Rubrica Everyeye After - Batman: Arkham Asylum e Castlevania: Lords of Shadow

Due dei migliori action game di questa generazione analizzati "Col senno di poi"

Rubrica Everyeye After - Batman: Arkham Asylum e Castlevania: Lords of Shadow
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L'operazione critica non è mai spoglia da influenze esterne. I facili entusiasmi per un gioco ricevuto in anteprima, la pressione delle aspettative, le opinioni dei colleghi. Le potenziali lamentele dei lettori.
Everyeye ha sempre mantenuto la testa alta e la sua indipendenza, cercando di salvaguardare un'obiettività basta su criteri di giudizio rigorosi. Ma molto spesso è difficile scrutare oltre la scintillante realtà del momento, intravedere in un prodotto potenzialità sopite o caratteristiche sopravvalutate, rispettivamente destinate ad influenzare il mercato del futuro o ad essere dimenticate senza pietà. Ed allora è bello, ogni tanto, guardare al passato e provare a strutturare un'analisi "col Senno di Poi".
In questa rubrica ci preoccuperemo di inquadrare con occhio critico non tanto i prodotti, quanto le nostre recensioni antiche. E vedremo se, "a mente fredda", sarà possibile confermarle o meno. Vedremo se i prodotti che abbiamo glorificato sono davvero quelli che hanno lasciato un segno, se i titoli che abbiamo condannato agli inferi meritavano davvero un trattamento così severo.
Non sarà mai una sorta di elogio funebre, come i "Post Mortem" che popolano i siti d'oltre oceano. Anzi, sarà un percorso vitale, alla ricerca di una traccia lasciata dai videogiochi più importanti; una traccia ancora rigogliosa e florida. Brutta o bella che sia: perchè il ricordo si modifica ed evolve, ed ogni singolo gioco può essere ripensato come una perla rara, come il nuovo revisore di un genere, o come una bruttura spacciata fortunosamente per un grande capolavoro.

