Recensione Sword Art Online Lost Song

Lost Song è il l'ultimo episodio della serie Sword Art Online: questo capitolo propone un'avventura inedita con nuovi personaggi e un gameplay che ricalca quello del suo predecessore, con qualche piccola miglioria.

Recensione Sword Art Online Lost Song
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  • PS3
  • PSVita
  • PS4
  • Sono passati ormai più di tre mesi da quando abbiamo visto per l'ultima volta il buon Kirito-kun alle prese con l'ennesima divagazione, riveduta, corretta ed ampliata del mortale Sword Art Online. Lo scorso agosto, infatti, in piena canicola estiva l'ammiraglia di casa Sony ha ospitato la riedizione casalinga di Sword Art Online: Hollow Fragment. Il titolo in questione, oltre a contenere la release originale, per l'occasione introduceva anche un'area esplorabile tutta nuova, conosciuta come "The Hollow Area". Questa "espansione" ha permesso di approfondire gli eventi occorsi a Kirito e ai suoi compagni di sventura dopo il raggiungimento del fatidico livello 75 sino all'end game. Il prodotto, però, non aveva una grande personalità e sembrava rivolgersi unicamente ad una ristretta cerchia di utenti, ovvero a coloro che, già fan di anime e manga, possedevano il giusto background per capire ogni singolo riferimento a fatti, personaggi e vicende precedenti alla digressione ludica. Ora Artdink cerca di espandere ulteriormente il già abbastanza disordinato universo narrativo di Sword Art Online propinandoci non solo una nuova avventura per lo spadaccino in nero, ma addirittura un plot che si allontana sensibilmente rispetto alle light novel di Reki Kawahara, ambientata nel fittizio VRMMO-RPG chiamato ALfheim Online. Anche in questo caso, però, nonostante il tentativo di ammodernare il gameplay introducendo qualcosa di nuovo, Kirito resta nuovamente impantanato in una produzione action-ruolistica gravata da una mediocrità opprimente, la cui effimera qualità si manifesta sin dalla sceneggiatura.

    Il vizietto di Kirito

    Riassumiamo in poche righe, per chi avesse perso qualche pezzo per strada, l'humus da cui germoglia questo "sequel". In un futuro abbastanza vicino a noi il mercato dei giochi di ruolo on-line è oramai al suo apice grazie ai nuovi ritrovati della tecnologia VR, che permettono agli utenti di entrare, letteralmente, nel mondo di gioco per vivere l'avventura in prima persona attraverso la stimolazione neurale. Kirito è un adolescente come tanti, fan sfegatato di questo genere di esperienze nonché uno dei più forti giocatori di Sword Art Online, VRMMO creato dal misterioso Akihiko Kayaba. Rispetto alla concorrenza, il misterioso game designer ha aggiunto alla sua creatura una "feature" non da poco: ha tolto l'opzione Logout, intrappolando cosi diecimila ragazzi all'interno del gioco. L'unico modo per liberarsi è quello di giungere al centesimo livello e sconfiggere il sadico creatore. Kirito riesce in qualche modo ad uscirne vivo, tornando alla normale vita di tutti i giorni. Ma il vizietto, per un otaku così, è difficile da perdere. Passano, infatti, pochi mesi ed ecco l'eroe di Aincrad alle prese con ALfheim Online, altro VRMMO di nuova concezione forgiato sulle basi del defunto Sword Art Online. Il pretesto narrativo, questa volta, è molto meno interessante che in passato: Kirito e compagni si ritrovano tutti su ALfheim Online solo perché gli sviluppatori hanno da poco rilasciato la tanto attesa espansione ufficiale che introduce Svart ALfheim, un nuovo continente basato sulla mitologia nordica, tutto da esplorare e saccheggiare possibilmente librandosi in volo. Da questo evento ha inizio la classica rincorsa al primato nel server. Ciò, per noi giocatori reali, si traduce nella solita girandola di situazioni scontate in pieno stile giapponese, siparietti faceti dalla verbosità marcata (Kirito è pur sempre l'oggetto del desiderio di molte giocatrici che se lo contendono a colpi di scenate e schiaffoni) ed eventi del tutto prevedibili. Non troviamo più il senso del pericolo imminente, la paura del game over o la voglia di vedere come va a finire. Manca il mistero, qualcosa che possa mantenere la passione e l'attenzione del giocatore alte sino alle battute finali. Manca, insomma, la metastoria. Un po' di curiosità la crea solo una misteriosa gilda chiamata Shamrock il cui leader è una famosissima teen idol conosciuta come Seven. Dietro a tale identità, però, si cela una cantante nonché geniale scienziata del MIT (uno strano connubio, non trovate?) che sta studiando il fenomeno della realtà virtuale. Come tutti, anche Kirito è interessato a questa particolare figura, tanto da contattarla nella vita reale. Il risultato finale è comunque molto scontato. Per il resto, la sceneggiatura non decolla, le missioni si risolvono in una greve ripetizione delle medesime, noiose, azioni e gli stessi protagonisti rimangono invischiati in una piattezza dilagante.

