Rubrica Everyeye Stories - Icewind Dale II

Dopo una lunga pausa, tornano le Everyeye Stories, esplorando i canoni del genere Fantasy

Rubrica Everyeye Stories - Icewind Dale II
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Il videogioco è ormai diventato un media a tutto tondo, capace di imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica ed in grado di influenzare, di rimando, cinema e letteratura. Ovviamente l'opera videoludica ha il suo linguaggio e le sue specificità (su tutte, quella dell'interattività), ma è con discreto piacere che notiamo come poco a poco il videogame sia uscito dalle ristrettezze del suo campo. Del resto, al giorno d'oggi, si trovano bellissimi esempi di titoli che nulla hanno da invidiare alle produzioni Hollywoodiane o alla complessità narrativa dei grandi romanzi del secolo scorso. Scenografie e sceneggiature, personaggi e temi, possono così diventare fonte d'ispirazione per una produzione creativa ulteriore. Ne sono prova i numerosi libri su Gears of War, Halo, Metal Gear Solid.
Anche Everyeye ha deciso di provare a rendere omaggio a tali produzioni, avviando questa (speriamo gradita) iniziativa "letteraria" (lontana cioè da qualsiasi operazione critica). Everyeye Stories è un'apposita rubrica in cui verranno pubblicati dei racconti brevi, la cui fonte di ispirazione sia uno dei tanti universi videoludici che ben conosciamo. Speriamo di poter trasformare questo esperimento in un appuntamento fisso, e vorremo persino coinvolgere l'utenza. Potete infatti mandare le vostre storie all'indirizzo stories@everyeye.it. Pubblicheremo le migliori (e vi ricompenseremo con un Eyechievement), ed eleggeremo ad intervalli regolari il più bel racconto scritto da voi utenti.

Icewind Dale II

Icewind Dale II è stato il mio primo vero RPG occidentale. Ricordo che al tempo avrei tanto voluto prendere Baldur's Gate 2, che per un motivo o l'altro mi scappò. Così come mi scappò il primo episodio delle avventure nella Valle del Vento Gelido. Poi, finalmente, presi Icewind Dale II, degli ormai defunti Black Isle Studios. Fu amore a prima vista per un amante del fantasy, come il sottoscritto. Eppure allora, ero giovane e imberbe, non avevo la pazienza e la conoscenza adeguata per costruire un party decente. Così proseguii nel gioco fin quasi l'ultimo capitolo, dove s'interrompettero i miei progressi, dato che il gioco mi risultava difficilissimo e un po' avevo perso interesse.
Qualche giorno fa ho preso il primo Baldur's Gate. Il ritrovato contatto con l'Inifinity Engine è stato talmente forte da farmi recuperare anche il primo Icewind Dale e, naturalmente il secondo. Li sto portando avanti insieme, tra regole e party diverse. Ma, si sa, il primo amore non si scorda mai. Per questo ho voluto dedicare questo scritto ad uno dei giochi che più ha segnato prima che la mia carriera di videogiocatore la mia prima giovinezza. Ovviamente il gruppo del racconto è quello che sto usando per giocare.
Fabio Canonico

Memorie di un capitano

La nave solcava le placide acque del Maer Dualdon, il lago più grande della Valle del Vento Gelido, e si avvicinava alla cittadina portuale di Targos. Il silenzio regnava incontrastato, rotto solo dallo sciabordio delle onde sullo scafo, e tutto appariva ancora più innaturale volgendo lo sguardo verso sud, lungo il letto dell'impetuoso fiume Shaengarne. Innumerevoli piccoli fuochi ne illuminavano la superficie, in uno spettacolo che sarebbe stato anche bello da descrivere, a patto di non conoscere l'orrore che vi stava dietro.
I fuochi erano roghi di navi, navi cariche di avventurieri che dalla lontana Luskan, ben oltre la catena montuosa della Spina dorsale del Mondo, avevano provato a raggiungere Targos dopo la chiamata alle armi da parte delle Dieci Cittadine, assediate da un'orda di goblin uscita dalle profondità delle montagne, come vomitata dal nulla. Sogni di fama, ricchezza e gloria, spezzati da un'imboscata, un massacro che aveva lasciato pochi superstiti ed aveva versato sangue nelle limpide acque dello Shaengarne.

Il capitano Hedros Kedros sputò sul ponte, ed abbaiò ordini agli uomini dell'equipaggio. Mentre la nave si preparava all'attracco, buttò un'occhiata al particolare gruppo che aveva imbarcato, per il quale aveva rischiato la propria vita e l'integrità della sua nave, la Malafemmina. Già, la Malafemmina: un poco carino riferimento a sua madre, una vecchia pazza cieca che viveva circondata da gatti, proprio lì a Targos, ma che nonostante questo non aveva nessunissima voglia di incontrare. Strana lo era sempre stata, quella donna, ma da quando il vento le aveva portato via la vista, come affermava lei, lo era ancora di più: parlava di cose senza senso, farfugliava di visioni orribili. Per quanto le volesse bene, avrebbe evitato di incontrarla, e si sarebbe risparmiato i suoi deliri ed i suoi rimproveri. Era come se ci fosse un tacito accordo tra i due, che prevedeva solo salutari incontri, ma che non metteva in discussione il loro rapporto familiare.

