50 Sfumature di Morto: gioie della narrazione mentale in Divinity Original Sin 2

Divinity: Original Sin 2 è una vera fucina di idee, storie e personaggi: questo è un racconto, folle e stralunato, ispirato al GDR di Larian Studios.

50 Sfumature di Morto: gioie della narrazione mentale in Divinity Original Sin 2
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Ho passato una parte consistente della mia imberbe adolescenza a lanciare dadi, trascinare pedine - rigorosamente dipinte a mano - lungo tabelloni consumati, compilare schede personaggio e augurare improvvise implosioni enteriche al Masterbastardo di turno, una categoria che, peraltro, in quanto a sadica perversione non trova rivali.
    Il gioco di ruolo cartaceo ha un potere che il suo "equivalente" (virgolette obbligatorie) videoludico non ha mai realmente posseduto: quello di trasformare il giocatore nel narratore mentale delle proprie storie. Il lavoro del Master - quel maledetto - è prezioso, sia chiaro, ma il suo compito si esaurisce nella creazione del contesto all'interno del quale il giocatore è chiamato ad ambientare le proprie visioni immaginifiche: scene, dettagli, sensazioni che le dinamiche ludiche trasformano poi in scambi semplificati, sintesi di un universo difficile da tradurre in parole. Il medium videoludico di genere ha sempre cercato di portare su schermo parte di quel bagaglio interiore, di stimolarlo con espedienti immersivi, mancando però quasi sempre il bersaglio della "co-narrazione mentale". Per quanto mi riguarda, la più grande conquista di Divinity Original Sin 2 è rappresentata proprio dalla sua capacità di titillare, grazie a una scrittura praticamente perfetta e a meccaniche di gameplay eccezionalmente libertarie, la fantasia del giocatore, offrendogli tele sulle quali dipingere i dettagli di avventure solo in parte visibili sullo schermo.
    Quanto segue, ad esempio, è l'estratto di un pezzo di metanarrazione che ha riempito i miei lobi in disfacimento a partire da meno di 15 minuti di gioco.
    Ah, forse è il caso di anticiparvi che è pura follia.

    Le ultime parole famose

    L'elfa lo guardava con un misto di incredulità e sgomento, lo splendido viso teso in una smorfia di indignato disappunto, tanto lampante quanto in contrasto con la noncurante freddezza che era solita imporre ai suoi lineamenti sottili.
    "Ma sei serio?"
    "Certo che sono serio, Sebille. Voglio dire, cosa c'è di meglio di un buon boccale di vino per rinfrancare le membra dopo una gitarella nell'oltretomba? Dammi una sola buona ragione per non riempirci gli interstizi del peggior tritabudella che questo postaccio ha da offrire".
    Teschio Maschio tentò di assumere un'espressione brillante e disinvolta che, data l'assenza di muscoli facciali a supportare l'intento, lo fece apparire incoraggiante come il protagonista di una campagna contro l'abuso di erba pipa.
    "Una? Una sola, dici? - l'elfa tremava dalla rabbia - Un divinità oscura sembra straordinariamente motivata a strapparci l'anima dal didietro, mezza Rivellon crede che abbiamo ucciso l'unico essere vivente in grado si salvare il mondo dall'apocalisse e, come se non bastasse, non abbiamo alcuna idea di come tirarci fuori da questo disastro che tu, sogghignando, continui a chiamare ‘avventura'. Ah già, e tu non hai budella da tritare, scemo, sei più morto di un pesce sventrato".
    Lo scheletro piegò il capo in avanti, cercando di apparire colpito da un improvviso moto di sconforto. Per evidenti motivi, il gesto fu chiaro solo a lui.
    "Così mi offendi, Sebille. Il mio cuore potrà anche aver smesso di battere - pausa drammatica - ma questo non vuol dire che io non abbia sentimenti, emozioni... bisogni". Teschio Maschio rimarcò l'ultima parola con un sonoro schiocco delle fauci, evocando sottintesi inquietanti.
    Di tutta risposta, la mano di Sebille corse alla cintura alla ricerca del suo affilatissimo spillone, pronta ad affondarne la punta in una delle orbite di quell'irritante fanfarone. Questo non l'avrebbe certo ucciso, l'elfa lo sapeva bene, ma forse un po' d'aria fresca avrebbe fatto bene a qualsiasi cosa occupasse ancora l'interno di quel cranio polveroso. Con imprevedibile lestezza, in un'esplosione di capelli scarlatti, Lohse le si pose dinnanzi, con uno sguardo a metà tra il divertito e il preoccupato. La trovatrice le poggiò delicatamente una mano sulla spalla, con cautela, avvicinandosi a portata di sussurro.
    "Sì, non è certo il più brillante dei condottieri, su questo siamo d'accordo. Ma su una cosa ha ragione, dolcezza. Abbiamo tutti bisogno di un po' di riposo, un attimo per toglierci dalle spalle il peso del mondo. Ce lo meritiamo".
    La bocca dell'elfa, tesa fino ad un istante prima, si sciolse in un sospiro rassegnato.
    "Immagino che il principe lucertola non abbia nulla da aggiungere".
    Il Principe Rosso distese pigramente il lungo collo vermiglio, le squame come rubini fiammeggianti nella calda luce del tramonto.
    "Beh, il principe ha fame - disse il guerriero lucertola con la sua consueta pomposità - E non disdegnerebbe affatto un buon bagno".
    Teschio Maschio si calò il cappuccio sul volto scarnificato, tentando ancora una volta di sfoggiare un sorriso accattivante. Il risultato non fu migliore del solito.
    "È deciso, allora. Il primo che finisce sotto il tavolo paga il conto".
    Lo scheletro cominciò allora a saltellare in direzione della taverna, salutando la sera con una canzonaccia a proposito di un troll e l'osceno obolo richiesto ai viaggiatori in transito sul suo ponte.
    Il resto del gruppo lo seguiva a debita distanza, in evidente imbarazzo.