Batman: Arkham Asylum

Rocksteady Studios, capitanato dal duo composto da Sefton Hill e Jamie Walker, era prima del 2009 una delle tante software house di basse pretese e basso budget che cercano di sbarcare il lunario, con prodotti più o meno discreti (Urban Chaos, nel loro caso); dopo il 2009, è diventato uno dei team più talentuosi della scena, riferimento per coloro che ancora credono che arrivare al successo si può, che il colpo di fortuna, a patto di saperlo sfruttare, può arrivare. In mezzo, Batman: Arkham Asylum, titolo dedicato al Cavaliere Oscuro, che praticamente dal nulla si è rivelato ai più con una qualità assai superiore alla norma rispetto alla lunga sequela di tie-in collegati ai personaggi dei fumetti e dei film. Praticamente unanime fu l'apprezzamento della critica; un coro senza stonature di apprezzamenti, elogi, complimenti, accompagnato da genuflessioni di religioso rigore, omaggio ad un personaggio leggendario, che aveva trovato finalmente la sua giusta dimensione anche all'interno di un mondo che già in altre occasioni era riuscito a ben rappresentarlo (Batman su NES, Batman Returns su SNES), ma senza donargli quella caratterizzazione che invece i ragazzi di Rocksteady erano riusciti a dargli.
Se c'è infatti un motivo per il cui non si può far altro che elogiare il lavoro del team inglese è la straordinaria capacità dimostrata nel dare anima ad un titolo che rappresentava, in tal senso, una sfida quasi improba. Provate voi a sintetizzare più di settant'anni di storia del fumetto, arricchendola persino di nuovi personaggi, in maniera coerente, non denunciando lo stacco tra quelli storici e quelli di fresca realizzazione. Batman: Arkham Asylum è un sunto videoludico di un fumetto storico, la summa digitale di più di mezzo secolo di carta ed angoli da sfogliare, l'omaggio ad un mito che ne esce addirittura rinnovato e rinverdito, nemmeno ne avesse chissà quale bisogno. L'identità tra il fumetto ed il videogioco è totale: ogni personaggio conserva i suoi tratti distintivi, arricchiti da un doppiaggio straordinario, e caratterizzato non solo grazie alla sceneggiatura, ma anche da piccole soluzioni ludiche, come i nastri degli interrogatori da trovare tra le stanze del manicomio di Arkham. Un connubio perfetto, che non interessa solo le possibili interpretazioni di Batman, quella tradizionale fumettistica e quella sperimentale videoludica, ma coinvolge pienamente il giocatore, che non impersona il Cavaliere Oscuro: lo diventa.
L'incipit, nel quale l'eroe conduce Joker al manicomio di Arkham, provocando conseguenze che non può immaginare, è in tal senso molto esplicativo. Una fase introduttiva nella quale s'incontrano vari personaggi, si attraversano i corridori di Arkham, ancora poco familiari, si ascoltano i deliri del Joker, mentre pazientemente lo si conduce verso la sua prigione; poi il disastro, e la situazione che precipita nel giro di pochi attimi. La tensione costruita sapientemente nei primi attimi finalmente esplode, e si prende il controllo di un Batman più familiare, l'uomo d'azione dai mille gadget e dai muscoli saettanti.
I gadget ed i muscoli, ovvero la sostanza del gameplay. In quanto action, Arkham Asylum valorizza, tramite un level design adatto, l'utilizzo del batarang, del rampino e di ogni altra amenità a disposizione dell'uomo pipistrello, sfruttando spesso dinamiche che pretendono il ragionamento e la logica. Ci riesce bene per la maggior parte del gioco, fino al momento in cui il giocatore non può far a meno di notare la ridondanza di certi elementi di level design, l'assomigliarsi di determinate situazioni, la riproposizione di momenti praticamente già visti, da risolvere alla stessa maniera. Un minimo di backtracking in tal senso aiuta a rompere la monotonia, ma la complessità delle aree di gioco non è tale da giustificarlo appieno.
I muscoli poi, quindi i combattimenti. Qui forse il titolo Rocksteady accusa maggiormente, pagando alla ricercata e comunque apprezzabile facilità di assimilazione del sistema di combo uno scotto ben evidente, con scontri che arrivano a noia, nei quali oltre a pigiare due bottoni poco si deve fare, e con soluzioni più complesse implementate malamente, scomode da realizzare e per nulla più premianti rispetto ad un approccio semplice. Non ci sono difetti tali da danneggiare clamorosamente il prodotto, ma una omogeneità del gameplay che sosta altrove l'eccellenza del prodotto.
Troppa forse la voglia di dare il giusto riconoscimento anche nel settore dei videogiochi ad un personaggio straordinario, che poco misurate furono, al tempo, le parole. Per amore, non per incompetenza. Quello che allora fu un coro di apprezzamento, oggi lo possiamo considerare un appiattimento della critica, distratta dall'ottima caratterizzazione e da un comparto tecnico straordinario, e per questo poco attenta alla evidente piattezza di una struttura di gioco quasi priva di variazioni, compresi i boss fight, che dovrebbero essere tra le parti più curate in un titolo del genere. Arkham Asylum è bello, non ci sono dubbi: lo è dal primo all'ultimo momento, ma senza passare per i picchi che doverosamente un grande gioco deve raggiungere per essere un capolavoro. Cosa sia il gioco senza la sua straordinaria connotazione è ben evidente dalle sfide: una sequela di noiosi intermezzi che veramente poco aggiungono all'offerta ludica.
La lezione che bisogna imparare è evidente. Giusto insistere sui valori di produzione, giusto tentare di dare opportuno rilievo alla capacità di leggere in chiave videoludica un simbolo della cultura moderna: proprio grazie a questi fattori Asylum ha conquistato il suo posto tra i titoli indimenticabili della produzione videoludica, anche al netto delle critiche che legittimamente gli si possono rivolgere, con lucidità, a due anni dalla sua uscita e con il suo degno sequel sugli scaffali dei negozi. Ma se ci chiedete se questa sia stata vera gloria, non ce la sentiamo di rispondere con sicurezza in maniera affermativa.

