Recensione Summon Night: Swordcraft Story

L'esordio in occidente della saga di Summon Night poteva essere migliore.

Recensione Summon Night: Swordcraft Story
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  • Attendi un gioco e ti arriva lo spin-off

    I fan occidentali dei giochi di ruolo giapponesi hanno avuto pane per i loro denti in abbondanza negli ultimi anni, eppure ancora molte serie, anche piuttosto rinomate, sono rimaste per anni appannaggio della sola utenza giapponese, non essendo mai state tradotte e riadattate per gli altri mercati. Tra questi rientra la saga di Summon Night, nata su Playstation e poi approdata su Playstation 2, che arriva solo ora sul mercato americano (per quanto riguarda un’eventuale uscita europea ancora non si sa nulla) con uno spin-off per Game Boy Advance: Swordcraft Story.

    Piccoli fabbri crescono

    In tutta Lyndbaum la città di Wystern è conosciuta anche come “città delle spade”. Questa è infatti famosa per i suoi abilissimi armaioli e per delle importanti personalità che vi risiedono: i Craftlords; questi sono allo stesso tempo esperti forgiatori d’armi ed abili guerrieri e detengono, oltre che il potere amministrativo della città, il ruolo di guardiani del labirinto sotterraneo nelle profondità del quale giace Parista, il sacro spirito delle spade. Dopo la dipartita di Shintetsu, il “craftlord di ferro”, viene indetto un torneo, il cui vincitore andrà a colmare la posizione vacante.
    Il protagonista di cui seguiremo le avventure, il figlio di Shintetsu, è un apprendista craftknight, che partecipando al torneo affronterà i rivali della sua e di altre gilde. Tra un round del torneo e l’altro il protagonista scoprirà pian piano la storia di suo padre e della sua misteriosa scomparsa, e sventerà loschi piani dietro i quali si celano personaggi insospettabili.
    Nonostante la trama si basi in buona parte sullo svolgimento di un torneo, il succedersi degli eventi di gioco non è molto schematico, anzi, cerca di rendersi interessante proponendosi come una successione di situazioni ed imprevisti che pongano sempre uno scopo alle azioni del protagonista. I personaggi proposti sono ben realizzati, pur mostrando tratti di caratterizzazione semplici; lo stesso vale per i dialoghi, che non mancheranno di creare ogni tanto qualche gag simpatica. In definitiva però la trama risulta comunque poco complessa e capita in alcuni punti che eventi capaci di dar vita a buoni colpi di scena si risolvano in realtà in maniera banale.

    Un passo dopo l’altro, un combattimento dopo l’altro

    Il protagonista (inizialmente selezionabile tra due personaggi, un ragazzo ed una ragazza, scelta che influirà minimamente sul resto del gioco) è un craftkinght, e secondo il loro stesso codice essi possono brandire solo armi da loro stessi costruite. Cosicché per armarsi ed aggiornare il proprio equipaggiamento, il protagonista dovrà raccogliere dei comuni oggetti di scarto trovati in giro per i dungeon e poi fonderli per trasformarli in 4 diversi tipi di elementi base; poi, con l’aiuto del proprio guardian beast (una creatura proveniente da un’altra dimensione che ci viene assegnata all’inizio del gioco, scelta tra una delle 4 disponibili in base a delle nostre scelte iniziali) bisognerà forgiare un’arma a scelta, ammesso che si siano accumulati elementi a sufficienza per farlo, usando una delle tecniche finora apprese. Le armi possono essere di 5 tipi, ognuna con le proprie caratteristiche e pregi: le spade sono semplici da usare e versatili; le lance sono ottime per tenere i nemici a distanza e per colpire i bersagli in volo, ma sono scomode nei combattimenti ravvicinati; le asce sono pesanti e lente da usare, ma potenti, mentre i guanti da combattimento hanno caratteristiche esattamente opposte; infine i drill-arm (una sorta di piccola trivella da polso) sono un po’ difficili da usare, ma hanno una discreta potenza, oltre alla capacità di colpire più nemici contemporaneamente.
    Quando, scorazzando allegramente in ambienti pericolosi, si incappa in un combattimento (organizzati come incontri casuali durante il cammino) il gioco passa da una visuale dall’alto, tipica dell’esplorazione, ad una visuale laterale in stile picchiaduro; proprio come in questo genere di giochi infatti bisogna combattere i nemici in tempo reale: nella parte superiore dello schermo è visualizzata l’energia dei nemici, in basso la nostra, e più sotto il livello di resistenza dell’arma in uso (che se raggiungerà lo zero andrà irrimediabilmente persa); al lato di questi indicatori due icone mostrano l’arma in uso e la lista di incantesimi disponibili. Con la croce direzionale controlliamo il protagonista, facendolo camminare, correre, saltare o schivare con un (poco) agile balzo all’indietro; premendo il tasto A e combinandolo con la pressione di alcune posizioni della croce direzionale si possono fare diversi tipi di attacchi e piccole combo, la B è invece usata per parare; col tasto L si cambia arma in uso con un’altra delle 3 equipaggiate, mentre con R si può selezionare uno degli incantesimi o oggetti coi quali verrà in nostro soccorso guardian beast.
    Il sistema di combattimento è divertente, ma visto che in genere comporta poca strategia e la possibilità di attivare un combattimento casuale camminando è altissima (decisamente troppo!), combattere può divenire facilmente ripetitivo. A questo va aggiunto che l’esplorazione dei dungeon non offre alcuno stimolo o diversivo: non ci sono enigmi né percorsi particolari da cercare con qualche stratagemma, semplicemente si esplorano stanze quasi vuote, procedendo un piano dopo l’altro, rompendo ogni tanto qualche barile e qualche baule in cerca di oggetti utili.
    Il numero di tecniche di forgiatura che possono essere apprese nel corso del gioco è tutt’altro che esiguo, eppure, a parte i differenti valori di attacco e difesa, non c’è nessun effetto supplementare che caratterizzi ciascuna di queste per renderla differente dalle altre. Così come per le armi, anche per le magie sarebbe stata gradita un po’ più di inventiva nella loro progettazione, essendo anche queste banali e prive di fantasia.

    Mediamente piatto

    Graficamente, il titolo mostra di essere stato ben curato solo in parte: con la visuale dall’alto (usata nelle sezioni di avventura e di esplorazione) il gioco presenta sprites poco particolareggiati, ed i temi grafici utilizzati per i fondali sono poco originali e monotoni. Nonostante questo però, i ritratti dei personaggi che vengono visualizzati durante i dialoghi sono ben fatti ed espressivi, e durante i combattimenti il gioco da graficamente il meglio di sé: fondali ampi e dettagliati, personaggi disegnati in stile superdeformed animati in maniera fluida e piacevole a guardarsi, mentre l’attivazione degli incantesimi genera effetti speciali in trasparenza semplici ma comunque gradevoli.
    Stessa cosa non può essere detta del comparto audio, che è costituito da effetti sonori scialbi, e le cui musiche, oltre che ad essere poco ispirate, sono composte da serie di suoni che sembrano appartenere al vecchio Game Boy.

    Summon Night: Swordcraft Story Summon Night: Swordcraft StoryVersione Analizzata Gameboy AdvanceSummon Night ha esordito in occidente con un episodio appena discreto. Visto il sistema di gioco che può facilmente rischiare di diventare monotono ai più, si tratta di un titolo consigliabile solo a chi ama i jrpg con combattimenti in tempo reale. Agli altri che abbiano voglia di un gioco di ruolo giapponese da giocare ovunque sul proprio fidato GBA non resta che un’ampia scelta di altri buoni titoli disponibili.

    6.5

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