Rubrica Everyeye After - Folklore e GTA 4

Grand Theft Auto IV e Folklore. I pregiudizi e la loro influenza nell'analisi ludica

Rubrica Everyeye After - Folklore e GTA 4
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L'operazione critica non è mai spoglia da influenze esterne. I facili entusiasmi per un gioco ricevuto in anteprima, la pressione delle aspettative, le opinioni dei colleghi. Le potenziali lamentele dei lettori.
Everyeye ha sempre mantenuto la testa alta e la sua indipendenza, cercando di salvaguardare un'obiettività basta su criteri di giudizio rigorosi. Ma molto spesso è difficile scrutare oltre la scintillante realtà del momento, intravedere in un prodotto potenzialità sopite o caratteristiche sopravvalutate, rispettivamente destinate ad influenzare il mercato del futuro o ad essere dimenticate senza pietà. Ed allora è bello, ogni tanto, guardare al passato e provare a strutturare un'analisi "col Senno di Poi".
In questa rubrica ci preoccuperemo di inquadrare con occhio critico non tanto i prodotti, quanto le nostre recensioni antiche. E vedremo se, "a mente fredda", sarà possibile confermarle o meno. Vedremo se i prodotti che abbiamo glorificato sono davvero quelli che hanno lasciato un segno, se i titoli che abbiamo condannato agli inferi meritavano davvero un trattamento così severo.
Non sarà mai una sorta di elogio funebre, come i "Post Mortem" che popolano i siti d'oltre oceano. Anzi, sarà un percorso vitale, alla ricerca di una traccia lasciata dai videogiochi più importanti; una traccia ancora rigogliosa e florida. Brutta o bella che sia: perchè il ricordo si modifica ed evolve, ed ogni singolo gioco può essere ripensato come una perla rara, come il nuovo revisore di un genere, o come una bruttura spacciata fortunosamente per un grande capolavoro.

Folklore

Dopo un'opportuna pausa estiva, torna Everyeye After, una sorta di retrospettiva critica sui titoli più importanti di questa generazione e sulla loro ricezione. Aspettative ed attese di pubblico e stampa, reazioni (ordinate o meno) degli organi d'informazione e degli avventori dei forum, e tracce lasciate sull'operazione stessa di Game Design sono gli indizi attraverso cui ripercorriamo le alterne fortune dei prodotti in esame. A chi si fosse perso le prime due puntate consigliamo di dare un'occhiata all'indice presente nel primo paragrafo, prima di avventurarsi fra le spinose questioni che, sicuramente, solleverà anche questo episodio.


