Rubrica L'E3 come Cannes

Schizofrenia di un'industria che da il peggio di sé alle fiere di settore

Rubrica L'E3 come Cannes
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L'E3 dovrebbe essere come il Festival del Cinema di Cannes dice IGN qualche settimana prima dell'Expo 2010.
E forse ha ragione: il videogioco sdoganato, Wii Fit in palestra, Mario Galaxy 2 e il suo Dvd che insegna come saltare, Master Chief si fa icona pop. Il mondo sta cambiando, lo sento nell'aria, recitava Il Signore degli Anelli. Ma se il mondo si fa videogiocatore, le vecchie cariatidi hardcore cosa possono fare per dare un colpo di spazzola a brufoli e ciccia?
In verità l'articolo di Michael Thomsen sul portale a stelle e strisce voleva focalizzarsi sulla scarsa considerazione alla kermesse losangelina, nell'ultima e nelle passate edizioni, dei prodotti cosiddetti indie: intendendo l'E3 come una vetrina prestigiosa in cui i maggiori publisher possono finalmente "parlare a un pubblico globale, e con questo intendono Giappone, Europa e Nord America", il nuovo Tetris, il nuovo Portal faticano ancora a trovare spazio in questo evento che è anzitutto una colossale macchina marketing che inghiotte il povero inviato con il suo complesso di luci e ragazze immagine. Al contraio il Festival d'Arte Cinematografica di Cannes si è sempre dimostrato superlativo nel portare alla luce i nuovi talenti del cinema mondiale, da Kurosawa ad Antonioni, da Coppola a Tarantino.
All'Electronic Entertainment Expo si scorgono con facilità i grossi nomi dell'industria, da Miyamoto a Newell, passando per Spector, Jaffe, Kojima: ma in realtà in tale evenienza colgono le luci della ribalta solo coloro che sanno rivolgere più sorrisi a telecamere e riflettori, piuttosto che emergere per idee o concept ludici.
"L'E3 è una enorme piattaforma - adduce Thomsen - per l'industria dei videogame e il più atteso evento dell'anno. Ma è anche una esperienza incompleta. E' tutta promozione e nessun serio controllo. E' chiuso al pubblico e inospitale per gli sviluppatori affamati in cerca di finanziatori".

One million troopz!!

Quando, però, si pensa alla kermesse di Cannes, oltre alle importanti anteprime e prime visioni, viene in mente lo scintillante spettacolo della Croisette, la lunga sfilata di divi e volti noti, cariche istituzionali e grossi nomi della cultura. Il protocollo in questo caso è molto rigido: agli uomini sono negati tutti i capi di vestiario che non siano smoking, alle donne è permesso esclusivamente l'abito da sera. Sono esentati da tale diktat modaiolo coloro che per motivi culturali o tradizionali posseggono differenti istruzioni per quanto riguarda l'abbigliamento da sfoggiare in occasioni formali (vedi ad esempio religiosi o capi tribù africani).
Guardando le foto del gruppetto redazionale di Everyeye in quel di Los Angeles per seguire l'E3 pare veramente che costoro siano agghindati per intrattenersi con ragazze in bikini sul lido di Santa Monica, piuttosto che dialogare di texture e frame rate con sviluppatori in maniche di camicia.
Un E3 serioso, formale, istituzionale, con in prima fila autorità cittadine, governatore della California e segretario alla Cultura, appare francamente uno scenario poco plausibili nel vicino futuro. E sostanzialmente fastioso per quanti ogni anno cercano tante informazioni sui titoli in fiera quanto sulle standiste a fianco delle postazioni. Il kenyote di Rick Perry, governatore del Texas, all'edizione del 2008 si risolse in un imbarazzato invito verso gli sviluppatori ad aprire studi nel suo Stato beneficiando di una agevolazione fiscale: il prezzo da pagare è una forte limitazione sui contenuti videoludici (niente violenza, nessuna rappresentazione negativa sui cittadini del Texas, ecc...) non fu minimamente esplicato durante l'intervento. Nessun politicante di fatto ha cercato di seguire le mosse di Perry nelle ultime due edizioni della fiera...
Se è vero che le Fiere internazionali e nazionali sono lo specchio dell'industria e della cultura del videogioco, allora difficilmente produttori e consumatori vogliono mettere da parte la mentalità rivolta ai giocatori hardcore, individuando ancora in questi ultimi il loro bacino d'utenza, se non altro per la fedeltà che essi sanno dimostrare. Cosa farne quindi di presentazioni di Wii Fit in diretta globale, di dimostrazioni dell'efficacia di Move a centrare bunker lungo un campo da golf, di esecrabili guizzi e languori di Kinectanimals?
In quella cornice proprio nulla: l'insegnamento degli ultimi E3, da quello del 2006 all'ultimo appena consumatosi, è proprio il fatto che di casual game è meglio non parlarne poiché la stampa generalista difficilmente dedica ampia copertura all'evento (priva quindi di inviati sul posto).
Ma il vero motivo per cui le grandi fiere di settore rimangono appuntamenti per il solo giornalismo specializzato risiede nell'assoluta, imbarazzante, incapacità da parte dei publisher che operano in questo settore di dare spettacolo. L'entertainment hollywoodiano, nonostante si disponga imperiale dietro l'angolo, è appena appena scimmiottato: spesso si è voluto presentare in pompa magna alcuni titoli, per poi crollare miseramente dietro errori tecnici (la demo sullo show floor di Zelda Skyward Sword è solo l'ultimo epigono di una serie di barbine figure all'evento losangelino), presentazioni prive di mordente da parte di CEO delle compagnie che tutto sanno fuorchè condurre una conferenza di 90 minuti o più (il monologo di Jack Tretton di Sony è l'esempio più lampante. Kutaragi e il suo "riiiidge raceer" almeno ridestava molti spettatori annoiati) e la lista potrebbe continuare a lungo, coinvolgendo infine la press conference di Konami in cui la discreta sostanza software è stata legata da un filo rosso che doveva chiamarsi comicità, mentre all'atto pratico ha assunto il nome di farsa grottesca. L'eccesso è un volto marketing che vuole divertire, vuole essere enjoyable, ma che infine si dimostra essere una disarmante scenetta.
Nella nicchia di noi videogiocatori spesso si tende a riderci sopra, quasi mai a prenderle sul serio: dell'E3 interessa più che altro la sostanza, rappresentata da giochi annunciati e provati, non tanto la bambina che si fa leccare da un tigrotto. Chi capitombola a Los Angeles a metà Giugno senza capire quasi nulla di videogiochi, invece, si trova di fronte uno spettacolo mostruoso tra vecchietti ancorati al mondo delle nuvole (Molyneux), spilungoni dal sorriso di plastica (Mattrick), mostri sci-fi convertiti a un topo multimilionario (Spector), giapponesi un po' cresciuti che si credono elfetti (Miyamoto) e ciccioni flaccidi fustigati da uomini in nero (Newell). La bella presenza di una Jade Raymond è l'eccezione che conferma l'immagine nerd e sfigata veicolata dall'E3, che poi è il più colorato e lisergico specchio dell'industria dei videogiochi.
Quale è il motivo per cui CEO e sviluppatori mancano anche solo di un briciolo del visionario carisma di uno Steve Jobbs o della presenza comica di uno Steve Martin agli ultimi Oscar?
I casi sono due: o dobbiamo attenderci un cambiamento in tempi brevi oppure l'industria dei videogiochi intende seriamente coltivare la sua propensione hardcore ad libitum.

