Recensione Vanquish

Deriva action per Shinji Mikami: la recensione di Vanquish

Vanquish PC
Recensione: PC
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Tra le produzioni che hanno maggiormente catturato la nostra attenzione durante questo autunno videoludico, non possiamo non menzionare Vanquish, visionario action game prodotto da Platinum Games (ex Clover Studio) che ultimamente ha inanellato solo successi (Infinite Space, Bayonetta).
    Il titolo, pubblicato da SEGA, è stato diretto nientemeno che da Shinji Mikami, eclettico game designer di Viewtiful Joe, God Hand, Devil May Cry ed Ace Attorney, tanto per citarne alcuni senza scomodare Resident Evil.
    Le premesse per un titolo stellare, dunque, ci sono tutte e, dopo averne saggiato le potenzialità grazie ad un codice ancora non completo siamo finalmente venuti in possesso della versione finale, capace di darci le risposte a tutte le domande balenate in questi giorni in moltissime community online.
    Il titolo, nella sua versione retail, sarà disponibile a partire dal 22 Ottobre su Xbox 360 e Playstation 3.

    Un cumulo di clichè

    In Vanquish non è certo la trama ad essere cardine della produzione: l’incipit ci trasporta infatti in una delle più classiche situazioni fantapolitiche degli ultimi 25 anni.
    In un futuro non troppo lontano la Terra sta fronteggiando una grave crisi dovuta ad un folle incremento demografico ed al direttamente proporzionale calo delle risorse energetiche e di sostentamento.
    Tale scenario vede in lotta per la supremazia sulla produzione e lo stoccaggio delle risorse due storici rivali, Stati Uniti e Russia, il cui vertice viene presi in mano -con un colpo di stato- dal fantomatico Victor Zaitsev, leader di un movimento rivoluzionario chiamato “Stella Russa”.
    L’ultra nazionalista in questione non si fa alcuno scrupolo ad attaccare una stazione spaziale statunitense per lo sfruttamento dell’energia geotermica, rivoltandola come un’arma verso gli stessi americani.
    San Francisco viene trasformata in men che non si dica in un gigantesco forno a micro-onde, con conseguenze catastrofiche sia a livello umano che economico-strutturale.
    Viene lanciato immediatamente un ultimatum al governo americano, nel quale la Stella Russa intima la resa militare incondizionata, rimbalzata immediatamente dal presidente degli Stati Uniti che, in tutta risposta, affida il contrattacco al tenente colonnello Robert Burns, stella d’argento della marina nonché veterano tutto d’un pezzo.
    Il livello della minaccia è talmente elevato da coinvolgere anche la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), che manda sul campo il tester -e designer- dell’ARS (Augmented Reaction Suit), una tuta iper-tecnologica in grado di trasformare chiunque l’indossi in una sorta di super-soldato.
    Questi non è altro che il nostro alter ego, Sam Gideon, uno spaccone sempre munito di sigaretta che, dopo appena qualche ora di gioco, ha già saputo conquistare i nostri cuori.
    Spingendosi oltre la metà dell’avventura, e infine completandola, non si può però fare a meno di muovere più di qualche critica anche ad un elemento in questo caso secondario come l’incipit narrativo.
    Le vicende, oltre che estremamente frammentate, si mostreranno talmente ricche di clichè da incorporare persino le armi di distruzione di massa, in un’escalation capace di far perdere la pazienza anche al più “zen” tra i videogiocatori.
    Non aiuta, in questo senso, la suddivisione della campagna principale in piccolissimi stage, continuamente intervallati da cut-scene realizzate con il motore di gioco.
    In realtà tali filmati rappresentano veri e propri momenti “morti”, e si concentrano troppo sulla missione in corso e poco sul quadro globale. Anche i personaggi, inizialmente interessanti, si rivelano a conti fatti una sequela di stereotipi incapace di bucare lo schermo ed imprimersi nella mente del videoplayer, eccezion fatta -forse- per il protagonista, che in sparuti momenti si eleva al di sopra della totale mediocrità del resto del cast.

