Rubrica Giochi Vecchi - Le Origini

La volta in cui ci innamorammo di un T-Rex

Rubrica Giochi Vecchi - Le Origini
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Provo a spiegarmi.
Era il 1995. Io ero un bambino viziato. E i bambini viziati non si accontentano facilmente. Ero pure un bambino nintendaro. E i bambini nintendari non si accontentano facilmente.
Poi intendiamoci, avevo appena trovato l’ultima lettera nascosta nello schema delle miniere per completare la scritta KONG con Donkey Kong, stavo perfezionando lo Spinning Pile Driver di Zangief per prendere Ken mentre faceva l’Hadouken. Ero uno di quelli che a merenda mangiava pane e mezzalunaepugno, mia madre mi aveva staccato la spina mentre giocavo a Yoshi’s Island facendomi perdere tutti i salvataggi ormai più di dieci volte. Poi in certi periodi mi prestavano anche il Sega Mega Drive.
Insomma, non è che fossi proprio l’ultimo arrivato. Ero uno che di cose ne aveva viste. E Ridge Racer, il primo giocone di macchine per Playstation, non è che mi avesse fatto questo grande effetto. Andiamo, anche al bowling sfigato della mia cittadina di merda era arrivato il cabinato di Daytona USA. Le macchine velocissime e poligonali in 3D le avevamo già viste. Sai quante pizzate delle medie sono finite a cambiare gli spiccioli e fare la fila per giocare? Sì ragazzine, sì andate a fumare le sigarette, io sto guidando una macchina blu da trecento cavalli. E poi c’era Battle Arena Toshinden, questo picchiaduro in 3D coi personaggi che sembravano Playmobil. Otto personaggi piattissimi che si buttavano giù a vicenda da arene sospese in aria. Super Street Fighter II ne avevi sedici! E non perdevi una battaglia per aver messo un piede in fallo! Poi certo, c’erano i poligoni, ma dov’era la mezzalunaepugno?


Insomma, sarò stato anche un bambino viziato, ma avevo un codice d’onore. Non bastavano un paio di giochi rumorosi e i Cd per farmi mollare il Super Nintendo.
Non è vero.
Alla prima offerta interessante comprai la Playstation. La facevano con 80.000 lire di sconto, subito prima di Natale. Irrinunciabile.
Dentro la scatola della console c’era questa cosa agghiacciante. Erano i Cd con le demo dei giochi. Tu mettevi il Cd nella console, navigavi in un menù tamarro con la musica a palla e le scosse elettriche e ti sparavi questi giochini che erano come il Bacardi Breezer per gli adolescenti: bevande dolci che ti accompagnavano verso l’alcolismo.
Provo a ricordarli a memoria: Crash Bandicoot, Tomb Raider, Ridge Racer (appunto), Toshinden (appunto), Wipeout. Cosa c’era poi? Forse Tomb Raider no, era troppo presto. Ma ci sarei arrivato.


E comunque quando parlavo della mia fede nintendara non scherzavo. Da quando c’è la Wii fare il fanboy Nintendo è troppo mainstream, per questo ho finto un ostentato cinismo. La verità è che io il Super Nintendo non volevo mollarlo. Ero pronto ad aspettare il Nintendo 64 con ascetica tranquillità, sfuggendo alla Playstation come potevo. Avrei evitato saggiamente tutte le edicole che stavano sulla strada di scuola. Avrei saltato le pause pubblicitarie delle trasmissioni televisive per ragazzi. Mi sarei chiuso in casa, passando i miei pomeriggi a cercare di prendere tutte le monetine dell’ultimo schema della Star Road di Super Mario World volando con la piuma. Avete presente? Quelle che componevano la scritta: YOU ARE A SUPER PLAYER. Ecco, questo ero. Ero un super player, non uno da Ridge Racer.


Poi vidi una cosa. Si chiamava Tech Demo. Era una di quelle robe fatte per mostrare a tutti quanto la Playstation ce l’aveva grosso. Erano due minigiochi. In uno potevi comandare un tirannosauro che correva in uno schermo nero, nell’altro facevi nuotare una manta enorme che nuotava nell’oceano. La manta nuotava e nuotava, faceva le piroette, saliva e scendeva nel mare blu. E poi c’era il tirannosauro. Ecco, ci stiamo arrivando. Questo è quello che vorrei provare a raccontare: lo stupore. Lo stupore di quel momento. Io roba simile non l’avevo mai vista prima. Certo, quel dinosauro era potente: ringhiava, apriva le fauci, girava la testa e correva con una fluidità e un realismo mai visti. Ma il punto non era quello. Era l’atmosfera. Un animale preistorico enorme che correva nel buio, all’infinito. E tu lo muovevi. E sotto c’era questa musica evocativa, che andava in crescendo, come una promessa, una premonizione di tutto quello che sarebbe arrivato dopo. Fu quello a conquistarmi. Tutto quello che non riuscivo a vedere. Non i poligoni sbattuti in faccia a 60fps, ma tutti quei poligoni nascosti. Quelli in fondo a quell’orizzonte nero. Mi stavano chiamando.
E fu così che acquistai (leggi: feci acquistare a mamma) la Playstation. E fu così che, uno dopo l’altro, mi capitarono fra le mani tutti quei giochi che ora sono arrivati al 5, al 6, al 15 e così via. Tutti quei giochi che inaugurarono nuovi generi, che settarono i vecchi generi su nuovi standard, preparando le basi per far compiere al videogioco quel salto che, da giochino trascurabile, l’ha trasformato in un’industria che supera quella cinematografica. Gli stessi giochi che mi hanno accompagnato fino alla maggiore età. Questo è quello che vorrei raccontarvi.