Speciale Assassin's Creed - What if?

L'art director del primo Assassin's Creed ci racconta come sarebbero potute andare le cose

Speciale Assassin's Creed - What if?
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Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Proprio nel centro di Montreal c'è un locale che si chiama Confusion. E' un ristorante strano: non ci sono tavoli, si mangia in piedi, e lo staff continua a portare una quantità inesauribile di “tapas”, mescolando senza nessuna cautela influenze culinarie di ogni parte del globo. Si mangia foie gras, datteri ripieni, formaggio greco flambè e costolette d'agnello, e ancora tartare di granchio e arancini. L'unico problema è che non hanno il sidro, e se gli chiedi un cocktail più elaborato ti guardano storto (Moscow Mule?!?), così si finisce quasi certamente per trangugiare qualche improbabile specialità locale, come Whiskey e sciroppo d'acero (insospettabilmente buono). Che va benissimo -ovviamente- per scaldarsi mentre fuori la temperatura sprofonda, così come per animare un po' le conversazioni.
    Proprio davanti a questo insolito miscuglio ambrato abbiamo volentieri chiacchierato con Nicolas Cantin, quotatissimo art director del Quebèc.
    A Montreal noi ci siamo andati a vedere il nuovo Thief, resuscitato da una Square-Enix che dopo Tomb Raider vuole rispolverare un altro franchise: Nicolas, in forze presso gli studi di Eidos Montreal, adesso dirige i lavori per il ritorno di Garret.
    A Thief abbiamo giocato per oltre cinque ore, e vi racconteremo le nostre impressioni fra qualche giorno. Oggetto della nostra discussione serale è stato invece Assassin's Creed: Nicolas ha lavorato infatti come art director del primo capitolo della saga, operando nelle fasi di pre-produzione e insomma cementando il concept alla base di uno dei videogiochi più influenti della generazione appena trascorsa.
    Nicolas è simpatico, un po' impacciato, con un'inflessione francese marcata e incisiva. Secco, dinoccolato, assomiglia un po' al pirata con l'occhio di vetro de “La Maledizione della Prima Luna”, versione hipster canadese.
    “Cos'è successo esattamente con il secondo episodio?”, gli chiedo: “Hanno distrutto un'iconografia sostanzialmente unica, banalizzato la sceneggiatura; e tutto sommato hanno rovinato un sacco di spunti interessanti”.
    Lui mi guarda e sorride. “Io l'avevo detto”, risponde. E poi ci racconta un Assassin's Creed diverso, bellissimo, e che non vedremo mai.

    Cipro, Petra e Parigi

    Nicolas ha seguito il progetto fin da quando Assassin's Creed non esisteva nella forma che conosciamo. Al minuscolo gruppo di lavoro di cui faceva parte era stato chiesto, inizialmente, di sondare nuove prospettive per il rilancio del franchise Prince of Persia. E' per questo che il team si è avvicinato all'ambientazione orientale, cercando in un substrato storico più presente e incisivo il sistema per dare un altro volto ad una serie in netta crisi di identità.
    “D'un tratto ci siamo accorti di avere per le mani qualcosa di veramente nuovo, mai visto; un titolo con un'identità molto forte”.
    Lo sviluppo è cominciato insomma lentamente, come una scommessa, mentre gli sviluppatori esploravano con curiosa voracità le intricate mitologie dei Naziriti e le attività storicamente comprovate dei seguaci di Hasan.
    Ancora oggi, sul fronte dell'ambientazione, il primo Assassin's Creed resta un capolavoro francamente inarrivabile, una spanna sopra a tutti i capitoli successivi. Lontanissimo dal rinascimento modernizzato e un po' guascone del secondo episodio (intriso di un post-modernismo squisitamente “pop”, alla Dan Brown), il capostipite della serie si fregiava di una ricerca storica minuziosa, riuscendo con una sceneggiatura smisurata a raccontare un contesto misterioso, affascinante e poco noto. L'incanto di Assassin's Creed nasceva grazie alla sua coerenza così spietata, alle lunghe dissertazioni filosofiche, e a quel dualismo tutt'altro che manicheo fra Templari e Assassini. L'opposizione che in futuro sarebbe diventata semplicemente quella tra il bene e il male, perdendo gran parte della sua intrigante connotazione, era in origine uno scontro fra due modi del pensiero. Assassin's Creed voleva ricordarci che non c'è libertà senza caos, non c'è ordine senza sorveglianza e controllo. La bellezza sconfinata di un prodotto che voleva essere tutt'altro che immediato, accessibile e leggero stava proprio in questa capacità di esaltare una visione del mondo e della storia dei popoli abbastanza lontana da quella occidentale, raccontandola quasi senza prender parte: i dialoghi surreali fra Altair e le proprie vittime incarnavano la constatazione amarissima che c'è sempre un altro punto di vista, un'altra ragione nascosta dietro la propria, sobillata da motivazioni altrettanto nobili e razionali. Chissà cosa sarebbe successo, se le prepotentissime comunità dei giocatori avessero recepito pienamente la ricchezza di questa verità.
    Purtroppo il team non ha potuto portare avanti la sua visione creativa. “Il gioco ha avuto successo, persino troppo. E con il successo arrivano i confini, la sorveglianza. Ubisoft ha cambiato integralmente i supervisori, ed i suggerimenti del team originale sono finiti inascoltati”.
    Forse, dice Nicolas, all'inizio non era neppure una questione di target e strategie commerciali: “E' normale che ognuno di noi voglia lasciare la propria impronta sul proprio lavoro, promuovere una visione nuova, riconoscibilmente diversa rispetto a quella precedente”. Ma agli occhi di chi aveva creato Altair il passaggio al rinascimento fiorentino fu visto generalmente come un tradimento: “per un motivo o per l'altro, nessuno dei membri del team originale di Assassin's Creed ha voluto lavorare al seguito. Io ho continuato per un po' a fare da consulente per Ubisoft, spostandomi a Shangai, ma poi ho preferito cambiare fronte e raggiungere Eidos Montreal. Forse l'ho fatto proprio per il trattamento che è stato riservato ad Assassin's Creed”.
    C'è un momento -un istante preciso e brevissimo- in cui nella mente di Nicolas tornano ad affiorare tutte le idee raccolte nelle lunghe riunioni, le prospettive lungo cui avrebbe fatto correre la sua serie, disposte ordinatamente lungo il binario morto di un racconto che lui ha iniziato ma che è stato terminato da altri.
    “Cosa avevate in mente?”, gli chiedo.
    “Il concept originale prevedeva la realizzazione di una trilogia, sicuramente non di una serie con uscite annuali. C'erano varie possibilità e stavamo ancora discutendo, ma nella mia visione, nel secondo capitolo sarebbe tornato Altair, e ci saremmo spostati leggermente verso est.”
    Del resto il primo Assassin's Creed è ambientato in un anno in cui gli equilibri della dominazione cristiana in oriente sarebbero cambiati radicalmente. Il 1191 è proprio l'anno in cui, dopo la conquista di Acri e la fine della terza crociata, i templari cominciano ad espandersi in terra santa e nelle aree circostanti.