    Vino, arrosto e focolare

    Il curioso drappello sedeva nella penombra di un angolo dello stanzone che occupava, per intero, il piano terra della taverna. Erano abbastanza vicini al camino per poter godere del suo confortante tepore, ma non abbastanza da tradire lo strano assortimento di quel gruppo. L'idea, ovviamente, era stata di Sebille, tutt'altro che desiderosa di attirare le attenzioni dei presenti con la misteriosa assenza di tessuto molle del ciarliero uomo d'arme alla sua sinistra. Il Toro Nero non era certo una locanda di lusso, ma il clima era allegro e festoso, rasserenante. Nell'aria della stanza aleggiava un buon odore di arrosto alla birra, mentre la voce melodiosa di un bardo rubicondo narrava la storia del mortale scontro tra il re dei morti Braccus Rex e i prodi Cacciatori della Sorgente. Teschio Maschio non conosceva neanche una parola di quella canzone, ma questo non gli aveva impedito di accompagnare tutta l'esibizione con una nenia stonata carica di improperi licenziosi.
    Era già il quinto boccale che spariva nell'oscurità del suo cappuccio.
    "Non che non apprezzi l'entusiasmo, o il tuo indiscutibile talento da cantastorie - disse Lohse con un sorriso un po' tirato - ma temo che qualcuno potrebbe decidere di venire qui a infilarti uno stivale giù per la gola. Gola che, per inciso, tu non possiedi già da qualche secolo".
    Teschio Maschio si interruppe di botto, notando per la prima volta le espressioni corrucciate dei compagni.
    "Per il randello dei sette, ragazzi, che serietà. Dovete rilassarvi. Tenete a mente che si vive una volta sola... beh, nella maggior parte dei casi. E non avete bevuto neanche un bicchiere di questo eccellente vinello".
    "Non che tu ce ne abbia dato la possibilità - sottolineò il Principe Rosso, posando nel piatto i resti di uno stinco di cinghiale - E tra l'altro mi piacerebbe sapere dov'è che vanno a finire esattamente le libagioni che continui a ingollare senza sosta".
    "È un mistero anche per me, amico mio - rispose lo scheletro biascicando - Immagino finisca tutto in un posto migliore, e per questo non me ne faccio un cruccio".
    "Sì, nel didietro di quel mucchio di ferraglia che chiami armatura", ribatté acidamente Sebille.
    "Ho capito, ho capito, basta bere. La sete è soddisfatta... ora resta la fame", sentenziò Teschio Maschio, vagando con lo sguardo alla ricerca del garzone d'osteria.
    Lo vide a pochi metri di distanza, intento a strofinare uno dei tavoli con uno straccio bisunto.
    Teschio Maschio emise un rantolo rauco, come se avesse appena ricevuto una poderosa pedata sui gingilli. Gingilli da tempo andati, peraltro.
    "Per la barba di Badoglius, non ho le labbra. Me ne dimentico sempre".
    "Se è per questo ti mancano anche lingua, polmoni e cervello. Babbeo", rimarcò Sebille, irosa.
