Cosa significa finire un videogioco?

"Finire" un gioco e "completarlo" sono due concetti ben diversi tra di loro: proviamo a comprendere le differenze più nel dettaglio.

Cosa significa finire un videogioco?
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L'uscita di NieR: Automata ha dato nuovi stimoli a un dibattito molto caro al mondo videoludico: cosa significa "finire" un videogioco? Quando possiamo considerare chiusa l'esperienza che ci viene offerta? In qualsiasi altro medium, infatti, è alquanto semplice indicare il momento in cui il racconto o gli eventi narrati giungono al termine: i titoli di coda di un film ci accompagnano durante l'uscita dalla sala, e la numerazione delle pagine di un romanzo ci indica la sua fine. Al contrario, con i videogiochi individuare un "finale" è molto più complicato, e i motivi sono numerosi, ma tutti riconducibili, come sempre, alla caratteristica che differenzia il medium videoludico da tutti gli altri: l'interazione. Mettendo logicamente da parte quelle esperienze prive di un elemento narrativo di spicco, poiché legate a un perfezionamento delle meccaniche che fa coincidere il completamento col raggiungimento di una certo livello di abilità, vediamo come e perché il concetto di "finale" è tra i più aleatori tra quelli utilizzati nel dibattito videoludico.

Innanzitutto, è facile confondere il "finire" un gioco con il "completarlo". Ad esempio, finire la trama principale di The Witcher 3 senza dedicarsi all'infinita quantità di secondarie presenti nell'opera di CD Projekt Red significa tralasciare una parte tra le più curate, interessanti e caratterizzanti dell'intera esperienza di gioco, ed è innegabile che provare a discutere delle gesta di Geralt basandosi solo sulla sceneggiatura principale sia visto come un torto nei confronti degli autori. Al contempo, però, l'arrivo dei titoli di coda coincide generalmente con la fine di una qualunque opera narrativa, ed è dunque agli autori che andrebbe attribuito il compito di stimolare e accompagnare il giocatore durante tutta l'esperienza, spingerlo a scoprire ogni singola meccanica che è stata ideata in fase di sviluppo prima che si giunga ai fatidici momenti finali. Personalmente, ritengo più interessante discutere di Fallout 4 o di Just Cause con chi magari non è arrivato alla fine della trama principale, ma ha dedicato decine e decine di ore all'esplorazione o allo studio della fisica di gioco, il vero cuore tematico e ludico dei due giochi citati. Il finale, sebbene interessante e obbligatorio per un'analisi complessiva della trama, è assolutamente superfluo nel poter comprendere i temi e le qualità di due opere dalla lunghezza così estrema. Dunque, serve innanzitutto dinamismo analitico da parte del critico e del giocatore, bisogna sapere capire quando un gioco individua nei titoli di coda il completamento di un percorso ben definito, o quando invece gli autori attribuiscono al resto del gioco il grosso dei suoi elementi principali. Mi preme inoltre sottolineare che, se il giocatore dovesse dedicarsi anima e corpo a un'opera, senza però trovare la forza di giungere al finale, probabilmente il problema non risiede solo nella sua forza di volontà, ma nella capacità dello sviluppatore di fornire abbastanza stimoli durante l'intera esperienza.

Negli ultimi giorni, si è spesso discusso di come NieR: Automata sia un'opera da poter comprendere solo dopo i primi tre finali, ma è legittimo che molti si siano sentiti storditi o addirittura annoiati dalla seconda fase del gioco, davvero troppo simile alla prima per poter mantenere dei ritmi ludici divertenti. Se dopo una decina di ore di gioco ci sentiamo di voler abbandonare un'esperienza che non ci sta dando molto, non è da dare per scontato che il problema sia solo la nostra impazienza: non è inusuale trovare delle opere che per svariate ore di gioco mostrano una qualità davvero bassa o non all'altezza delle fasi precedenti, ed è comprensibile decidere di investire il proprio tempo in maniera più proficua o divertente. Mettiamo dunque da parte, nel dibattito videoludico, quel "ma almeno l'hai finito?", poiché a meno che non si parli esclusivamente della sceneggiatura, dopo una decina di ore di gioco è tranquillamente possibile maturare delle opinioni concrete su qualsiasi esperienza videoludica.
Ma dunque un gioco si può davvero considerare "finito", quando arriviamo ai titoli di coda? In realtà, grazie alla ricchezza e alla complessità dell'interazione, è facile trovare oggi numerosi esempi di titoli che usano i titoli di coda come un vero e proprio strumento narrativo. Al di là del New Game +, più legato a un'espansione delle meccaniche e non della sceneggiatura, il recente NieR: Automata ci mostra come il videogioco possa ricorrere, in maniera dinamica e in base alle scelte degli autori, al finale e ai titoli di coda come a un vero e proprio elemento narrativo, come a un'interruzione di un episodio di una serie TV, che deve però continuare con nuovi colpi di scena, nuove storie. Non possono poi non venire in mente due giochi che delegano ai titoli di coda il momento più importante dell'intera esperienza, dando al giocatore per la prima volta (o quasi) il potere di scegliere o modificare la sua storia: Prince of Persia (2008) e FURI. In entrambi i titoli, ciò che ci attende dopo i titoli di coda è una sintetizzazione interattiva di ciò che è emerso durante la storia, la richiesta degli autori di dire la nostra sugli eventi narrati, in un modo intimo e sincero che non avrebbe avuto lo stesso impatto se non fosse arrivato quando pensavamo di essere arrivati alla fine dell'esperienza. Si pensi, alternativamente, a Far Cry 4, e al suo geniale finale principale (riconosciuto come tale da Ubisoft stessa), che si attiva appena 15 minuti dopo l'inizio del gioco, in base a un'azione del giocatore. In quel caso, al finale è attribuito un valore di ricompensa, un riconoscimento dell'interazione del giocatore, che però non mostra tutto ciò che invece il titolo ha da offrire.

La storia, passata e recente, ci insegna dunque che gli autori videoludici giocano con l'interazione in modi e tempi che non ci sono sempre chiari, ma anzi sono spesso difficilmente prevedibili. È dunque imperativo che chi ama questo mezzo di comunicazione si dedichi anima e corpo alla scoperta di queste idee e meccaniche, che esaltano il medium al suo massimo potenziale, e rendono le esperienze videoludiche sempre più intriganti, sorprendenti e divertenti. Al contempo, al netto delle scelte autoriali più disparate, un autore dovrebbe sempre riuscire a creare il giusto bilanciamento tra un finale sorprendente e il percorso necessario a raggiungerlo, oltre a dover chiarire al giocatore il suo messaggio e le sue idee.