The Silver Case per PS4: Recensione del gioco di Suda51

Uscito nel 1999 solamente in Giappone, The Silver Case di Suda51 approda su PS4 con una versione rimasterizzata che include anche nuovi contenuti.

The Silver Case per PS4: Recensione del gioco di Suda51
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  • Pc
  • PS4
  • Ci sarà sempre qualcuno pronto a beneficiare di una remastered, fosse anche la remastered di un gioco uscito l'anno scorso su PS3 e ripubblicato due mesi dopo su PS4. Il tema delle remastered, personalmente, mi è sempre stato parecchio a cuore: a loro modo sono una forma di valorizzazione, un aggiornamento che rende un gioco appetibile agli occhi di un pubblico contemporaneo che non saprebbe altrimenti come recuperare l'originale o che potrebbe faticare ad apprezzare quei pixel vistosi. Archeologi videoludici e hardcore gamer, non inorridite: ci sarà sempre spazio per la filologia e l'esplorazione di polverosi mercatini. Una cosa non esclude l'altra.
    Ci sono poi casi particolari come quello di The Silver Case, titolo che giunge in versione remastered su PS4 dopo essere approdato l'anno scorso su PC. Un caso particolare, si diceva, perché il gioco non era mai giunto prima in Occidente (l'originale era stato pubblicato solo in Giappone, nel 1999). Remastered quindi doppiamente gradita, non solo perché rende il titolo giocabile su piattaforme moderne, ma anche perché consente finalmente di giocare un'opera che rappresenta una tappa importante nella carriera di Suda51, autori tra i più apprezzati del panorama giapponese. A lui si devono giochi come Killer7, Contact, No More Heroes, Shadows of the Damned, Lollipop Chainsaw, Killer Is Dead. The Silver Case non è il primo titolo a cui Suda ha lavorato, ma è il primo della sua Grasshopper Manufacture, per cui segna l'esordio dell'indipendenza produttiva.

    Uno strano caso

    Le remastered aprono un interrogativo di non poco conto: nonostante i nuovi orpelli estetici, la struttura del titolo avrà retto lo scorrere del tempo? Non è scontato che una remastered possa essere apprezzata dai giocatori odierni. Certe formule possono rivelarsi demodé, alcuni giochi invecchiano peggio di altri. Con The Silver Case ci troviamo di fronte a una visual novel, a un genere già per sua stessa natura di nicchia, così legato alla narrazione e poco all'azione. Ci troviamo di fronte a un gioco di Suda, per cui a qualcosa di tematicamente crudo, ben lontano dallo stile tutto cuoricini di tante visual novel giapponesi.

    Il contesto è immaginario e distopico, un Giappone alternativo in cui vige la differenza di classe e i crimini sono in aumento. Lungi da me voler svelare i dettagli di una trama che vede al centro del racconto omicidi e rapimenti. Sarebbe sacrilego spoilerare una visual novel. Quel che però interessa particolarmente è capire se questi 18 anni sul groppone si avvertono, se il gioco riesce a essere godibile al di là del suo valore "archeologico". La risposta è il più banale dei ni.

    Racconti intricati

    Partiamo dall'adattamento in inglese. L'italiano non è pervenuto, per cui preparatevi a leggere lunghi wall of text in inglese accompagnati dall'effetto sonoro "macchinadascrivere.wav" più fastidioso che orecchio umano ricordi.

    Scherzi a parte, il problema non è tanto l'inglese, quanto la complessità di una narrazione che in alcuni punti non è facile da seguire, ricca com'è di premesse narrative e nomi difficile da ricordare. Una narrazione arzigogolata, fatta di tasselli, flash narrativi, linguaggio talvolta sgradevole: un racconto impervio che richiede dedizione e uno spiccato gusto per il "post-moderno", pena la noia. Non è una lettura semplice: il che non significa che la trama non sia appassionante, anzi, ma ci vuole impegno, soprattutto inizialmente. C'è da dire che accanto alla storia per così dire principale (Transmitter) c'è anche una storia collaterale (Placebo), che racconta i fatti da un punto di vista un po' più comprensibile. Entrambi i racconti procedono su schermo con uno stile a finestre che mescola testo, immagini, video e grafica in realtime. L'effetto è piacevole e molto Suda.
    Sebbene si tratti di una visual novel, e sebbene sia il testo a farla da padrone, Grasshopper ha inserito nel flusso narrativo sequenze esplorative tradizionali... sui generis. Sarebbero piacevoli variazioni sul tema, non fosse per un'interfaccia e un sistema di controllo discutibili. Di fatto il giocatore può spostarsi con la croce direzionale solo in quattro direzioni, dopo aver selezionato la modalità movimento. Con i dorsali può guardare in alto e in basso. Può interfacciarsi con alcuni punti specifici e gestire le interazioni attraverso una ruota dei comandi. Interazioni che si rivelano tutt'altro che intuitive, tant'è che nelle prime fasi di gioco persino il personaggio che insegna a utilizzare i comandi ci tiene a precisare più e più volte che ci vorrà tempo per abituarsi. Qualcosa significherà pure.

    Suda per tutti

    L'impressione è che The Silver Case sia un titolo adatto alla nicchia della nicchia. Un titolo che richiede ovviamente di apprezzare le visual novel, ma allo stesso tempo di essere disposti a metterci un po' di dedizione, quell'impegno extra richiesto da testi confusi, inutilmente logorroici e da enigmi posticci (ma per chi vuole aggirare il problema, ci pensa il gioco a risolverli automaticamente).

    Tornando alla questione archeologica di prima, non possiamo che accogliere calorosamente questa remastered: dopo tanti anni siamo in grado di recuperare su PS4 questo titolo (quasi) dimenticato del percorso di Suda51. Rimane però un'opera difficile, che potrebbe annoiare coloro che non sono disposti a mettersi in gioco, a chiudere un occhio su certi limiti forse legati all'età e al forte (eccessivo?) desiderio di sperimentazione. The Silver Case è un gioco persino troppo compiaciuto nel suo essere narrativamente ardito.

    The Silver Case The Silver CaseVersione Analizzata PlayStation 4The Silver Case non è un titolo facile. Non solo, e semplicemente, perché appartiene a un genere già di per sé di nicchia come la visual novel, ma anche perché si affida a una narrazione sì intrigante, ma che richiede impegno e particolare attenzione per essere seguita (il titolo, per la cronaca, non è localizzato in italiano ma solo in inglese). Un racconto impervio e spesso confuso e sopra le righe, quasi d'avanguardia, in pieno stile Suda51. A ciò si aggiungono sessioni esplorative tutt'altro che user-friendly. Lo stile, l'atmosfera jappo-noir e l'inventiva di Suda51 riescono parzialmente a ovviare ad alcuni limiti intrinseci, dovuti anche all'età del gioco (sono pur sempre passati 18 anni dalla prima pubblicazione su PlayStation!). Rimane tuttavia forte l'impressione che sia un gioco che renderà felici solo i fan dell'autore giapponese (e gli storici).

    6

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