Folklore. Ai tempi in cui il prodotto vide la luce, la situazione per Sony Computer Entertainment non era certo delle più rosee. Perduti i brand storici e tutti i confronti con la diretta concorrente, la neonata Ps3 si trovava con una Line Up senza carattere, svuotata, priva di qualsiasi segno distintivo che potesse in qualche giustificare un'adesione spassionata al marchio Playstation. Con Gran Turismo sparito nelle nebbie vaporose dei rimandi, e Killzone 2 che doveva lavorare per non mostrarsi al di sotto del famigerato “E3 Trailer”, a rallegrare l'anima dei giocatori si trovavano ben pochi prodotti. Sarebbe nato di lì a poco il mito di Uncharted, mentre i semi di Motorstorm e Resistance erano stati piantati accuratamente, ma per il resto non c'era da star felici. Non con Heavenly Sword che, con le sue demo pubbliche e private, denunciava un'inconsistenza di fondo preoccupante quanto mai. E allora, ecco che Sony tira fuori dal cilindro una misconosciuta produzione firmata Game Republic, team perdonato in fretta e furia per il Flop clamoroso di Genji 2 e subito dirottato al lavoro su questo strano Action RPG.
Il concept di gioco non era male. L'idea era quella di un protagonista che potesse catturare le anime dei nemici sconfitti, per poi utilizzare le loro mosse peculiari, creando così un set di abilità che crescesse dinamicamente. Il sogno di ogni amante del Fantasy, in pratica, con quel pizzico di maniacalità per il collezionismo a stimolare un sentito interesse.
Data la (previdente) brevità delle versioni di prova, i giornalisti ed il pubblico lavorarono d'immaginazione, credendo di trovarsi di fronte ad un nuovo, piccolo capolavoro di game design. Lo stile inconfondibile con cui venivano tratteggiati personaggi, il fantasy cupo e distorto che delineava le silhouette dei mostri, lasciavano per altro molto compiaciuti, e nell'arco di qualche mese (nel tempo che separava l'E3 dalla GDC di Lipsia) vennero a crearsi profondissime aspettative.
Sull'onda di quell'entusiasmo diffuso, le prime recensioni (in esclusiva) assegnarono al titolo voti fuori dall'ordinario, solleticando gli appetiti della fetta più ostinata e risoluta del popolo videoludico: gli amanti degli RPG. Ovvero, di quei cantilenati titoli iterativi che possono anche toglierti la vita sociale, con il loro grinding sfrenato, e che ai loro fan sfegatati sembrano trasmettere, soprattutto, un'assoluta dedizione per la causa, e per la difesa a spada tratta di ogni esponente del genere.
Quel che successe quando Everyeye riconobbe al prodotto una meritata sufficienza è scritto a fuoco nelle pagine del nostro forum: gli assalti e le stoccate dell'utenza bruciavano quanto le scaramucce redazionali, che furono prepotentissime.
Eppure, a guardarlo col senno di poi, Folklore non è certo gran che. Ancorato ad una concezione di gioco tremendamente “Old Gen” (mentre dietro l'angolo di pochi mesi si preparavano Assassin's Creed e Gears of War), proponeva meccaniche ludiche stancanti e fiacche, ed una narrazione strapazzata e incomprensibile. E Sony ci ha anche provato, a mantenere vivo l'interesse sul suo nuovo titolo, rilasciando DLC (gratuiti e non) che ne espandessero l'offerta, con un supporto davvero esemplare, per l'epoca. Eppure, nulla da fare: mentre i mesi passavano e l'incontrovertibile giudizio del “MetaScore” (sempre sia dannato) si abbassava, Folklore evaporava anche dall'immaginario collettivo. Bastò un Natale a cancellarlo dalla memoria. E ancora adesso che l'avventura di Nathan Drake ci pare attuale e salvifica, quel titolo che uscì solo un mese prima rispetto ad Uncharted è macchiato dall'oblio di una distanza immane, la stessa che divide le nuove dalle vecchie generazioni.

Ed allora possiamo dire che, al tempo, forse avevamo visto giusto. E per averlo fatto ci siamo che dovuti difendere. Del resto, Sony aveva davvero bisogno di un'esclusiva, e con lei tutta l'utenza Playstation 3. Folklore doveva essere un gran gioco, per rassicurare dirigenze e popolino. E così, almeno per qualche settimana, e contro i riscontri del buon senso, è stato, sulle pagine accese delle community e nei pezzi firmati dai grandi d'oltre oceano.