Panem et circenses

Faremmo ricadere l'intera colpa della goffaggine di quest'industria sulle corpulente spalle di sviluppatori, produttori, PR e distributori, se non fosse che anche i videogiocatori stessi hanno una minima responsabilità in tale direzione.
Loro sono il target designato, a loro è indirizzata la gran parte dei contenuti presentati alle fiere di settore: gli shooter agli americani dell'E3, i JRPG ai giapponesi del TGS, Gran Turismo e FIFA agli Europei della GC.
Ma questo mirare al pubblico di riferimento nel dissipare la propria line up annuale tra eventi più o meno chiave è certamente il meno. Più che altro spesso e volentieri è il giocatore stesso ad agire in maniera tutt'altro che razionale. Nerd, fanboy, geek, otaku: nomi più o meno puntuali, più o meno calzanti, più o meno definiti, per designare il giocatore alienato dalla realtà, incapace di vivere pacificamente la propria passione, come momento culturale e di svago. Trasforma un banale giocattolo in credo supremo, la qual cosa genera spesso manifestazioni apocalittiche.
Premettendo che video e immagini sono assai meno eloquenti delle testimonianze di coloro che hanno subito il fattaccio sulla propria pelle (schiena, per essere esatti), quanto accaduto in occasione del Videogames Party a Milano lo scorso Giugno desta certamente sconforto sui modi e i tempi di manifestare la propria passione per l'universo videoludico. In quella occasione Everyeye era presente con un proprio "banchetto", ove intrattenersi con lettore e frequentatori della community accorsi numerosi per festeggiare solennemente il decimo anniversario. La goliardica festa si è poi trasformata in incubo quando il prode Simone (Gfx) ha dissigillato lo scatolone dei giochi promo e quello delle magliette marchiate con il ben celebre occhio. All'annuncio di tale distribuzione di leccornie, una calca di gente (ma sarebbe più opportuno chiamarla mandria di bisonti) si è avvicinata allo stand e lo ha preso letteralmente d'assalto, mettendo in pericolo la vita dello Stato Maggiore di Everyeye. Chi scrive si è prontamente defilato per ammirare dalla cima della collina l'indegno spettacolo: chi non s'è potuto scostare racconta di Compact Disc lanciati in piena fronte, lotte gladiatorie per una infangata t-shirt, morsi alle articolazioni per far proprio un promo PSP. Un sentito grazie ai nobili difensori, uomini dell'Umbrella in tenuta anti-sommossa, pronti ad arginare l'avanzata degli "infetti" con scudi a torre.
Simile scena si è ripetuta poco dopo all'angolo di Gamespot: in palio copie di PC Calcio e Pro Evolution Soccer 2006...
Fatto marginale, certo, legato a una realtà ancora immatura, ma non così diverso dal fanatismo di altre regioni (vedi in particolare il fenomeno del cosplay): il cerchio si chiude con sviluppatori e publisher galvanizzati da una passione colta acriticamente, da un sempiterno entusiasmo a qualsiasi proposta da parte di Sony, Nintendo, Apple?

De Re Ludica Trafitta a più riprese dal caldo degli ultimi giorni (e dalle roventi discussioni attorno alla precedente puntata), anche De Re Ludica chiede a gran voce una meritata vacanza. Lo farà senz'altro, non prima di aver assolto il proprio compito del mese 07: una discussione all'acqua di rose su uno dei momenti più attesi da lettori e redattori, le fiere di settore. Prendendo le mosse dall'E3 appena concluso, viene da pensare a una certa goffaggine da parte dei maggiori publisher, nonché a una insospettabile incapacità di dare spettacolo nel senso più globale e remunerativo del termine. Le fiere appassionano solo chi quest'industria la conosce da vicino, chi la segue con costanza e dedizione. E magari si fa rapire troppo spesso dall'hype scellerato... Godetevi queste esile colpo di sole, a Settembre si ritorna a giocare!