    Si vola

    Come ormai d'abitudine, anche Lost Song si presenta in tutto e per tutto come un J-RPG che scimmiotta un fittizio mondo persistente, appropriandosi senza troppi complimenti della struttura tipica dei MMORPG, con quest (principali e secondarie), safe zone, dungeon, editor del personaggio (limitato, però, a pochissime opzioni) e così via. Persino la componente online, vero cruccio del precedente episodio nella sua versione portatile, è stata qui migliorata ed enfatizzata grazie all'implementazione dei duelli PvP e delle missioni cooperative con altri giocatori reali. Questa feature, seppur al momento i server siano ancora poco popolati, è risultata divertente e decisamente più soddisfacente rispetto al gioco in singolo. L'ambizione, infatti, ha giocato un brutto scherzo agli sviluppatori. E' palpabile la volontà di ricreare un mondo aperto, quanto più possibile vasto e vicino alle esperienze online odierne, ma la realtà dei fatti, come si sul dire, ha fatto a botte con le intenzioni iniziali. Il nuovo continente si sviluppa in vaste macroaree fatte apposta per esaltare al massimo la nuova feature introdotta per l'occasione: ossia l'abilità di volare. Ogni regione di Svart ALfheim si stratifica, infatti, su più isole fluttuanti ricolme di nemici, rendendo necessario il volo non solo per effettuare ogni spostamento e raggiungere la maggior parte dei punti d'interesse, ma anche per combattere quasi ogni boss di fine livello. Se, sulla carta, questa novità può esser considerata una pregevole aggiunta al gameplay, sotto il profilo puramente pratico il suo utilizzo evidenzia il pressapochismo con cui è stata implementata, sia per quanto concerne il combat system, sia riguardo alla limitatissima capacità di movimento, al punto da creare più di qualche grattacapo nelle situazioni più concitate a causa di un sistema di puntamento davvero poco affidabile che sballa spesso e volentieri la visuale.

    Il combat system, invece, è il risultato di un'amalgama tra alcune caratteristiche classiche mutuate dai titoli online (come il cooldown delle abilità, la stessa mappatura dei comandi ed uno skill tree che si presenta abbastanza vario e caratterizzato per ogni personaggio) ed elementi action dal taglio tipicamente nipponico, che rendono i combattimenti frenetici e decisamente poco tecnici, con i soliti pattern d'attacco veloci ma alla lunga un tantino ripetitivi. Rispetto al precedente episodio, comunque, si ha la netta sensazione che in Lost Song gli sviluppatori abbiano avuto paura di approfondire troppo il sistema di combattimento preferendo rimanere sul superficiale con una rassicurante rimappatura e semplificazione dei comandi di gioco, piuttosto che rischiare di compromettere la già fragile nuova feature con tecnicismi considerati, forse a torto, superflui. Al contrario, come spesso avviene in questo genere di produzioni, l'elemento "social" è invece approfondito più del dovuto grazie a dialoghi frequenti, nonché ai siparietti maliziosi che coinvolgono lo sterminato harem che ruota attorno alla figura da improbabile seduttore di Kirito. Il team di sviluppo, in questo senso, è riuscito ancora una volta a trasporre la ricca umanità che popola l'universo di Sword Art Online in modo piuttosto fedele. Tutti aspetti che forse potranno far felice un fan dell'anime, ma che ad un profano della serie possono strappare, al massimo, qualche sorriso tirato.

