detriti poligonali e grida campionate

Il vasto complesso di edifici di cui è composta Stiver Island è stato riprodotto con un uso piuttosto parco di poligoni. La cosmesi di SOS The Final Escape tradisce la sua origine di prodotto di prima generazione (e l’anno abbondante trascorso dalla release giapponese ne è una chiara testimonianza), afflitto com’è da una presenza massiccia di aliasing e da un frame rate con cali improvvisi piuttosto fastidiosi. Ad enfatizzare i difetti riscontrati sul versante estetico ci pensa una conversione Pal inficiata ulteriormente da colori sbiabiti e dai contorni impastati. I modelli dei personaggi sono sufficientemente curati e dotati di animazioni piuttosto legnose. Un particolare che noteremo nel corso dell’avventura è il progressivo deterioramento (non dinamico, purtroppo) degli abiti indossati dai vari personaggi; ad aggiungere un ulteriore tocco di realismo ci penseranno contusioni e ferite, che faranno capolino qua e là sui loro corpi indeboliti e affaticati.
I pesanti limiti dell’engine poliginale e delle scelte grafiche sono, però, ampiamente compensati dall’incisività con cui sono realizzati movimenti tellurici. La fisica che governa i movimenti di macchine, detriti, calcinacci e tutto ciò che verrà sballottato sullo schermo durante il terremoto non risponde certo ai dettami della realtà, ma vi assicuriamo che in certi frangenti (uno su tutti quello allo stadio) la tensione si farà alta, presi come saremo dall’affanno di trarre in salvo il nostro povero Keith.
Per quanto concerne il sonoro bisogna dire che, anche in questo caso, i programmatori non si sono sforzati più di tanto. Per quasi tutta la durata dell’avventura l’unico rumore che vi accompagnerà sarà quello dei vostri passi e di quelli degli altri personaggi (in genere sarete sempre in coppia con Karen), realizzato in maniera alquanto discutibile e mal sincronizzato con i movimenti su schermo. La gestione dei rumori ambientali è malamente realizzata. Per rendere l’idea prendiamo ad esempio il mai troppo lodato ICO. Nella bellissima avventura di Fumito Ueda, man mano che ci si avvicina ad una scogliera è possibile udire sempre più chiaramente i versi dei gabbiani e il rumore dell’acqua che si rifrange sulla scogliera.
In SOS The Final Escape i programmatori hanno optato per una soluzione “ad interruttore”. Nella fase iniziale sul ponte è sufficiente avvicinarsi alle sporgenze per udire il rumore del mare, ma basterà fare un passo indietro per tornare nel silenzio più assoluto. Un approccio un po’ più graduale non avrebbe di certo guastato.
In certe situazioni particolarmente adrenaliniche partirà un accompagnamento musicale che tenderà ad aumentare lo stato ansiogeno del giocatore, con brani dalla fattura non proprio indimenticabile, ma funzionale ai fini dell’azione.

Controlli

Lo stick analogico sinistro del joypad è adibito al controllo dei movimenti di Keith. Alla pressione del tasto x, faremo compiere un’interazione con un oggetto o con un elemento dello scenario (laddove concesso) al nostro personaggio. Una scelta piuttosto discutibile riguarda la possibilità di saltare: al giocatore sarà concessa solo in determinati punti, e il salto verrà effettuato automaticamente non appena raggiunta l’estremità. Il tasto “quadrato” permetterà di accedere all’inventario, alla lettura dei documenti raccolti sul cammino, alle registrazioni vocali effettuate con il registratore portatile (non appena ne entreremo in possesso), alla mappa (richiamabile direttamente tramite la pressione di R3) e alla situazione riguardante le relazioni tra i vari personaggi incontrati. Il tasto triangolo offre l’utilizzo della visuale in prima persona per poter scrutare in modo più preciso l’ambiente in cui ci troviamo (e spesso la pessima gestione delle telecamere ne richiederà l’utilizzo).
Per richiamare l’attenzione dei “compagni di viaggio” o di qualche superstite intrappolato tra le macerie il tasto L1 permetterà a Keith di gridare. Il tasto R1 avrà la funzione di assicurare il protagonista ad una parete o al terreno stesso in modo da non perdere l’equilibrio durante una delle tante scosse sismiche che si verificheranno nel corso dell’avventura.

Conclusioni

La versione Pal di SOS The Final Escape (ricordiamo Zettai Zetsumei Toshi in Giappone) è la chiara dimostrazione di quanto sia tenuto scarsamente in considerazione, ancora adesso, il mercato europeo.
Oltre all’attesa durata più di un anno dalla prima uscita del titolo nelle terre del sol levante, una pessima conversione per il sistema Pal ci “ripaga” del tempo trascorso (non è presente nemmeno la localizzazione dei sottotitoli in italiano). Ed è un vero peccato, poiché se il gioco fosse uscito un anno fa avrebbe riscontrato un numero ben maggiore di consensi. Il problema principale di SOS The Final Escape, insieme ad alcune discutibili scelte in materia di gameplay, e il basso profilo tecnologico di cui è dotato il titolo, considerando gli standard a cui siamo stati abituati ultimamente.
Se non siete alla ricerca di un titolo particolarmente incentrato sull’azione e il concept tutto giapponese di questo gioco vi attira, potreste farlo vostro a patto di resistere alle sensazioni suscitate a prima vista, non certo delle migliori. Lo sviluppo della trama (sempre un po’ sopra le righe, come è tipico per i prodotti giapponesi) e il desiderio di assistere ai vari finali previsti (elemento che giova al fattore “rigiocabilità” del titolo) costituiscono un buon incentivo per portare a termine l’avventura. E in certi momenti l’istinto di gettar via il joypad e cambiar canale sarà veramente forte, tanto alta sarà la tensione. Una scelta di mercato un po’ più accorta (il livellamento del prezzo a valori “budget” e non “full price”) unita ad una conversione Pal più competente (per fortuna non saremo oppressi da bande nere particolarmente invadenti) avrebbero fatto di SOS The Final Escape un prodotto decisamente più appetibile, nonostante resti un titolo particolarmente interessante per chi è alla ricerca di qualcosa di alternativo e non teme una realizzazione tecnica non al passo con i tempi.

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