Grand Theft Auto 4

Quando Everyeye assegnò un Nove a Grand Theft Auto 4, si trattava di uno dei voti più bassi del panarama editoriale mondiale (certamente il più basso in Italia).
Il voto era in palese contraddizione con quello assegnato (all'unanimità) da tutti gli illustrissimi concorrenti, esteri e non, che tributarono all'ultimo GTA una valutazione pericolosamente vicina al perfect score. Di nuovo, ci perseguitava il MetaScore (quell'invenzione infernale che ancora non ci permette di lavorare serenamente). E in questo caso si sfiorava quasi l'ossessione patologica, se neppure l'eccellenza di un voto raro e prezioso bastava a placare gli animi dei più.
A distanza di un anno dall'uscita, è tempo di vedere nel dettaglio qual'è stata la scia tracciata dall'avventura di Nico Bellic, e quale il suo lascito nell'attuale generazione. Non ho alcun timore di affermare che, dal punto di vista concettuale, Grand Theft Auto IV non ha segnato nessun passo in avanti nel genere di appartenenza. La struttura ripetitiva delle missioni, in molti casi noiose all'inverosimile e quasi “prodotte in serie”, è passata sotto gli occhi attenti di pubblico e critica come se la reiterazione smodata fosse una marca distintiva del Free Roaming. L'integrazione di un sistema di coperture dinamiche, appiccicato alla bell'e meglio su un'ossatura di gioco poco propensa ad ospitarlo, era del tutto prevedibile, e non ha alzato di molto la qualità dell'azione. A conti fatti, Grand Theft Auto IV è soltanto la riproposizione di schemi ludici già noti, immersi in un mondo di dimensioni impressionati, e “modellato” fin nel minimo dettaglio.
Proprio Liberty City è la protagonista indiscussa di GTA: viva e vibrante, eterogenea e dinamica, e davvero inesauribile. Ma è davvero giusto, allora, celebrare le grandezze del gioco se l'unica cosa nuova, e vera, e spettacolare, è il suo contesto (o meglio: il suo contorno)? Posso avere una “scatola” incredibilmente bella, ma se la riempio con sabbia monocromatica, e grigia, e tediosa, otterrò nel complesso un “sandbox” solo mediocre.
Le mie antipatie per un genere che trovo del tutto inconsistente, e continuamente sospeso sul nulla, saranno ben note a chi frequenta abitualmente queste pagine. Eppure, sono convinto, anche alla “macrocategoria” del Free Roaming si può dare carattere. Ci ha provato, con discreto successo, Infamous, puntando tutto sulla regia dinamica delle varie Quest. E persino in GTA IV si sono respirati momenti Epocali. Uno su tutti, la missione della rapina in banca: in quel caso, la sceneggiatura ha smesso di essere “passiva” (come passiva è ogni azione del giocatore), indipendente dalle fasi ludiche. Regia, contesto e gameplay hanno dato vita ad uno dei momenti più emozionanti di tutta la progressione, in grado di regalare soddisfazioni esagerate. Questo è il futuro del Sandbox: recuperare la lezione dei titoli “old gen”, scriptati e lineari ma coinvolgenti, per collocarla in un ambiente libero e dinamico, ma pericolosamente vuoto, senza gli interventi “divini” dei Game Designer.
Torniamo a noi: GTA IV è, secondo chi scrive, uno dei titoli più sopravvalutati degli ultimi anni. Molto meglio ammirare il suo eccellente DLC (o quello che verrà), capace di offrire un'esperienza ludica più inquadrata, ma infinitamente più avvolgente. Ma se anche volessimo ammettere che il prodotto Rockstar sia così tanto degno e meritevole, perchè tacere sui difetti oggettivi? Riscontrati, per altro, dall'utenza stessa dopo qualche mese dalla release (e ben visibili fin da subito, a onor del vero). Spesso, nelle prime settimane dopo la commercializzazione, critica e pubblico operano una rimozione selettiva di tutte le magagne del prodotto, condotta sulla base di un'eccitazione proporzionale alle dimensioni della campagna stampa. La fama del brand, i proclami delle community, la stuzzicante tendenza a “far parte del gruppo”, e la naturale gioia d'avere per le mani qualcosa di nuovo, sono tutti fattori che spingono nella stessa direzione: verso un panorama, cioè, in prima battuta totalmente acritico, accondiscendente. Se c'è qualcosa da dire, venga fuori dopo. Più tardi. Basta che non ci rovini il Day One.

Everyeye After Puntata amara, questa. Forse un po' risentita. Ma -spero- comunque esemplare. Il messaggio che trapassa in controluce si può esplicitare come segue: ogni operazione critica è necessariamente influenzata da pregiudizi. Quello che sappiamo riguardo al titolo ed alla sua importanza, quello che ci dicono le community e gli appassionati, e persino la nostra stessa emotività, agiscono sull'opera di analisi. “Hype” è il termine con cui si indicano non tanto questi pregiudizi, ma i tentativi del mercato di pilotare le nostre “conoscenze pregresse”. Il meccanismo, messo probabilmente in moto dalle stesse software house, finisce per auto-alimentarsi, grazie all'azione dei frequentatori delle Board di tutto il mondo. E forse è un sistema di conservazione che “l'organismo dell'economia” ha inventato per sopravvivere (anche in tempo di crisi). Un buon critico dovrebbe cercare di ridurre al minimo influenze del genere, spersonalizzarsi. Purtroppo, non sempre è possibile.