Gli scricchiolii dello scafo che s'avvicinava al molo lo riportarono alle questioni più pratiche, e s'avvicinò al logoro gruppo di avventurieri, ormai in piedi e preparati allo sbarco. Una figura troneggiava in mezzo a loro: un mezzorco, probabilmente un barbaro, probabilmente tanto stupido quanto forte, ma che gli aveva mostrato la propria bontà aiutandolo a portare sottocoperta il pesante carico della nave. Affianco a lui, paradossalmente, il nano più tarchiato e robusto che avesse mai visto, tutto muscoli e cicatrici, con una barba lunga quasi quanto lui. Burbero e testardo. Come un nano. Guerriero. Come un nano.
Più in là, due donne, diversissime tra di loro. Una, l'avrebbe riconosciuta lontano un miglio, era un chierico. Hedros avrebbe voluto avere fede, ma ne aveva viste troppe per affidarsi ciecamente a qualche dio. E i chierici poi sono talmente pazzi e fanatici da risultare insopportabili. Quella ragazza sembrava diversa, ma alla fine i preti guerrieri sono tutti uguali: gentili e disponibili con tutti, ma prova a toccargli il loro dio e...
L'altra invece gli metteva i brividi. Sembrava la più giovane del gruppo, ma nei suoi occhi vedeva ferocia, disperazione, e quella follia tipica di chi pratica le arti magiche. Era bella, straordinariamente bella, anche per la razza elfica, alla quale apparteneva, voluttuosa e seducente; il tipo di donna che avrebbe potuto far perdere la testa a un uomo. Ma se per il suo cuore o per un incantesimo di charme, questo era tutto da vedere.
Sporto oltre il parapetto di prua c'era quello che appariva come il più normale del gruppo anche se, Hedron lo sa, la gente che fa quel "lavoro" tanto ordinaria non lo è mai. E infatti anche quella persona mostrava la propria natura in maniera evidente. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro per il ponte, come se fosse impaziente di scendere a terra. Primo indizio. Le poche volte che vi aveva scambiato parola, lo aveva sentito parlare solo di odori nell'aria e rumori dalla foresta, e qualunque stupidaggine legata alla natura. Il secondo indizio gli forniva la prova. Un cavolo di ranger, fanatico quanto un chierico e fissato quanto un druido. Un po' gli piaceva, anche se Hedros non voleva ammetterlo: d'altronde erano entrambi esperti, l'uno del navigare le acque, l'altro dell'esplorare i boschi. Anche se lui lavorava con il timone, l'altro, testimone il suo equipaggiamento, con l'arco.

Un piccolo scossone annunciò il contatto con il molo. Un membro dell'equipaggio buttò la passerella di legno, e dopo qualche breve cenno di saluto il gruppo di avventurieri cominciò a scendere. Hedros venne avvicinato da quello che pensava fosse il capo: un'altra elfa, ma diverso dalla maga. Era atletica, con lunghissimi capelli rossi e una pelle più scura di quella della maggior parte degli appartenenti della sua razza: un elfo selvaggio. E selvaggia e fiera come un animale doveva davvero davvero esserla, quella donna, così com'era bella. E di certo pochi uomini potevano anche solo sostenerne lo sguardo. Un lungo bastone nero, insieme ad una piccola sacca, era il suo unico bagaglio. Un occhio attento avrebbe scorto le rune intagliate, che a tratti s'illuminavano di una flebile ed arcana luce. Ed Hedron aveva buoni occhi, nonostante il vento e i riflessi del sole sull'acqua, negli anni, glieli avevssero affaticati. Si ripeteva che se avesse continuato quella vita, sarebbe diventato cieco come sua madre.
L'elfa gli porse un sacchetto di monete, accompagnando il gesto con poche parole di ringraziamento. "Per quello che mi riguarda, avervi avuto a bordo è stato un piacere. Siete stati dei santi sulla mia nave". Era vero. Di solito compagnie del genere erano composte da uomini più simili a bestie per comportamento. E invece, in quel gruppo così assortito, persino un mezzorco si era dimostrato un cliente tranquillo. Un ultimo saluto di congedo, ed i sei sbarcarono. Hedron rimase a fissarli ancora un po'. Sapeva il motivo che li aveva portati lì, lo stesso per il quale qualche miglio più a sud i cadaveri di altri guerrieri galleggiavano sullo Shaengarne. Eppure sapeva che erano diversi, anche se non riusciva a spiegarsi il perché.

Li vide scomparire tra le povere e cadenti case di legno, le cui assi erano state strappate via per costruire una palizzata a nord, lì dove erano stati avvistati dei goblin. Poi, si voltò, tornò dentro la sua cabina e, stanco per la navigazione, si lasciò cadere sulla branda.