Peter Molyneux. Colui che coi suoi team ha creato titoli del calibro di Populous, Syndicate, Theme Park e Black & White. Uno dei più grandi game designer in circolazione, uno che non si è mai soffermato nel creare seguiti su seguiti, ma solo giochi originali e in grado di appassionare il giocatore. L’opinione che tutti avevano di Molyneux era questa, ma dopo l’uscita di Fable qualcosa è cambiato. Il ricordo di Project Ego e delle promesse fatte nel corso degli anni, l’aunnuncio della creazione del miglior gdr mai creato, di un titolo dalla longevità infinita e l’evaporazione di tutto quando detto in tre anni, ha intaccato la reputazione di Peter e degli sviluppatori del gioco. Fable non è l’unico titolo di Molyneux ad uscire in una maniera diversa da come venne annunciato, ma si tratta del suo progetto che ha richiesto più anni di sviluppo e anche quello che più si è allontanato dalle caratteristiche iniziali. Ripercorriamo quindi la storia di Molyneux e scopriamo quali sono i titoli su cui ha messo mano, i tagli apportati ai vari progetti e l’analisi di due caratteristiche a lui tanto care e sempre presenti in tutti i suoi giochi: la simulazione dei mondi e l’intelligenza artificiale. Chiuderemo infine con un confronto tra Project Ego e Fable, riportando tutte le feature previste e poi rivedute o eliminate, le dichiarazioni degli sviluppatori e l’esame su quello che Fable è in realtà.
IL PRIMO SUCCESSO
Populous. Il primo nome a venire in mente quando si nomina Bullfrog. Dopo l’esordio avvenuto con l’ottimo sparatutto Fusion, Populous, il cui nome in codice era Creation, fu probabilmente il gioco che diede il via al genere degli strategici in tempo reale, uno dei titoli più longevi, originali e divertenti che si siano mai visti. Quale titolo prima di allora aveva permesso di impersonare una divinità, costruire un villaggio e avvalersi dei propri poteri di divinità per aiutare il proprio popolo e creare disastri in quello nemico? Si sceglievano due fazioni, i buoni o i cattivi, le cui differenze sotto l’aspetto delle caratteristiche e dei poteri erano praticamente nulle, e si affrontavano una lunga serie di livelli nei quali a fare la differenza era unicamente l’abilità del giocatore. La grafica era nella norma, ma la giocabilità era eccezionale. A differenza dei titoli futuri, Populous non subì rinvii e tagli di alcun genere. Il 1989 fu l’anno che lanciò Bullfrog e Molyneux, con Populous che raggiunse complessivamente le tre milioni di copie vendute, ma la consacrazione arrivò solo dopo qualche anno.
FLOOD, POWERMONGER E POPULOUS
Quanti conoscono Flood? Pochi, ed è un vero peccato. Flood, pubblicato nel 1990, era un platform originale e coinvolgente, che non ebbe seguiti a causa delle basse vendite ottenute. Nato inizialmente come demo dimostrativa per mostrare l’abilità dei programmatori nel simulare la fisica dei liquidi, Bullfrog decise di farlo diventare ben presto un titolo completo. Impersonando una gocciolina d’acqua abitante del sottosuolo, bisognava risalire verso la superficie attraverso una quarantina di livelli, raccogliendo rifiuti, affrontando nemici ed evitando di essere “assorbiti” dall’acqua, il cui livello si alzava progressivamente. Il gameplay era molto solido e vario: il personaggio principale poteva effettuare notevoli salti, appicicarsi sulle pareti e camminarci sopra. Per frenare l’accumulo d’acqua nelle locazioni, si poteva ostruire i buchi sui muri (facendo attenzione all’oggetto da utilizzare, altrimenti gli effetti avrebbero potuto essere negativi) e avvalersi di lanciafiamme e bombe per fronteggiare i nemici. La classe di Flood era riscontrabile in pochissimi altri platform, ma un po’ per le vendite non molto entusiasmanti, un po’ per l’interesse di Molyneux verso generi meno “vincolanti”, Bullfrog non sviluppò più nessun platform. Poco tempo dopo fu la volta di un titolo a tratti rivoluzionario: Powermonger. Il motore era lo stesso di Populous, ma più dettagliato e dotato di una telecamera ruotabile e zoomabile a piacimento, mentre l’interfaccia era peggiore. Le somiglianze con Populous non erano poche, ma questa volta non c’erano divinità e poteri particolari, ma semplici uomini comandati da un generale. Se in Populous l’obiettivo principale era aumentare il tasso demografico del popolo e quindi l’accumulo di mana, in Powermonger era tutto focalizzato sulla gestione oculata dei propri insediamenti: raccolta del cibo, taglio della legna, accumulo delle risorse, costruzione delle armi e commercio. Era permesso fare anche alleanze, oppure ritirarsi o arrendersi nel corso delle battaglie. Una delle caratteristiche però veramente incredibili, era la tabella d’informazioni che caratterizzava ogni personaggio. Si poteva conoscere di una persona il nome, l’età, il sesso, la professione e l’eventuale compagno o compagna. Tutto era partito da Populous, ma Powermonger diede molti spunti ai futuri strategici di guerra in tempo reale. Un titolo particolare, innovativo, che non eguagliava lo splendore e il divertimento di Populous, ma che per molti è uno dei giochi che si ricordano più piacevolmente. Powermonger non venne pubblicato con tutte le caratteristiche previste, e purtroppo non si seppe mai in dettaglio cosa riguardavano; Molyneux si limitò a definirlo un gioco incompleto che comunque superò le 400.000 copie vendute. Il fatto che non ci furono seguiti, fece pensare che per Bullfrog si trattava di un titolo difficile da evolvere, inoltre fare un seguito significava andare contro le loro intenzioni di creare giochi sempre diversi, ma ovviamente, non poteva mancare qualche eccezione: Populous 2. Il sequel di Populous fu voluto da moltissimi utenti e un’altra delle motivazioni che convinsero Molyneux e gli altri componenti di Bullfrog, era quella di fornire una grafica che rendesse giustizia al gioco (il primo Populous non fu certo ricordato per il comparto estetico). Grosse differenze non ce n’erano, ma le nimazioni più curate, i nuovi poteri, la grafica decisamente più dettagliata, l’interfaccia migliore, i tantissimi livelli e qualche nuovo elemento, fecero di Populous 2 un ottimo seguito, che in breve tempo divenne uno dei giochi più venduti in assoluto.
LO SCONVOLGENTE SYNDICATE
Era il giugno 1992 quando Syndicate, originariamente nominato Bob, fu mostrato per la prima volta. Non molti riuscirono ad afferrare quello che sarebbe potuto essere questo titolo, e solo quando uscì se ne resero conto tutti. Syndicate fu il titolo che consacrò Bullfrog come una delle migliori case sviluppatrici dell’epoca e gli ingredienti erano sempre gli stessi: giocabilità eccellente, longevità altissima e originalità, ma questa volta un altro elemento fu aggiunto: la violenza. Mai si era visto un gioco violento come Syndicate, sia nella trama che nella giocabilità. La storia era davvero agghiacciante e narrava di un periodo futuro in cui il mondo è gestito da tre megacorporazioni che hanno instaurato un regime dittatoriale, ma il controllo totale della popolazione avvenne con l’uscita sul mercato del CHIP, un congegno che una volta installato nel corpo di una persona, permetteva di visualizzare e far percepire all’individuo delle immagini e delle situazioni fittizie ma all’apparenza reali. Ma per le megacorporzioni, e per le microcorporazioni formatesi grazie al reperimento, tramite spionaggio industriale, di informazioni per la fabbricazione del CHIP, era solo l’inizio di una guerra per ottenere la supremazia totale sul pianeta. Impersonando un direttore di un sindacato di una megacorporazione, il giocatore si trovava a guidare da una nave spaziale, in un’ambientazione cyberpunk, quattro uomini, dotati anch’essi del CHIP, da impiegare nelle sanguinose battaglie contro le corporazioni rivali. Ogni uomo era caratterizzato da tre parametri differenti che influenzavano l’atteggiamento in battaglia, e cioè adrenalina, percezione e intelligenza. Conquistando territori, si estendeva il commercio e si guadagnava sempre di più con le tasse (alzandole troppo si creavano delle rivolte); il denaro lo si spendeva quindi nel reclutare uomini e nella ricerca per nuove armi e apparecchi sempre più sofisticati, in grado di trasformare i propri uomini in autentici cyborg. La libertà era molto alta: si poteva uccidere qualsiasi pedone, far esplodere veicoli e oggetti, spostarsi con macchine e treni, entrare negli edifici e utilizzare diverse strategie per il conseguimento di un obiettivo. Nonostante la grafica non fosse bellissima, era la cura per i particolari a stupire: il traffico stradale, le esplosioni, i cartelloni pubblicitari, i pedoni e infine sangue e violenza. Era divertentissimo installare chip di persuasione nei pedoni e spedirli in mezzo ai binari ferroviari in attesa del passaggio del treno, oppure investirli con le auto. I tagli comunque non furono pochi: nei piani iniziali, erano contemplate la costruzione di alcuni edifici, lo spionaggio della pubblicità delle corporazioni avversarie, il traffico pedonale e stradale variabile a seconda dell’ora, la gestione delle pubbliche relazioni e la possibilità di influenzare le popolazioni sotto la dittatura dei nemici, la corruzioni di dirigenti di sindacati rivali, alleanze e un complesso sistema di dialogo. Caratteristiche che non furono inserite nemmeno nel bellissimo seguito (del quale Molyneux non si occupò minimamente) e che avrebbero reso Syndicate ancora più profondo.
LE MONTAGNE DI THEME PARK E I TAPPETI DI
Era il 1993, quando, per la prima volta, furoni divulgate le prime immagini e le prime informazioni su Theme Park e Magic Carpet, il primo un gestionale dove bisognava costruire una serie di luna park, il secondo... un simulatore di tappeto volante? Non è facile dare una definizione di Magic Carpet, dato che prendeva l’ispirazione dai simulatori di volo e metteva il giocatore nei panni di un mago apprendista alla “guida” di un tappeto volante. Sarà Theme Park a lasciare pesantemente il segno, ma inizialmente a fare molta impressione fu proprio Magic Carpet, in virtù dell’incredibile motore grafico e dell’ancora originale struttura di gioco. Scartato il voxel space, uno degli engine grafici più soravvalutati in assoluto (era pesante, poco dettagliato e lento), il team di sviluppo creò un motore grafico totalmente nuovo e tridimensionale, i cui pregi principali erano l’alto livello di dettaglio, i tanti poligoni mossi contemporaneamente, la modifica dello scenario in tempo reale e l’estrema fluidità e velocità anche su macchine poco potenti. Insomma, fu una lezione di programmazione per molti. L’ambientazione era fantasty orientale, quindi oltre a tappeti volanti, scimitarre e turbanti, c’erano draghi, mostri e magie. Quest’ultime svolgevano un ruolo molto importante (d’altronde il protagonista era un mago), e ce n’erano di tantissimi tipi: quelle per l’attacco, quelle per la difesa e quelle per la costruzione. Ma come fare per lanciare le magie? Accumulando il mana che si otteneva uccidendo i nemici. Lo si depositava nel proprio castello, che andava edificato all’inizio di ogni livello e possibilmente allargato aggiungendo qualche guardia per difenderlo dagli attacchi avversari, e dopo averne raccolto abbastanza si poteva passare al mondo successivo. Incredibilmente Magic Carpet non subì notevoli tagli, tuttavia dalla spettacolare visuale in terza persona e dalle incredibili animazioni del personaggio principale, si passò ad una visuale in prima persona, sicuramente più suggestiva e forse più facile per mirare i nemici. Nonostante fosse molto divertente, col passare dei livelli il gioco diventava molto ripetitivo, come del resto la maggior parte degli sparatutto tridimensionali. Magic Carpet era senz’altro un bel gioco, ma suscitò molto clamore più per il motore grafico che per la giocabilità, al contrario di Theme Park. Uscito nel 1994, Theme Park, pur essendo stato rilasciato prima di Magic Carpet (pubblicato sempre nello stesso anno), era decisamente più curato sotto tutti i punti di vista. Incredibilmente, non ci fu qualche caratteristica o elemento eliminato (a parte qualche piccolo particolare) e potemmo gustarci per la prima volta, dopo Populous, un titolo Bullfrog che rispecchiava pienamente gli obiettivi iniziali. Oltre al concept decisamente originale (dove si era mai visto un gioco dove poter costruire parchi di divertimento?), la peculiarità di Theme Park era l’intelligenza artificiale. Aspetto tanto caro a Molyneux, non c’era presentazione in cui non venivano illustrate le complesse routine di IA che governavano il mondo di Theme Park; nel dettaglio, le caratteristiche uniche dei visitatori, ognuno contraddistinto per gusti e preferenze, e le influenze che avevano su di essi il loro stesso atteggiamento, lo stato del parco, gli edifici, gli imprevisti e le azioni di altri personaggi. In parole povere, c’erano decine di fattori che determinavano il morale, le azioni, la condizione fisica e il comportamento di ogni visitatore. Per la gioia di grandi e piccini (Theme Park era un gioco che si adattava a qualsiasi fascia d’utenza), tutto questo fu mantenuto nella versione finale. La partita iniziava con la scelta del luogo in cui iniziare la costruzione del proprio luna park ed un comodo tutorial che illustrava le azioni basilari del gioco. Col tempo, arricchendosi con gli incassi provenienti dal parco stesso, dai premi ricevuti e dalla borsa, si potevano costruire altri parchi in giro per il mondo, obiettivo comunque non facile da raggiungere. La costruzione del parco era un’esperienza divertentissima e appagante, e la voglia di edificare il maggior numero di attrazioni possibile, con conseguenti spese nella ricerca di nuovi progetti, portavano facilmente alla perdita del luna park (esilarante e macabra allo stesso tempo il filmato del game over). Fondamentale era invece posizionare molti negozi, alzare spesso il prezzo del biglietto e non assumere troppo personale, ad eccezione degli spazzini. I visitatori di Theme Park infatti sono perlopiù mocciosetti che non conoscono l’educazione e buttano i rifiuti per le strade o vomitano all’aperto. Ma gli spazzini, così come gli altri membri dello staff, sono di carattere molto difficile e non lesinano a scioperare e a bloccare l’ingresso del parco, nel caso non vengano soddisfatte le loro richieste di aumento dello stipendio. Theme Park presentava diversi livelli di difficoltà, che consentivano o bloccavano la gestione di alcuni aspetti come il rifornimento di cibo o la borsa, e ancora altre opzioni per aumentare o diminuire il livello di sfida. La grafica era molto bella, soprattutto in alta risoluzione, dotata di uno stile molto fumettoso che ben si adattava alla tematica del gioco. Le animazioni dei personaggi e delle giostre erano realizzate benissimo, l’unica piccola pecca riguardava la scarsa varietà di modelli (dei visitatori, non delle giostre), una cosa da niente considerando lo splendore tecnico nel suo complesso. Descrivere ogni aspetto di Theme Park in poche righe è un’impresa proibitiva, ci sono tantissimi tocchi di classe e particolari che andrebbero riportati per far comprendere quanto sia bello questo titolo, a parere del sottoscritto il migliore sviluppato da Bullfrog. E’ un gioco che si riprende anche dopo anni e le oltre tre milioni di copie vendute sono il giusto premio per l’ecceziona lavoro svolto dal team di sviluppo.
DA DUNGEON KEEPER ALL’ADDIO A BULLFROG
Il 1995 si aprì con l’uscita del mediocre Tube e del discreto Hi-Octane, e proseguì con la pubblicazione di Magic Carpet 2, sequel che aggiungeva poco al prequel ma che in compenso vantava una grafica ancora più bella, perfino in bassa risoluzione. Ma ciò che generò grande curiosità fu l’annuncio dello sviluppo di Dungeon Keeper. Inizialmente chiamato Theme Dungeon, il gioco si preannunciava fin dagli inizi entusiasmante: per la prima volta si sarebbe giocato da un punto di vista inedito, quello dei cattivi, coloro che nel 99% dei giochi si affrontano e che inesorabilmente perdono lo scontro con i buoni. Dungeon Keeper nacque come un misto tra un gdr e uno strategico, in cui il giocatore doveva costruire dei dungeon dove creare e mantenere il proprio esercito di mostri, disseminarlo di trappole e contrastare l’attacco di cavalieri e paladini della giustizia. Ma questa è solo una descrizione sintetica di quello che Dungeon Keeper era in realtà. Dopo Theme Park, anche in questo titolo è parzialmente presente il concetto di fama, in questo caso del dungeon. Le decine di creature “arruolabili” non si stabilivano nel regno del giocatore fino a quando non vedevano le loro pretese soddisfatte. Ciascun mostro aveva richieste di vario genere, alcune facili da soddisfare, altre più pretenziose, ma solitamente quello che chiedevano era un’estensione precisa della tana (il luogo in cui riposavano), del nido (dove venivano allevati i polli, unica fonte di cibo) e la presenza, specificando delle volte la grandezza, di una stanza in particolare, come una biblioteca per uno stregone o di una sala delle trappole per gli orchi. Il giocatore non solo doveva erigere un dungeon dotato di locazioni differenti e arricchirlo con trappole di svariati tipi, ma anche gestire le creature, le quali avevano una vita abbastanza elaborata dato che mangiavano, dormivano, svolgevano lavori e combattevano. I problemi sorgevano quando non c’erano soldi per pagarle o quando avevano screzi con alcuni degli abitanti del dungeon. La tristezza e la rabbia di una creatura potevano scaturire da molteplici cause, tanto era complessa l’IA che le governava. Purtroppo anche Dungeon Keeper si allontanò progressivamente dagli obiettivi prefissati da Molyneux. La pubblicazione annunciata per la fine del 1995 sembrò subito impossibile da rispettare, infatti il primo rinvio non tardò ad arrivare e il gioco venne rilasciato nel 1997, senza alcune delle caratteristiche inizialmente promesse: ordini alle creature, ampia personalizzazione del dungeon, assalto dei reami esterni e possibilità di giocare anche con i buoni. Fortunatamente a guadagnarci fu la grafica, inizialmente più scarna, mentre il resto si confermò comunque ad altissimi livelli. Dungeon Keeper è stato forse il progetto più complesso e di maggior successo di Bullfrog, ma quando fu pubblicato, Peter non c’era giù più: stufo del modo di lavorare di Electronic Arts (riunioni su riunioni) e delle pretese della software house (almeno un gioco all’anno), Molyneux abbandonò nel 1996 la casa sviluppatrice che lo rese tanto famoso. Di lì a poco, un nuovo team di sviluppo vide la luce: Lionhead.
UN PROGETTO BIANCO E
Il titolo più ambizioso di Molyneux. Il gioco più bello mai creato su pc. Queste erano le credenziali di Black & White, il primo gioco di Lionhead. Quello che Peter voleva, principalmente, erano delle routine avanzatissime di intelligenza artificiale da applicare a dei personaggi, i quali, oltre ad avere una personalità variabile, avrebbero dovuto apprendere e applicare gli insegnamenti forniti dal giocatore. L’idea quindi era quella di creare un mondo dove vivevano dei popoli, delle creature giganti a cui insegnar quello che si voleva, e un mago dotato di grandi poteri, poi sostituito con la figura della divinità. Lo sviluppo del gioco iniziò verso la fine del 1997, e naturalmente la prima data d’uscita annunciata per il 1999 fu mancata in pieno. I motivi del notevole slittamento della pubblicazione del gioco erano molteplici: prima di tutto, le routine di IA che aveva in mente Molyneux e il team di sviluppo, richiedevano molto tempo per essere elaborate. L’engine doveva essere qualcosa di stratosferico, come del resto lo è stato (tuttavia Molyneux avrebbe voluto una grafica molto più realistica), con un livello di dettaglio altissimo e una telecamera ruotabile e zoomabile a piacimento. Inoltre, Black & White per molto tempo non aveva avuto una forma precisa, ma era solo una serie di idee da incastrare. Molyneux aveva perfino detto che fu più volte tentato di cancellare il progetto, comunque, tutto andò per il meglio, o quasi. Black & White divise i videogiocatori, c’era chi lo adorava, chi lo riteneva un buon titolo rovinato da alcune pecche. Black & White appartiene al filone degli strategici, ma non c’è nessun gioco che si può paragonare o avvicinare a ciò che ha creato Lionhead. Le principali idee iniziali furono mantenute, vale a dire la figura della divinità (il giocatore), la creatura e il popolo. Lo scopo del gioco era estendere il proprio potere sconfiggendo le divinità nemiche, allevando la propria creatura e facendo prosperare il proprio popolo e la conseguente schiera di adoratori, ma il bello di tutto questo era che non esisteva un modo giusto o sbagliato per raggiungere un fine. In Black & White ci si poteva comportare da buoni o cattivi, il popolo adorava il suo dio per amore o per paura e la stessa creatura si plasmava a seconda della sua vita e in base agli insegnamenti del giocatore. Altra caratteristica innovativa, era che non esistevano icone o menù, qualsiasi azione la si eseguiva cliccando e muovendo il mouse. Col cursore a forma di mano, si lanciavano magie (eseguendo movimenti precisi, come se il mouse fosse una bacchetta), si poteva schiaffeggiare le persone, afferrarle e scaraventarle in giro, anche a distanze lontanissime (divertentissimo, e poi c’erano le grida di dolore), raccogliere oggetti e risorse per depositarli in qualche edificio o utilizzarli come armi. Ma con la mano si educava soprattutto la creatura (un animale gigante), un essere totalmente indipendente e che mutava atteggiamento tramite tre differenti collari (apprendimento, aggressività e bontà). La creatura era l’attrazione principale di Black & White, la si doveva allevare ed educare fino alla fine del gioco e per le partite in multiplayer. Essendo un essere vivente, essa dormiva, mangiava, beveva e si divertiva, ma poteva anche essere una fonte d’aiuto per la tribù, raccogliendo ad esempio cibo e legname, oltre che essere un’arma temibilissima. Ma la creatura potevacombinare anche disastri, ed è qui che interveniva il giocatore. La creatura faceva i suoi bisogni sopra una casa? Allora la si sculacciava o la si schiaffeggiava. Però le si poteva insegnare a fare la medesima azione sugli edifici nemici, e accarezzarla per farle capire che aveva eseguito un’azione che assecondavamo. Volendo era possibile farla diventare cattivissima, massagiandole la pancia quando afferrava una persona in modo che la mangiasse, oppure educarla a raccogliere pietre e tirarle sulla gente della propria tribù. L’IA della creatura di Black & White è ancora oggi imbattuta, in grado di regalare immenso stupore a chiunque la veda all’opera, talmente complessa che nemmeno gli sviluppatori erano riusciti a calcolare tutte le possibili reazioni. Dal punto di vista tecnico, Black & White era qualcosa di fenomemale. Certo, non s’avvicinava neanche agli artwork che avrebbero dovuto rispecchiare la grafica della versione finale, ma si trattava di un engine che oltre a calcolare un’elaborata IA e una fisica degli oggetti molto realistica, consentiva di allontare, avvicinare e spostare la telecamera a proprio piacimento. Gli effetti di luce e i riflessi erano avanzatissimi, e tuttoggi sono molto belli da vedere. Ma i difetti e le promesse non mantenute non mancarono: il gioco uscì portandosi dietro diversi bug, alcuni dei quali piuttosto gravi (l’impossibilità di avanzare di livello in certe situazioni o la perdita parziale di memoria della creatura), ma la pecca più pesante di tutte era la gestione caotica della tribù, che portava ad eseguire ripetitivamente azioni dello stesso tipo. Purtroppo ci si trovava a gestire decine di cose contemporaneamente, come pensare alla creatura, dare ordini ai membri della tribù, creare continuamente legname data la scarsa presenza di alberi, occuparsi del nemico e affrontare side-quest. Andava realizzato qualcosa di più semplice oppure automatizzare alcune funzioni. Le caratteristiche tagliate non furono poche, ma fortunatamente non andarono ad intaccare totalmente la struttura di gioco: originariamente la crearura (che comunque si poteva cambiare mantenendo la mente e tutto quello che aveva imparato), poteva perdere arti e adattarsi a vivere di conseguenza. L’intelligenza artificiale degli uomini doveva essere mooolto più sofisticata: si parlava di adolescenti che si incontravano sulla spiaggia, passeggiavano tra i boschi, si fidanzavano, costruivano la propria casa (in realtà le case dovete costruirvele voi, peccato che non abbiano usato un sistema alla Populous 2), avevano figli, dei lavori, vari generi di divertimenti, incluso il calcio con tanto di campionato, arbitro e regolamento. Ci dovevano essere decine di lavori e decine di classi di personaggi, prostitute comprese. Dovevano essere inclusi personaggi importanti come capi-tribù, feste, disastri naturali e progressi tecnologici. Si era parlato di caratteristiche da gdr con i personaggi che miglioravano le loro peculiarità e che i loro figli avrebbero ereditato il patrimonio genetico dei loro genitori, dovevano essere presenti centinaia di incantesimi, un mondo unico e non diviso in livelli. Immaginate cosa poteva essere Black & White con tutte queste caratteristiche. Il primo titolo Lionhead non rispettò pienamente l’hype, ma si trattò nonostante tutto di un grande gioco, forse non uno dei migliori, ma l’esperienza che offre è così unica che vale decisamente la pena giocarlo.
IL SOGNO PROJECT EGO
Un sogno. Questo era Project Ego, il gioco sviluppato dal team satellite Big Blue Box col diretto supporto di Lionhead. Era il 2001 quando Project Ego venne mostrato in tutta la sua magnificenza: furono comunicate le caratteristiche del gioco, vennero rilasciate le prime immagini e circolò pure qualche filmato. “E’ il gioco che ho sognato per anni” disse Molyneux, ed era il gioco che tutti noi desideravamo: un rpg con ampia personalizzazione del personaggio, sistema d’evoluzione delle caratteristiche naturale e non tramite menù, intelligenza artificiale avanzatissima dei personaggi non giocanti e soprattutto un mondo in costante mutamento, nel quale ogni scelta del protagonista e di qualsiasi altro personaggio, avrebbe portato a una conseguenza. Lo slogan “For every choice a consequence” ha fatto sognare l’utenza per anni, ma del progetto iniziale è rimasto davvero poco.
PROJECT EGO VS
Project Ego: Scelta tra un personaggio maschile o femminile Fable: si impersona obbligatoriamente un personaggio maschile Project Ego: La scelta del sesso avrebbe condizionato tutta l’avventura Fable: caratteristica eliminata per i motivi soprariportati. Project Ego: esplorazione libera o semi-libera. Fable: l’esplorazione è limitata e strutturata a corridoi. Project Ego: routine di IA della creatura di Black & White applicate a tutti i personaggi. Fable: routine di IA nuove e peggiori rispetto a quelle di Black & White. Project Ego: invecchiamento in tempo reale del personaggio. Fable: caratteristica mantenuta. Project Ego: Crescita e morte dei personaggi. I bambini crescono, diventano adulti, hanno figli, muoiono e così via all’infinito Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: memoria dei personaggi duratura. Se per esempio il protagonista o un’altra persona uccideva il fratello di un bambino, quest’ultimo una volta cresciuto si sarebbe vendicato sul personaggio principale o su un altro responsabile degli omicidi. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: apprendimento di mosse e gesti da altri personaggi. Fable: caratteristica eliminata Project Ego: matrimonio con donne o uomini. Fable: caratteristica mantenuta. Projecet Ego: possibilità di avere figli. Fable: caratteristica eliminata. Projecet Ego: presenza di tante città e villaggi. Fable: presenza esigua di città e villaggi. Project Ego: generatore di eventi, sia di piccole che grandi proporzioni. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: mondo che si evolve in tempo reale. Fable: caratteristica eliminata. Projecet Ego: decine di classi di personaggi, come taglialegna, ladri e pescatori. Fable: caratteristica mantenuta in minima parte. Project Ego: main-quest che si termina tra le 25 e le 30 ore. Fable: main-quest che si conclude in una decina di ore. Project Ego: gli altri eroi del gioco possono precedere il giocatore nel completamento di alcune missioni. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: possiblità di piantare alberi e piante e vederli crescere nel tempo. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: possibilità di tatuarsi e di cambiarsi il taglio dei capelli. Fable: caratteristca mantenuta. Project Ego: generatore di quest. Fable: caratteristica presente in minima parte. Projecet Ego: multiplayer. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: caratteristiche dell’eroe che si evolvono in maniera graduale e non tramite menù e punti da distribuire. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: aspetto fisico del personaggio principale che mutua in tempo reale ed in base all’allineamento. Fable: caratterisitca mantenuta. Project Ego: cicatrici che si formano in tempo reale. Fable: caratteristica mantenuta. Project Ego: storia ed eventi differenti per ogni partita. Fable: caratteristica presente in minima parte. Project Ego: gestualità del personaggio. Fable: caratteristica mantenuta. Project Ego: esibizione dei propri oggetti. Fable: caratteristica mantenuta. Project Ego: commenti degli altri personaggi sul protagonista. Fable: caratteristica mantenuta.
NON TUTTE LE FAVOLE HANNO UN LIETO FINE
Il rammarico per ciò che doveva essere Fable è forte e solo un sequel potrà cancellarlo. Il Fable che è uscito non solo non è lontano parente di Project Ego, ma non è neanche il Fable di un anno fa, si tratta di un altro gioco ancora, che include pochissime delle feature annunciate tre anni fa. Ma come Black & White, Fable è un’esperienza unica, non si tratta di un capolavoro, ma è comunque un gioco di ottima qualità, che per quanto sia privo di feature presenti in altri gdr, ne vanta alcune totalmente inedite che dovrebbero essere presenti in tutti i futuri titoli del genere. In tutti i gdr che ho giocato mi chiedevo perché non avevo l’opportunità di fare gesti o mostrare degli oggetti, cosa che in Fable si può fare, oppure perché i personaggi non avevano un’IA che permetteva loro di avere un barlume di vita. In Fable addirittura si vedono i negozianti riporre e risistemare la loro merce nelle bancharelle a seconda di quando chiudono o riaprono. Tuttavia, l’IA di Fable ha due faccie: da una parte la vita dei personaggi, non particolarmente elaborata e lontana anni luce da quella promessa, ma sufficiente per farli sembrare vivi; dall’altra la stupidità e l’incoerenza delle loro reazioni. Per esempio, avevo concluso una missione salvando tre persone dall’attacco di alcuni insetti giganti, le quali mi hanno applaudito per il grande gesto compiuto. Ma per loro sfortuna, avevo deciso di farli fuori, così ne ammazzo uno a colpi di katana, ne uccido un altro sempre con la katana, e poi decido di gustarmi la reazione dell’ultimo superstite. Urla, grida e suppliche, ma non scappa, corre senza un senso preciso. Iniziai a ruttare e a produrre peti, e il tizio iniziò a insultarmi. Poi mi misi a ridacchiare e mi diede del mattacchione. Ma come? Ho ucciso due tuoi amici, e poi con qualche piccola azione passiamo il tempo assieme? Al di là delle promesse di IA rivoluzionaria, l’intelligenza dei personaggi di Fable si mostra inferiore persino ad altri gdr più vecchi. Continuando a soffermarsi sulle pecche (poi arriveremo ai pregi, naturalmente), ci si chiede come mai il livello di difficoltà sia estremamente basso. Terminare il livello d’energia in Fable è quasi impossibile e l’unica vera sfida viene proposta dalle possibili scommesse effettuabili per ciascuna missione,ad esempio finire una quest senza nessun graffio oppure senza armatura e proteggendo un personaggio. Le missioni hanno comunque una struttura molto rigida, che stride terribilmente con l’Every Choice A Consequence riportato sulla confezione, che ricorda molto il Real Driving Simulation della serie GT. Non portare a terminare una quest, significa dover necessariamente ripeterla fino a quando non la si conclude. L’area di gioco si estende su una stretta superficie, limitata tra l’altro da barriere che non consentono un’esplorazione libera; a ciò si aggiungono poi i tantissimi e snervanti (dai sei agli otto secondi) caricamenti, spesso incomprensibili. L’ultimo pecca pesante, è la bassissima quantità di villaggi, tra l’altro di dimensioni assai minute. Fortunatamente, Fable non presenta solo lacune, ma è contraddistinto da interessanti side-quest (peccato che alcune siano state tagliate), una personalizzazione dell’eroe pressochè totale (ci sono diversi tagli di capelli, tantissimi tatuaggi e armature, molte armi sia da mischia che da corpo a corpo, magie...), un sistema di commercio inappuntabile (in ogni trattativa con i mercanti, si possono vedere oltre al prezzo di acquisto e di vendita, anche il profitto o la perdita in modo da evitare fregature), l’acquisto di ville da dare anche in affitto, tanti segreti, la possibilità di sposarsi anche con più donne e volendo anche con uomini, un ottimo impatto visivo del gioco e un’atmosfera davvero fiabesca, la forte varietà della flora, eccellenti musiche, l’opportunità di pescare, inoltre ci sono i pregi già descritti all’inizio di questo pezzo. Fable dovrebbe essere giocato da tutti gli amanti dei gdr perché, al di là di tutto, è un ottimo titolo, dotato di un’atmosfera particolare e di alcune caratteristiche uniche. Per tutte quelle cose che non sono state messe, c’è sempre Fable 2, che probabilmente non vedremo su Xbox ma sulle console della prossima generazione.
LE ULTIME PAROLE FAMOSE
Gli sviluppatori avrebbero tentato di realizzare i desideri dei giocatori sulle caratteristiche da inserire nel gioco. Dichiarazione di Sam Carter nel 2001: “Abbiamo sentito diversi commenti su Project Ego, persone che dicono che è troppo bello per essere vero. Vogliamo che ogni giocatore abbia un personaggio unico e che qualsiasi decisione o azione abbia effetto sia sul mondo che sulla fama e sul fisico del personaggio. Vogliamo concedere al giocatore una libertà mai vista prima e che si diverta qualunque cosa faccia. Se cè una cosa che pensiamo non sia divertente, non la inseriremo.” 2001, Peter Molyneux: “Il mondo si evolve in continuazione, indipendentemente da quello che il personaggio fa o non fa”. 2001, Peter Molyneux: “Potrete segnare le vostre iniziali su un alberello, e dopo anni, vedrete l’albero cresciuto e le iniziali ancora segnate.” 2002, Peter Molyneux: “Project Ego sarà l’rpg più bello di tutti i tempi”. 2002, Peter Molyneux: “Sono dieci anni che desidero creare l’rpg dei miei sogni. Gli rpg del passato hanno sempre avuto diversi problemi. In Project Ego voglio inserire tutte quelle cose che ho sempre cercato in questo tipo di giochi.” 2002, Peter Molyneux: “Le cose che succedono in Project Ego non si sono mai viste in nessun altro gdr.” 2003, Angus Syme: “Aiutando o facendo i carini con una ragazzina, dopo alcuni anni questa sarà cresciuta e potrà nutrire dei sentimenti nei confronti del protagonista”. 2003, Peter Molyneux: “Potrebbe essere il gioco più bello mai creato”. 2003, Dene Carter: “Non c’è nessuna regola per il giocatore”. 2003, Angus Syme: “Ci sono diversi eroi rivali nel gioco, ognuno con un proprio allineamento, e potranno essere vostri nemici o amici, perfino aiutarvi nei combattimenti.
CURIOSITA’ SU PETER MOLYNEUX
Giochi preferiti. Civilization 2: “Il gioco che ho maggiormente giocato.” Civilization: “Il secondo gioco che ho maggiormente giocato.” