Recensione Stranglehold

What time is it? Tequila Time!

Stranglehold
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Non si danno più le spalle al pubblico

    E' raro, di questi tempi, imbattersi in un shooter in terza persona di discreta fattura. Dopo la brillante prova di Lost Planet il panorama videoludico moderno è rimasto abbandonato da un genere tanto in voga nei primi anni della generazione a 128 bit.
    Animati dalla nostalgia è dunque con piacevole curiosità che accogliamo, nel brulicante mercato autunnale, Stranglehold, un prodotto che sembra avere la palese intenzione di interrompere il flusso continuo di FPS per tornare alle classiche sparatorie “a la Max Payne”.
    Dopo aver respirato l'odore di piombo grazie alla demo rilasciata qualche settimana fa, il titolo Midway si è per altro mostrato una portata all'apparenza piuttosto appetitosa: pura devastazione, azione intensa e frenetica, massiccia interattività ambientale ed un'atmosfera unica.
    Ma l'alchimia, stavolta, non è perfetta, e Stranglehold arranca colpito nel pieno del suo cuore ludico.

    Tutto passa di moda, ad eccezione della guerra


    Stranglehold è la diretta emanazione videoludica di un film il cui titolo la dice lunga su cosa l'utente dovrebbe aspettarsi dal lavoro di Midway. Trattasi di Hard Boiled, pellicola del 1992 diretta da John Woo, in cui l'azione esagerata e cruda, i protagonisti (dei duri con la lingua pericolosa almeno quanto le loro pistole), e le vicende narrate (di caduta e rivalsa, ma soprattutto di sangue e vendetta) identificano di colpo un intero filone cinematografico. Da Die Hard a Payback, la produzione degli anni novanta è costellata di “polizieschi” brutali e fragorosi. Ma basta ricordare il già citato Payne per capire che neppure il mondo del videogioco è rimasto lontano dagli ambiti dell'azione più esasperata: l'indimenticato lavoro dei Remedy fu il primo a portarla su console, e forse l'unico sino ad oggi a dimostrarsi davvero carico di suggestioni. Ora è la stessa collaborazione di John Woo alla realizzazione del titolo che garantisce per Stranglehold una riuscita altrettanto evidente. E infatti, dal punto di vista della sceneggiatura, il gioco in esame non ha davvero niente da invidiare alle pellicole del grande schermo. Una trama scontata e tuttavia ben raccontata, ma soprattutto delle splendide cut scene e degli ambienti evocativi (che attraversano tutti i clichè tipici) contribuiscono a creare un'atmosfera, senza mezzi termini, unica. Il sapiente senso registico si respira continuamente, i dialoghi sono taglienti ed essenziali, i proiettili volano a frotte. Insomma un'opera che, dal punto di vista del confezionamento scenico e narrativo, mostra pochi cedimenti: è perfettamente incastrata nei canoni tipici di un genere che gode della sua “uniformità”. Ovviamente il plateale esibizionismo con cui esplosioni e frasi fatte si alternano sullo schermo può non piacere a tutti gli utenti. Ma chi è incline al genere Hard Boiled può stare tranquillo di trovare una storia che fa per lui.

    Ormai sei morto, i tavoli sono finiti, adesso dove ti nascondi?


