Recensione Untold Legends: Dark Kingdom

Certe leggende non andrebbero proprio narrate...

Recensione Untold Legends: Dark Kingdom
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  • PS3
  • Il gioco di ruolo su console... Utopia?

    Il gioco di ruolo come realmente è inteso, ovvero ragionato e creativamente impegnativo, difficilmente ha trovato terra fertile nelle lande consolare, più indicate per concept semplici o, nel caso di titoli di spessore che puntano a protrarre l’esperienza di gioco oltre il centinaio di ore, per storie già scritte e programmate in ogni singolo dettaglio per affascinare il giocatore e affiancare un sistema di sviluppo dei personaggi che negli anni è diventato sempre più complesso ma mai libero davvero.
    Per quanto vi siano mosche bianche, come la serie di Elder Scroll o di Gotich, che provano a esplorare le possibilità di una struttura piena di variabili e interpretabile da giocatore, non vi è scampo dal concludersi dell’avventura nel modo inteso dai programmatori.
    Volendo esprimerci con una frase azzardata, potremmo dire che nonostante gli anni e le tecnologie i titoli più fedeli al concetto di gioco di ruolo sono le avventure testuali disponibili sui primissimi computer... poiché in un contesto privo di rappresentazioni visive è l’essenza vera della fantasia del giocatore a prendere corpo e a permettere di giocare effettivamente interpretando un “ruolo”.

    C’è però chi non si rassegna e da anni sviluppa titoli che attingono a grosse manciate dagli universi fantasy (classi, magie, oggetti, mostruario, etc...) per costruire un intrigante guscio attorno a una basilare esperienza ludica: gli hack ‘n’ slash, ovvero titoli in cui l’obiettivo principale è esplorare l’esplorabile, raccattare il raccattabile e affettare l’affettabile... tutto questo cercando di rimanere in vita nonostante la consueta minaccia che aleggia sul mondo.
    Dal più celebre Diablo passando per i più recenti Baldur’s Gate e Dungeon Siege, il genere ha riscosso un successo che non sembra calare sui pc, ma che su console (in virtù del sistema di controllo che non si presta a gestire vasti menù di inventario, magie e mappe come possono mouse e tastiera) ha trovato pochi esponenti realmente validi e intriganti, nonostante il bacino di utenza più ampio a cui rivolgersi.
    Su Ps2 e PSP però, Sony Online Entertainment (da qui in poi SOE) è riuscita a mettere in luce dei titoli che hanno riscosso una discreta accoglienza da parte degli appassionati del genere: i due “Champions of Norrath” (sviluppati dagli “Snowblind Studios”) rappresentano forse la migliore implementazione di questa tipologia di gioco su home-console mentre gli “Untold Legends” (sviluppati internamente) disponibili su PSP, seppur non eccellenti, rappresentano una fonte di intrattenimento comunque valida per chi gli appassionati del “dungeon crawling”.

    Con la comparsa sul mercato del secondo monolite nero era dunque lecito attendersi la comparsa di un titolo targato SOE, cosa resa ancora più possibile dal fatto che Untold Legend: Dark Kingdoms è stato in pratica il primo gioco per PS3 a mostrarsi concretamente con immagini che non fossero tratte da target render, ma bensì con effettivi screens di una versione molto primitiva del titolo: non è chiaro se sia stata una scelta stilistica, un cambio di rotta o il semplice utilizzo di una grafica “stilizzata” per testare il gameplay, ma l’aspetto cartoon-gommoso delle primissime scene ha lasciato il posto al classica rappresentazione dettagliata e “cruda” già utilizzata dal team di sviluppo.

    Dunque le “Leggende Inenarrate” si presentano su Playstation 3 offrendo una trama epica, una grafica ad alta risoluzione, un rivoluzionario sistema di combattimento e una modalità cooperativa via internet: in pratica un capolavoro, almeno stando al retro della confezione...

    Partire male per continuare peggio....