    Riciclare non va sempre bene

    Più di una critica bisogna muovere al reparto grafico ed artistico. Dispiace ammetterlo, purtroppo, ma l'opera dei ragazzi di Artdink non ha alcuna personalità, nemmeno sotto il profilo del character design, il quale salva per il rotto della cuffia giusto i personaggi principali. Anche ad un occhio meno esperto la caratterizzazione generale appare sin troppo elementare, senza alcun mordente o spunto creativo che possa calamitare l'attenzione del giocatore e contribuire a rendere l'esperienza di gioco "indimenticabile". A dire che il comparto grafico è solo "datato", si fa un complimento. Le diverse aree che compongono il continente sono inutilmente troppo vaste ed estremamente spoglie. Non fosse per qualche caratteristica elementale (ghiaccio, terra, deserto, etc.) apparirebbero addirittura tutte abbastanza simili tra loro; tanto più se osservate dall'alto. Inoltre, a parte qualche side quest, non c'è nemmeno alcun motivo per scendere a terra, dato che le ripetitive meccaniche di gioco ci portano ad esplorare unicamente i dungeon. A far passare ogni velleità ci pensa, poi, l'elevatissimo numero di nemici e la "deficienza artificiale" dei nostri compagni, i quali corrono ovunque senza ragioni precise tirandosi dietro orde di mostri ostili. Ciò provoca degli evidenti cali di frame rate del tutto incomprensibili se consideriamo la povertà grafica che caratterizza il titolo.

    Altra nota dolente riguarda il non proprio esaltante level design dei dungeon. Questi ultimi, oltre ad esser molto simili tra loro (e a riciclare sempre i soliti, improponibili, mostri), si presentano come una serie di corridoi lineari con pochissimi enigmi ambientali che si risolvono tutti nella stessa maniera ("tira la leva, attiva il meccanismo, sconfiggi il boss, ripeti"). Insomma, un piattume poco edificante che copre in modo pervasivo ogni aspetto del titolo. Una cosa positiva in mezzo a tutto questo, però, c'è: i testi, ora tradotti interamente in italiano.

    Sword Art Online: Lost Song Sword Art Online: Lost SongVersione Analizzata PlayStation 4Kirito e compagni questa volta raggiungono una sufficienza risicata solamente per grazia ricevuta e per un comparto online decente. Sword Art Online: Lost Song è, a conti fatti, un titolo mediocre e senza grandi pretese. La storia inedita e la feature che introduce la possibilità di volare - ovvero i due elementi che avrebbero dovuto costituire i pilastri su cui poggiare il resto della produzione - non bastano per colmare le pesanti lacune che attanagliano il titolo. L’inconsistente sceneggiatura, infatti, si arena mestamente dopo qualche ora, limitandosi a riproporre ad ogni nuova area le medesime situazioni, piatte e banali, che rendendo l’esperienza di gioco sin troppo meccanica e scontata. La nuova feature, invece, risulta sin troppo fragile e macchinosa per poter pretendere di sostenere praticamente l’intero peso della produzione. I fan della prima ora potranno, forse, trovare le giuste motivazioni per acquistare il titolo e scoprire ciò che ha da offrire, mentre tutti gli altri dovrebbero pensarci un po’ su, dato che le alternative non mancano. Dal canto nostro, visto che sempre di MMORPG fittizi si parla, stiamo ancora aspettando una trasposizione videoludica di Log Horizon.

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