    Anche dal punto di vista del gameplay, Stranglehold è ben confezionato. Riprende tutta l'eredità di Max Payne per arricchirla ed ammodernarla. Il meccanismo di base è semplicissimo: si procede e si fa fuoco, mietendo anime su anime, in una frenesia di piombo. Per far fronte alla mole di proiettili che parimenti sono esplosi in direzione della nostra persona, è opportuno tuttavia fare uso del classicheggiante “ralenti”, chiamato per l'occasione “Tequila Time” (il nome del protagonista). Utilizzando il dorsale sinistro è possibile esibirsi in un tuffo direzionato (grazie alla pressione della leva analogica): si attiva così, mirando nel frattempo verso un avversario, l'abilità speciale che permette di rallentare lo scorrere del tempo, prendere la mira con attenzione e persino evitare i colpi meno precisi. Ovviamente la possibilità di sfruttare tale caratteristica è regolata da una barra, in realtà non troppo avara, che si svuota gradualmente per poi riempirsi durante le fasi di “riposo”. Fin qui niente di nuovo. Ma la particolarità di Stranglehold risiede nella massiccia interattività ambientale, grazie alla quale è possibile eliminare gli avversari con ancora più stile. L'ispettore Tequila, difatti, in determinati contesti può eseguire mosse particolari: basta individuare gli oggetti che si illuminano e premere il solito dorsale nelle loro vicinanze per esibirsi in spettacolari e improbabili acrobazie: salire sul corrimano di una lunga scalinata per scivolare fino alla fine, lanciarsi su un carrello da portata e scorrere in avanti sparando all'impazzata, dondolarsi dai lampadari per colpire gli avversari dall'alto. Tutte queste azioni attivano automaticamente il Tequila Time e permettono di inanellare preziose combo “stile”, utili per riempire l'indicatore delle (immancabili) mosse speciali. Considerata la grande quantità di “spunti” ambientali, nonché alcune “finezze” particolari (come la possibilità di scivolare automaticamente sugli ostacoli più bassi, quali tavoli o casse, o quella di restare a terra e rotolarsi fino a sgattaiolare dietro un riparo), la scena ludica che si dipinge è piuttosto articolata, votata in tutto e per tutto alla spettacolarità. Non basta: la grandissima plasmabilità dell'ambiente permette di danneggiare e spaccare praticamente qualsiasi oggetto si trovi negli improvvisati “campi di battaglia”: un'infinità di detriti si accatastano dove passa l'improbabile protagonista, e considerata la possibilità di far esplodere estintori e bombole, o di far cadere sulla testa degli avversari intere parti dello scenario (insegne, statue, lampadari), è ben chiaro quanto possa rendersi vario ed articolato il gameplay. E non mancano persino le “finiture”: a rompere la plausibile monotonia non c'è soltanto il contesto, ma anche qualche piacevole inserto. Ad esempio le summenzionate mosse speciali: dallo zoom per eseguire un colpo di precisione (che segue il proiettile fino ad inquadrare il bersaglio agonizzante, che può essere colpito in diverse parti del corpo) alla “special” finale (o attacco rotante) che mette fuori combattimento tutti i nemici (“generando” fra l'altro qualche colomba bianca che si leva in volo, una vera e propria “firma” del regista). Insomma Stranglehold appare entusiasmante, completo, divertente da giocare, ed il sistema di controlli facile da padroneggiare e perfettamente funzionale.
    Eppure, come dicevamo, c'è qualcosa che è andato storto. Il vero problema del prodotto è un level design piatto e scontato, che annulla d'un colpo tutte le caratteristiche vincenti del concept. Se si escludono i primi due schemi (ambientati in un mercato di Hong Kong e poi, con risultati più che ottimi, in una cittadina portuale), il titolo si ambienta soltanto in grossi stanzoni chiusi (sempre a due piani), dai quali è impossibile uscire. Siano essi collegati da ascensori (i vari piani di un ristorante o di un grattacielo di Chicago) o da corridoi vuoti (le sale tematiche di un museo), di fatto lo sconforto non tarderà a cogliere i giocatori più esigenti, non dimentichi delle prime fasi dell'avventura, in cui la scoperta di ambienti sempre nuovi (e con loro di continui “hot spot” per eseguire uccisioni in grande stile) faceva presagire un prodotto sopra la media. Considerato tutto il tempo che è stato necessario per lo sviluppo (Midway mostrò il titolo all'E3 di due anni fa) risulta difficile comprendere le ragioni di una scelta così penalizzante: sembra quasi che il regista abbia lasciato il progetto a se stesso, nelle mani di sviluppatori del tutto inadeguati ad inventare locazioni suggestive, e poco propensi a conservare quella varietà d'azione che contraddistingue le prime ore dell'avventura. Anche dal punto di vista stilistico, infatti, le sale chiuse degli schemi avanzati risultano monotone (cromaticamente e per la presenza dei soliti elementi interattivi).