    Viste le gustose premesse, tuffarsi nell’avventura pare scelta obbligata per chiunque... e chi siamo noi per fare diversamente? Il BD del gioco rapidamente entra nella console e... rapidamente... ci sorbiamo il primo fastidioso caricamento.
    Ma non fa nulla, una musica quasi-epica ci accoglie e ci spinge nelle opzioni disponibili (modalità in locale o online, direi che abbiamo finito) facendoci optare per la classica storia per il giocatore singolo: quale dei tre personaggi scegliere come nostro alter-ego?
    Partendo dal presupposto che 3 personaggi sono un po’ pochi, valutiamo attentamente le potenzialità degli eroi a disposizione: partiamo dal classico buzzurro omaccione dotato di martello, lento come la fame e mortale... come la fame facendo passare molti giorni, passando per la donzella dotata di doppia spada (qualche fanatico di GdR potrà lamentarsi del fatto che siano 2 spade lunghe... ma sono dettagli) molto veloce e rapida nelle combinazioni a cui aggiunge un set di abilità magiche di tutto rispetto, per concludere con il mago, più o meno inutile a corto raggio rispetto agli altri due ma complessivamente avvantaggiato rispetto allo stereotipo della classe presente negli altri esponenti del genere.
    La rappresentazione dei 3 personaggi è discreta (i dettagli che servono ci sono, armi ben definite e abiti ricchi di particolari rendono la visione nel complesso piacevole) così come la personalizzazione che si limita ad una tristissima scelta del colore.
    Forse è esagerato puntare il dito su questo dettaglio, ma è anche inspiegabile che gli sviluppatori ci offrano degli stereotipi estremi e magari pretendano un’immersione da parte del giocatore.
    Capelli, altezza, corporatura, anche se in modo ridotto sono il minimo sindacale che dovrebbe garantito da un titolo next-gen di questo tipo.
    Superata l’ardua scelta, veniamo accolti da un’introduzione a immagini statiche che riesce nell’intento di sostituirsi ai classici filmati, seppur rimanga in parte la sensazione che questo stile minimalista sia più una carenza di impegno che una scelta stilistica.
    Ma nulla può preparare il giocatore al dramma che lo attende a pochi (interminabili) secondi di caricamento di distanza... il gioco vero e proprio!
    Se, dopo aver visionato chiaramente con i propri occhi la pochezza tecnica di un titolo di mezza generazione Ps2 portato in alta risoluzione (con l’aggiunta di qualche buona texture) che per giunta si permette di scattare in diverse occasioni, avete ancora un briciolo di ottimismo, ci penserà il tutorial a infrangere le vostre ultime e stoiche difese facendovi “teletrasportare” per ben due volte al punto di “spawn” del personaggio per eseguire le due-tre mossette basilari utili a sopravvivere... il che spinge a chiedersi cosa ci fosse di così difficile nell’implementare questi due brevi scontri in maniera sequenziale e corrispettiva al movimento del giocatore.
    Ma forse anche in questo caso ci stiamo comportando da pignoli: dimentichiamo i dettagli e proseguiamo nella nostra missione, senza lasciarci distrarre dagli scabrosi modelli poligonali dei nemici, la pochezza delle ambientazioni, i problemi di collisioni con i fondali (a volte capita di non riuscire a saltare poiché “incastrati” in una roccia... pur essendoci distanti: un classico problema di bounding box degli elementi di contorno mal gestito), la mancanza di sincronizzazione del parlato nelle scene di intermezzo, i problemi di IA dei personaggi controllati dal computer incapaci di eseguire semplici ordini come “radunati alla nave” senza trovare la cosa inspiegabilmente impossibile causa la presenza di altri png che impediscono a questo di raggiungere la propria posizione, con la conclusione di un continuo rimpallo tra il campo di battaglia e la posizione “di sicurezza” che compromette il completamento di un obiettivo necessario per proseguire nel gioco.
    No, di fronte a questo ammasso di incertezze e imprecisioni non si può definire pignoleria il risentimento verso un titolo che, false promesse di copertina a parte, si intasca i nostri 50-60€ lasciandoci con qualcosa che non può essere presentato come gioco next-gen su Playstation 3.
    Cosa che diventa in qualche modo ironica (quasi tragica) quando il titolo approda sugli scaffali italiani in concomitanza dell’uscita di God Of War 2 per Playstation 2, prodigio della tecnica che seppur su un hardware infinitamente meno potente di quello appena nato eclissa sotto ogni punto di vista il lavoro svolto da SOE per quel che concerne il mero aspetto estetico, arrivando a sfiorare la vera e propria umiliazione.
    Forse però chi punta a titoli del genere non mira ad un impatto grafico da urlo ma semplicemente ad un’esperienza di gioco piacevole e che lo accompagni per qualche ora in cui trafficare nel proprio equipaggiamento, vendere al mercante di turno gli oggetti trovati lungo la propria avventura, munirsi di oggetti curativi e fare a fettine i mostri sulla strada derubandoli al contempo dei propri possedimenti: sì, è proprio così, ma per concludere in bellezza anche in questo caso UL:DK delude le aspettative, in modo quasi clamoroso.
    Per quanto l’esperienza di gioco si aggiri intorno alle 15-20 ore (sensibilmente meno per chi punta a uscire dai dungeon incolume proseguendo nella trama), si tratta di un periodo nel quale difficilmente si vivono eventi memorabili e raramente si mette in moto il cervello per risolvere degli enigmi, a volte interessanti ma prevaricati dall’azione in una percentuale che in politica porterebbe non solo a escludere il ballottaggio al primo turno ma anche alle dimissioni in toto dei membri del partito rivale: per la quasi totalità del tempo ci si limita a pestare sui tasti per trovare la combo più efficace per poi ripeterla all’infinito fino alla scoperta di una nuova e più letale sequenza di colpi, ma è solo con le abilità magiche dei personaggi che è possibile dare un tono ai combattimenti, come per esempio le magie di supporto dell’esploratrice che immobilizzano e danneggiano nel tempo gli avversari, permettendo una tattica meno diretta negli scontri, o nel caso della spettacolare abilità del guerriero che permette di risucchiare diversi nemici in un nucleo che, colpito successivamente come un normale avversario, distribuisce i punti danno a tutti gli esseri rinchiusi all’interno.
    Neppure i boss di fine livello contribuiscono una variazione netta rispetto alla classica azione di gioco, rivelandosi spesso copie “in grande” di mostri già incontrati in precedenza e comunque mai in grado di rappresentare una sfida appassionante, limitandosi ad un uso indiscriminato delle proprie abilità per disintegrare il proprio bersaglio e tutti i fastidiosi seguaci che lo circondano.
    A gravare sulla poca profondità del titolo c’è anche l’assenza di un qualsivoglia mercante, sostituito dalla possibilità (nei save point sparsi generosamente nei livelli) di spendere i punti essenza guadagnati distruggendo nemici e/o pietre e/o sassi e via dicendo per creare nuovi oggetti dell’equipaggiamento e nuove pietre/rune da incastonare nelle armi, nonché di “disincantare” gli oggetti in eccesso nel proprio inventario per ricavarne ulteriore essenza.
    Essendo l’inventario ridotto, mancando oggetti curativi (sostituiti anche loro dalla possibilità di spendere nei savepoint l’essenza necessaria a ripristinare la salute o il mana) e considerato che gli oggetti indossati cambiano l’aspetto del proprio personaggio solo nel passare ad una classe superiore di equipaggiamento mentre le armi rimangono tali e quali se non con qualche modifica a livello di colore a seconda degli accessori equipaggiati, viene a mancare una seconda volta, in maniera definitiva e totale, la componente di personalizzazione del personaggio che tanto gioverebbe in questo complesso.
    Bocciato per la seconda volta in modo inequivocabile.