    Un frenetico TPS

    Dal punto di vista del gameplay Vanquish è un puro e semplice Third Person Shooter, alle cui meccaniche canoniche (sfruttamento delle coperture, schivata, cambio arma sul D-pad...) si aggiungono le interessantissime feature della tuta descritta nel precedente paragrafo.
    Grazie ai post bruciatori presenti nell’ultimo ritrovato tecnologico della DARPA il nostro eroe sarà in grado, prima di tutto, di scivolare a folle velocità fluttuando a qualche millimetro di distanza dal terreno, spostandosi velocemente di copertura in copertura ed aggirando il nemico senza troppi problemi.
    Sempre grazie alla potenza dei propulsori avremo la facoltà, schivando mentre manterremo premuto il grilletto adibito alla mira, di rallentare l’azione per un certo intervallo di tempo.
    In questi istanti non potremo muoverci ma saremo in grado di ruotare liberamente la visuale e colpire i nemici.
    Leggermente differente il bullet time attivato automaticamente una volta raggiunta la massima soglia di sopportazione del danno: in questo caso non sarà necessario schivare e fermarsi in quanto il tempo verrà rallentato fino a permetterci di recuperare l’energia (o fino alla morte).
    Giunto nelle vicinanze di un avversario Sam potrà infine sfruttare le caratteristiche della tuta per sferrare una micidiale combo corpo a corpo, ottenendo un’incredibile potenza nei colpi al prezzo dell’intera riserva d’energia termica.
    Il gioiellino, così facendo (ma anche sfruttando a lungo il rallentamento del tempo e la corsa), si surriscalderà, abbisognando di qualche secondo di riposo prima di poterne riguadagnare appieno le funzionalità.
    Si profila così una notevole iniezione tattica, soprattutto ad alti livelli di difficoltà, dove dosare al meglio l’energia dei propulsori per sfruttarne costantemente le potenzialità della tuta sarà a dir poco vitale, soprattutto alla luce dell’estrema generosità dei nemici nell’elargire proiettili.
    Da questo punto di vista Vanquish si dimostra TPS dall’alto tasso di sfida e dall’esaltante livello adrenalinico.
    Sebbene l’intelligenza artificiale sia del tutto nella norma il livello di aggressività e resistenza dei nemici (parametri direttamente legati alla difficoltà selezionata) si mostrerà elevato già a livello Normale, nel quale potremo tranquillamente osservare lo schermo riempirsi letteralmente di proiettili.
    Rimanendo in argomento “nemici” è possibile notare (quasi dal principio) uno dei limiti che affliggono la produzione Platinum Games: la varietà.
    Proseguendo, stage dopo stage, ci ritroveremo infatti a fronteggiare schiere di avversari le cui tipologie si contano sulle dita di una mano, a cui si aggiungeranno un paio di eccezionali ed altamente spettacolari scontri con boss di fine livello ed una serie di mini-boss sulle prime assolutamente d’impatto ma in secondo luogo -reincontrandoli numerose volte- decisamente ripetitivi. A dare un tono ancor più deciso a tale ripetitività, purtroppo, ci pensa anche l’arsenale a disposizione di Sam, composto da otto diverse bocche da fuoco (che spazieranno dal laser ad aggancio al fucile da cecchino), capaci solo in parte di variare l’azione.
    Ad un’occhiata approfondita, infatti, solo la metà della dotazione sarà veramente utile per sconfiggere questo o quell’avversario, lasciando alla parte restante dell'equipaggiamento un ruolo a dir poco secondario.
    A far da contraltare, fortunatamente, un intelligente sistema di potenziamento delle armi da fuoco: l’integrazione nella tuta di una funzione denominata BLADE permetterà al nostro beniamino di copiare (letteralmente) le bocche da fuoco sparse nei vari stage, richiamandole poi in maniera molto scenografica con una sorta di materializzazione in tempo reale. Una volta copiata un’arma della quale saremo già in possesso BLADE ne rabboccherà il caricatore oppure, nel caso di munizioni già al massimo, ne aumenterà, grado per grado, le capacità.
    Non si tratterà, tuttavia, di un’evoluzione a 360°, in quanto i potenziamenti interesseranno soltanto capienza del caricatore e quantità di danno inferta.
    Considerando poi il repentino reperimento dell’intera dotazione bellica (già alla seconda missione avremo trovato tutte le armi) è possibile figurare Vanquish come una sorta di continuo training bellico, che si limita a rimettere in gioco le abilità del giocatore senza offrirgli veri spunti di gameplay (nuove abilità, senso di progressione) per proseguire. Vanquish, speculare a Bayonetta nella suddivisione in micro-livelli seguiti da punteggi, non eguaglia il precedente lavoro del team, davvero assuefacente per merito del continuo evolversi delle combo e della crescita del personaggio. Il gioco, dunque, punta tutto su velocità nella distruzione del nemico e sulla scaltrezza nell’evitarne i colpi.
    Per quanto divertente nella sua frenesia e -quasi sempre- assolutamente fantastico da padroneggiare pad alla mano, il titolo riprende sostanzialmente la formula arcade anni ’80, dove data una serie di strumenti, al videoplayer viene semplicemente chiesto di superarsi in continuazione, rigiocando i livelli, battendo i punteggi degli amici (ieri presenti nel cabinato, oggi via Xbox Live o PSN) e sfidando (nel vero senso della parola) i più alti livelli di difficoltà.
    Le uniche vere variazioni sul tema sono una (!) fase stealth e due (!!) sezioni on-rail.
    Proprio per questo, nel suo ermetismo, la produzione Platinum Games si fa riconoscere anche per la sua breve durata, dalle 6 alle 10 ore a seconda della difficoltà e del numero di morti.
    Una piccola parentesi è a questo punto doverosa per chiarire quanto apparso in diverse news in questi giorni: articoli che parlavano addirittura di sole 3 o 4 ore di gioco. Si tratta di statistiche che indicano il conteggio delle ore di gameplay atto a demarcare il punteggio finale: un counter che non tiene assolutamente conto dei filmati (tantissimi), dei punti “morti” (altrettanti) e tantomeno delle sezioni rigiocate a causa di inevitabli decessi.
    Detto ciò dobbiamo anche precisare che il team nipponico ha tentato anche di rendere più varia e longeva l’esperienza a chi non fosse interessato solo al punteggio, aggiungendo una fotocopia riadattata della modalità “Orda” di Gears of War (o Firefight di Halo, se preferite) chiamata “Challenge Mode” e sbloccabile una volta portata a termine la campagna principale almeno a modalità Normale. Gradevole, impegnativa, ma non certo in grado di rimediare, da sola, alla scarsità di stimoli.