    "Ohi maschio - sbraitò lo scheletro in direzione dell'uomo di fatica, che nel frattempo si era voltato verso il gruppo, con un'espressione interrogativa dipinta sul viso sudato - Sì, tu. Vieni qua, devo chiederti una cosa".
    "Profilo basso", sibilò Sebille, imperativa.
    L'uomo si avvicinò al tavolo con un peculiare incedere claudicante, innaturale. Indossava vesti semplici, da lavoro, visibilmente usurate, in evidente contrasto con l'anello che splendeva sulla sua mano sinistra. Una vistosa banda d'oro cingeva il dito medio del garzone, riccamente decorato e con al centro un grosso smeraldo.
    "Che cosa posso fare per vossignoria?", esordì l'uomo con voce melliflua.
    Teschio Maschio lo fissò per qualche istante con un'espressione furba, o meglio, fece il possibile per dare quell'impressione. Fallì miseramente.
    "Si dice che il Toro Nero abbia altri servizi da offrire oltre al vino, l'arrosto e il focolare. Servizi per un gentiluomo in cerca di compagnia". Teschio Maschio ammiccò, di nuovo inutilmente.
    L'uomo fece un passo indietro, improvvisamente pallido.
    "Non so chi vi abbia detto queste cose, mio buon signore, ma posso assicurarvi che il Toro Nero non ha mai fornito i servizi cui voi alludete".
    Il garzone fece per voltarsi, ma Teschio Maschio lo afferrò per un braccio, avvicinandolo a sé e infilandogli una manciata di monete d'oro nella tasca del grembiule.
    Intorno a lui, le facce di Sebille e Lohse erano maschere di sgomento, mentre il Principe Rosso si limitava ad osservare la scena, incuriosito.
    Dopo qualche istante carico di tensione, l'espressione dell'uomo si aprì in un sorriso accomodante.
    "Si vede che siete un uomo dai modi raffinati, cavaliere, ed è per questo che voglio darvi la mia fiducia". Dopo aver rimestato rumorosamente l'oro nel grembiule, l'uomo allungò a Teschio Maschio una chiave di ottone.
    "Questa è la chiave per il terzo piano, mio signore, là troverete una splendida creatura di nome Zharah. Ditele che vi manda Lovrik. E siate gentile, mi raccomando".

    La lucertola vogliosa

    Sfuggito all'ennesimo tentativo di Sebille di perforargli il cranio con uno spillo acuminato, Teschio Maschio entrò in una stanza calda ed accogliente del terzo piano. Nell'aria c'era il profumo inebriante di spezie sconosciute, di fiori esotici e d'incensi afrodisiaci. O almeno questo è quello che immaginò Teschio Maschio, vista la fastidiosa assenza di narici in grado di confermare quella sensazione immaginifica. In fondo alla stanza c'era un ampio letto a baldacchino, meravigliosamente intagliato nell'ebano, e lì accanto la figura sinuosa di una lucertoloide dalla pelle color acquamarina.

    Uno scatto del romantico momento descritto nel racconto!