    “Con tutta probabilità l'ambientazione del nuovo episodio sarebbe stata Cipro”. Occupata dall'ordine nel 1192, l'isola avrebbe rappresentano un'inedita ambientazione marittima, e chissà se sarebbero apparse le battaglie navali ben prima della svolta piratesca di Black Flag.
    Nicolas accenna anche alla possibilità di includere Petra fra le ambientazioni, colmando quindi quel vuoto storico che dopo la disastrosa battaglia di Hattin avvolge la meravigliosa città giordana.
    Nella visione del team originale, insomma, il destino di Assassin's Creed era già definito, con un finale di quelli veramente travolgenti. L'ultima tappa della trilogia, stavolta con un protagonista tutto nuovo, ci avrebbe portato qualche secolo in avanti. più precisamente nel 1307, a Parigi, nel bel mezzo del processo all'ordine templare indetto da Filippo il Bello. Il nuovo Re di Francia, costretto a rimediare ad una situazione erariale decisamente scandalosa, adocchiò all'epoca le ricchezze accumulate dai templari nei secoli di guerre in terra santa, operando una metodica, spietata e aggressiva operazione di discredito. Del resto per allungare le mani sui tesori dei Templari l'ordine non avrebbe dovuto semplicemente essere soppresso, ma condannato: ed ecco dunque l'elaborata mitologia eretica e le accuse di idolatria e sodomia.

    Assassin's Creed, invece che le sconclusionate gesta di un Desmond poco cosciente del suo ruolo nell'ordine delle cose, avrebbe raccontato tutto questo: la caduta e la caccia, l'arresto e la definitiva abolizione dell'ordine, e insomma il momento di fondazione di tutte quelle fantasticherie popolari che ancora oggi nascono e proliferano riguardo ai cavalieri templari. L'avrebbe fatto, appunto, nella cornice di Parigi, e quando Nicolas pensa alle implicazioni ludiche che ci sarebbero state gli brillano letteralmente gli occhi. Con tutta probabilità la saga avrebbe mantenuto quella sua originale ricchezza di temi e riflessioni, invece che correre incontro alle urgenze di un bacino d'utenza ipertrofico e vertiginosamente in crescita, inseguendo disperatamente l'idea di un tono più leggero. Chissà che pure l'Abstergo non potesse diventare, più che una malefica corporazione, un simbolo: l'idea eterna e apocalittica del controllo, della sorveglianza e del rigore, sopravvissuta ai secoli nonostante l'abolizione dell'ordine, e pronta a tornare immutata contro ogni forma di caotica libertà, così come accade pure nel finale di Enslaved: Odyssey to the West.
    Sappiamo benissimo che si tratta di fantasticherie. Ma parlando senza freni con Nicolas, per un istante ci convinciamo che se le cose fossero andate diversamente, noi avremmo avuto quel capolavoro solo immaginato che, superando i limiti evidenti di un primo episodio ancora acerbo, avrebbe avuto il coraggio di recuperarne l'eredità e portare alle estreme conseguenze le sue smisurate doti concettuali e artistiche.

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