    Lo stile in codice binario

    Dal punto di vista tecnico Vanquish è indubbiamente un esercizio di stile unico e tra i più riusciti di questa generazione.
    Aldilà di modellazioni facciali qua e là discutibili non vi sono infatti aggettivi o frasi adatte a descrivere quanto potremo ammirare sullo schermo nel corso delle -purtroppo- poche ore di gioco.
    Si denota in primis una modellazione poligonale ricca di dettagli (soprattutto per quanto concerne i personaggi) alla quale fa il paio un comparto animazioni semplicemente perfetto, capace non solo di mostrare protagonista (su tutti), nemici e comprimari in virtuosismi alla velocità delle luce, ma anche di gestire in tempo reale moltissimi particolari in continuo movimento.
    Basti pensare alle granate appese alla tuta di Sam -in continuo dondolio-, agli ingranaggi delle giunture dei robot-nemici in movimento perpetuo- e, non ultimo, alle trasformazioni in tempo reale di alcuni dei mini-boss, che ricordano da vicino quanto visto al cinema in Trasformers.
    Non bastassero questi dettagli la scena è continuamente zeppa di ottimi effetti particellari e di un quantitativo di proiettili, bombe e missili da far rabbrividire l’intero brand Call Of Duty.
    Questo tripudio d’adrenalina viene rinfrancato, non bastasse, da un solidissimo frame rate a 30fps, capace di reggere anche alle scene più concitate, ovvero il 90% del gioco.
    Gli unici difetti, oltre ad un tearing piuttosto marcato, possono essere estrapolati da un accurato esame delle ambientazioni che, al di là del gusto estetico (le strutture spaziali coinvolte sono del tutto fredde e asettiche), presentano una minor cura nei particolari, figurata da una pulizia visiva non perfetta, qualche texture fuori posto ed una ricchezza d’elementi non sempre congeniale alla fattura del prodotto.
    La creazione Platinum Games patisce inoltre un level design molto altalenante, da una parte favoloso (combattimenti su strade che crollano, sparatorie in assenza di gravità...) e dall’altra soporifero (livelli lineari e riciclati).
    L’impatto visivo, nel complesso, risulta comunque devastante ed assolutamente da "assaporare” almeno una volta in questa generazione.
    Diversa è, invece, la questione sonora, che unisce una serie di campionamenti ambientali del tutto nella norma ad un doppiaggio in italiano non sempre convincente e d’impatto.
    Le reali problematiche, come già avevamo sottolineato nei primi test, sono però legate al mixaggio delle tracce che, nella stragrande maggioranza dei casi, vedrà il volume del parlato inesorabilmente sovrastato da quello degli effetti ambientali.

    Vanquish VanquishVersione Analizzata Xbox 360L’ultima fatica Platinum Games si ama o si odia. Pur essendo inequivocabilmente un prodotto ben confezionato (difetti audio a parte), immediato e molto divertente, Vanquish pecca di superbia, non scendendo assolutamente a compromessi con il giocatore e mirando, sin dal primo istante, ad una particolare fascia d’utenza. Quest’ermetismo, da una parte lodevole in quanto coraggioso, sfocia però in alcune scelte non del tutto condivisibili, come l’esile longevità ed una progressione che basa il suo appeal soltanto sulla voglia del videoplayer di superare i propri punteggi o quelli dei suoi amici, aggiungendo al computo soltanto il “Challenge Mode”. Pur consigliando un acquisto ad occhi chiusi soltanto a chi si riconosca in una struttura come questa, Everyeye -a suo modo- intende dare credito ad una produzione unica nel suo genere che, per quanto spigolosa, presenta un’esperienza videoludica stimolante e visivamente appagante.

    8

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