    "Ahem - bofonchiò Teschio Maschio muovendo qualche passo verso la figura di spalle - Mi chiamo...".
    Lo sguardo di Teschio Maschio vagò nella stanza alla ricerca di ispirazioni per un buon nome di copertura.
    "Mi chiamo Paul - annunciò con voce profonda la figura incappucciata, complimentandosi mentalmente per il proprio indiscutibile acume - Sir Paul Trona, e sono qui per voi, sempre che vogliate accordarmi il vostro favore".
    Teschio Maschio sottolineò l'ultima frase scuotendo vigorosamente la sacca delle monete, ritenendolo tra sé e sé un gesto di grande finezza.
    La lucertola si voltò con felina eleganza, trafiggendo l'animo dello scheletro con i due zaffiri che aveva al posto degli occhi.
    Incantato, Teschio Maschio si picchiettò la patta metallica con un dito, producendo un sonoro "ding". L'idea - sbagliata - era quella di omaggiare la bellezza della donna con un tangibile segnale di intimo giubilo.
    "Mi pare siate già pronto a ricevere il mio favore, o prode cavaliere. Dunque avvicinatevi".
    Quattro falcate e lo scheletro già cingeva la lucertola tra le sue braccia, anelante. Poi un'improvvisa esitazione, accompagnata da una sconfortante presa di coscienza. Malgrado i desideri carnali non l'avessero mai abbandonato, Teschio Maschio doveva infatti fare i conti con la secolare dislocazione dei suoi ammennicoli, a mollo in un barattolo in bella vista su uno scaffale della cripta dove aveva passato gli ultimi settecento anni.
    "Mia signora, forse c'è un piccolo problema. Un'inezia insignificante della quale, per dover d'onesta, mi sento di dovervi mettere a parte".
    "Cosa vi preoccupa, mio diletto? Le mie goie sono prive di affezioni o parassiti, ve lo giuro"
    "Non si tratta di questo, figuratevi. È una questione un po' più delicata, come dire, ‘intima' ".
    "Parlatemene pure, non titubate".
    Teschio Maschio si portò le mani al cappuccio, esitante.
    "Diciamo che la mia virilità riposa da tempo".
    La donna inclinò leggermente la testa, passandosi lascivamente la lingua sulle labbra.
    "Non vi dovete dar pensiero, mio amato, penserò io a risvegliare il vostro guerriero", disse la lucertola con voce suadente, lanciando sguardi carichi di passione.
    "Non credo vi basterebbe una pergamena della resurrezione", disse Teschio Maschio sollevando di colpo il cappuccio.
    Con sua somma sorpresa, la donna non batté ciglio. La sua espressione si fece anzi più intensa, trasudante desiderio.
    "Voi siete in piacere raro, mio amato, una promessa di estasi a lungo attese. Venite qua, mio dolce immorto, giacete con me. Ora".
    Senza farselo ripetere due volte, lo scheletro si tuffò a delfino tra le grazie di Zharah, vagamente confuso sul da farsi.

    Di notte leoni, di giorno...

    Il sole era già alto da un pezzo quando il gruppo vide il compagno riemergere dalle sale del Toro Nero, misteriosamente più basso di un buon trenta centimetri.
    "Alla buonora, idiota, che diavolo ti è successo?".
    Sebille sembrava meno determinata di prima ad accelerare la dipartita di Teschio Maschio, ma non certo meglio disposta nei suoi riguardi.
    "Deve aver usato la Maschera del Mutaforma, il furbone - disse sorridendo Lohse - gli avrà raccontato di essere un ricco mercante nano, o qualche altra favoletta per facilitarsi l'accesso ai suoi... come dici tu? Interstizi. Dicci dunque qualcosa sir nano, e non essere avido di dettagli".
    Dopo un lungo e per lui inusuale silenzio, Teschio Maschio si fece più vicino a Lohse, muovendosi in maniera stranamente impacciata.
    "Tu sei un'esperta di magie curative, giusto? Sai, benedizioni, rigenerazione e cose di quel tipo, no?"
    Lo sguardo di Lohse corse nervosamente lungo la superficie dell'armatura di Teschio Maschio, alla ricerca di segni di battaglia o menomazioni evidenti. Solo allora l'incantatrice si accorse che diverse nuove ammaccature e tracce di bruciatura costellavano tutta la corazza del compagno.
    "Ma cosa diavolo è successo, ti hanno attaccato?", esplose Lohse visibilmente turbata.
    "No. Beh, sì. Un gruppo di nani è uscito fuori dal nulla una mezz'ora fa, volevano derubarmi approfittando, come dire... della situazione", balbettò lo scheletro dimezzato, in evidente imbarazzo.
    "Ma non è quello il problema. Li ho ridotti in frattaglie con un po' di Negromanzia e mi sono defilato".
    Malgrado i precedenti di impetuosa logorrea, Teschio Maschio sembrava avere delle grosse difficoltà a mettere insieme le parole.
    "Senti, rossa, te la metto giù facile - Teschio Maschio tirò fuori dalla bisaccia un omero calloso - Il gemello di questo l'ho perso in circostanze che ho difficoltà a spiegarvi, dici che riesci a farmene un altro uguale?"

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