    Un vero peccato poi che, nonostante a livello normale il gioco presenti un buon grado di sfida (per la presenza massiccia di avversari), l'avventura di Tequila non duri più di dei/sette ore (due pomeriggi di dura applicazione). Una pecca gravissima nell'economia del gioco (venduto ad un prezzo tutt'altro che contenuto), per altro accentuata da una sezione extra non troppo ricca (i bonus più interessanti si guadagnano grazie ai punti della prima partita) e da un comparto multiplayer del tutto marginale (se non periferico: un esperimento dilettantistico, con lievi ma avvertibili problemi di lag, e comunque non così divertente come l'avventura inserita nel contesto narrativo).

    Un giorno senza sangue è come un giorno senza Sole

    A livello tecnico Stranglehold si divide fra una spettacolare resa coreografica ed una realizzazione nata e sostanzialmente cresciuta nella prima generazione di software di questa epoca ludica. Da una parte troviamo ambienti evocativi e ben realizzati, con un'interattività davvero eccellente ed un numero impressionante di elementi a schermo (oggetti, nemici, detriti). Dall'altra una realizzazione dei modelli soltanto approssimativa, poco ispirata, e minata soprattutto da un set di animazioni non troppo naturali (comprese ovviamente quelle del protagonista). Fortunatamente nella frenesia dell'azione si tende a soprassedere su problemi avvertibili solamente in un'analisi minuziosa e attenta.
    Più evidenti risultano i cali qualitativi durante le cut-scene: nonostante queste sfoggino la sopracitata abilità registica di Woo, in questi frangenti le animazioni legnose e poco fluide, ma soprattutto un set di texture altalenante ed una serie di espressioni facciali non del tutto convincenti fanno da contraltare agli interessanti giochi di camera ed alle avvincenti situazioni.
    Fortunatamente la fluidità è garantita nella maggior parte dei casi, anche se in rari momenti (si contano sulle dita di una mano) si assiste a non troppo fastidiosi cali di frame rate (che si staccano dalla soglia dei 30, oltre la quale il titolo non arriva). Non eccessivi poi i tempi di caricamento, tutt'altro che invadenti.
    In definitiva un comparto tecnico più che sufficiente, ma incapace di rivaleggiare con i massimi esponenti ludici della nuova generazione.

    Stranglehold StrangleholdVersione Analizzata Xbox 360Il gameplay alla base del nuovo prodotto Midway è “avvolgente”, frenetico, potenzialmente piuttosto vario. Stranglehold, è palese dall’esperienza dei primi livelli di gioco, è un titolo che aveva tutte le carte in regola per interessare ben più di un giocatore, e mostrare tutta la validità di uno shooter duro e crudo. Purtroppo, nonostante i lunghi anni di sviluppo, il prodotto cade nel tranello della monotonia ambientale: proseguendo nell’avventura si scoprono schemi tutt’altro che ispirati, che annullano di colpo molte delle possibilità del gioco, relegando l’interattività ambientale soltanto alla pratica blastatoria e poco di più (svalutando insomma gli elementi interattivi, che si limitano a lampadari e ringhiere). Un vero peccato: per queste disattenzioni e per una longevità ridicola Stranglehold subisce le sorti di un gioco non propriamente centrale nel panorama videoludico, interessante soprattutto per i fanatici delle atmosfere Hard Boiled e per i patiti degli shooter 3D. Onore al merito per il lavoro di John Woo, capace in ogni caso di riproporre su console il feeling delle sue produzioni, nonché di lavorare a fianco degli sviluppatori per costruire una struttura ludica che poteva (forse potrà) aspirare ad altri risultati.

    7

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