    Per chi volesse fare affidamento alla componente multiplayer, è disponibile la modalità a due giocatori in locale e una modalità online fino a quattro giocatori.
    Se già in locale l’esperienza globale migliora grazie alla compagnia (perché il gioco rimane quello anche in due, senza contare che la telecamera è liberamente controllabile da entrambi i giocatori i qualsiasi momento, portando ad attimi di vero panico nelle situazioni difficili), online è possibile invitare i altri giocatori a proseguire l’avventura di chi ospita importando i personaggi delle proprie partite in locale.
    Un discreto diversivo che, come nel multi locale, funziona più per merito del concetto di “gioco di compagnia” in sé che non per una struttura di gioco che sfrutti la presenza di quattro giocatori.

    Untold Legends: Dark Kingdom Untold Legends: Dark KingdomVersione Analizzata PlayStation 3Untold Legends: Dark Kingodm rappresenta tutto ciò che un appassionato di next-gen non vorrebbe mai vedere: concept semplicistici (badate bene, non semplici) e banali travestiti da esperienze memorabili, affiancati da un comparto tecnico che grida allo scandalo e spinge a domandarsi perché il gioco non sia uscito su PS2 e ottimizzato per l’emulazione su PS3, di modo da cogliere la più grossa fetta possibile di giocatori. Questa valutazione può apparire ad alcuni severa, ma ritengo che in una generazione di console nata tra squilli di trombe e promesse di miracoli tecnici entusiasmanti (vale anche per la concorrenza, sia chiaro), valutare in maniera quasi sufficiente questo titolo sarebbe un insulto al portafogli e il primo passo verso la tendenza ad accontentarsi di prodotti mediocri che, spesso grazie alla spinta mediatica e alla mancanza di scelta, vengono inspiegabilmente valutati come meritevoli di un investimento monetario consistente: in questo caso UL:DK si rivela più che altro un titolo da noleggio per pochi euro, da passarci il fine settimana senza troppi pensieri per poi riconsegnarlo (e dimenticarlo) senza troppi problemi. Bocciatura senza attenuanti per SOE, che attendiamo al varco di un futuro titolo che possa attingere al potenziale mostrato su Playstation 2 e sfruttare in maniera nuova e intrigante le capacità tecniche di un hardware potente come Playstation 3, con una modalità single player da sogno e un multiplayer online dedicato che possa offrire una seconda e diversa esperienza di gioco e non un riciclo della principale.

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