Castlevania: Lords of Shadow

Castlevania è Storia, ed alla Storia si deve rispetto. Chi, all’annuncio di un nuovo episodio in tre dimensioni della saga Konami, si profuse in risolini sarcastici e presuntuosi giudizi definitivi, si trovò la bocca tappata da un titolo che cancellava totalmente le bruttezze delle precedenti iterazioni su console da salotto. Sulla qualità definitiva del gioco i giudizi furono altalenanti, dal "più che discreto" al "capolavoro", ma tutti riconobbero a MercurySteam il merito di esser riusciti a dar la giusta collocazione alla serie al di fuori del classicismo bidimensionale. Eppure tuttora c’è chi non riesce a riconoscere il giusto tributo a Lords of Shadow, tacciandolo di essere poco più che una scopiazzatura goticheggiante di God of War, un beat ‘em up poco ispirato e derivativo che fa poco sfrutta il nome del brand: insomma, un titolo che prosegue la "tradizione nera" dei titoli in tre dimensioni della saga.
Da queste parti abbiamo apprezzato l’avventura di Gabriel Belmont, nuovo membro della genia di ammazzavampiri, protagonista tormentato di un sostanziale reboot della saga, dalla trama di facile svolgimento ma appassionante per temi, vicende e personaggi. Ma qualcosa in più sentiamo di doverlo, alla Storia. Sentiamo di affermare che Lords of Shadow è, prima di tutto, un Castlevania, e va giustamente inserito tra i meritori della serie. Il fatto che sia possibile effettuare combo, schivate, che il protagonista in sostanza sfoggi un dinamismo che nessuno dei suoi predecessori aveva mai mostrato, non può essere che un valore aggiunto, e non un limite in base al quale affermare che l’esperienza classica è stata irrimediabilmente sfregiata. C’è un’evoluzione nel campionario di mosse del personaggio principale che è naturalmente imposto dalla trasposizione in tre dimensioni, dove la complessità di un ambiente di gioco che si sviluppa anche in profondità dà nuovo spazio al level design così come al movimento di eroe e nemici. Non si può certo pretendere in questo ambito che alla pressione del tasto corrisponda il classico colpo di frusta singolo, quasi abbandonato persino negli episodi bidimensionali (visto l’arsenale enorme a disposizione del Soma o della Shanoa di turno). La sferzata non può essere, come su NES e SNES, la chiave di volta dell’intero gameplay.
Di esperienza classica rovinata poi, proprio non si può parlare, nel momento in cui Lords of Shadow afferma solennemente che Castlevania è sì un action, ma dalla rilevante componente platform. Questo è un dettaglio che per chi s’è approcciato alla serie con lo storico Symphony of the Night arriva ad essere quasi trascurabile, ma che per i fan storici della serie è d’importanza fondamentale. Nel momento in cui infatti si passò dalla struttura a livelli a quella aperta (da molti definita come Metroidvania), la componente platform è andata pian piano regredendo. Sebbene permanesse il ricorso al salto, il level design non lo valorizzava: mancava una costruzione delle stanze, non più dei livelli, che ne rimarcasse l’impatto sul gameplay. Somma gioia quindi nel momento in cui ci s’accorge che Lords of Shadow torna agli stage in successione e pone il giocatore di fronte ad un level design intrigante, raffinato, premiante nella misura in cui il salto non è una delle tante opzioni d’azione, ma la chiave preferita per attraversare le varie aree. C’è spazio persino per il tecnicismo, ovvero quel salto che va calibrato al millimetro, staccandosi all’ultimo centimetro di piattaforma disponibile, in una progressione che vede Gabriel arrampicarsi, eseguire salti a muro, utilizzare ogni appiglio per lanciarsi nel vuoto facendo oscillare la propria frusta. Ancora, tutti segni di un’evoluzione del tutto naturale nel passaggio di dimensioni, non di un lavoro artificioso e affatto ispirato.
Lords of Shadow è un Castlevania, un ottimo Castlevania, persino negli scontri con i boss, che per forza di cose dovrebbero differire, nelle tre dimensioni, dall’approccio ragionato, basato sui pattern specifici e su piccoli segnali rivelatori della prossima mossa. Dovrebbero, perché anche questo elemento definitorio della serie ricorre nel titolo MercurySteam, e quando il boss non è un enorme titano da affrontare in silte Shadow of the Colossus, sono ancora una volta i riflessi del giocatore a decretare il successo dello scontro: il suo occhio analitico deve carpire quel gesto rivelatore dell’attacco che sta per scatenarglisi contro: così come indagava le mosse di uno sprite 2D, similmente fa con un modello in tre dimensioni.
Lode quindi a Lords of Shadow, prodotto dall'identità solida, fortemente legato alle caratteristiche fondati del gameplay della serie, valorizzato da un lavoro narrativo e da un comparto tecnico che -almeno in tre dimensioni- la serie non aveva mai avuto. Ma è il suo cuore pulsante quello che più conta, un cuore meravigliosamente action-platform: come una frustata nella notte, come un balzo ad oltrepassare il vuoto, come Castlevania.

Everyeye After Due tra gli action di maggior successo della generazione corrente; uno forse sopravvalutato, l’altro ingenerosamente incompreso da parte dei giocatori, più che dalla critica. Entrambi comunque hanno tutto il diritto di stare tra le migliori produzioni di questa generazione, sebbene per motivi opposti. Batman: Arkham Asylum ha nella caratterizzazione il suo punto migliore, mentre Castlevania: Lords od Shadow sfoggia la magnificenza di un gameplay che evolve sapientemente le meccaniche tipiche della serie. Fateli quindi vostri, ben ponderandone le caratteristiche, e dando il giusto peso a quello che avete sentito: il miglior parere è sempre il proprio.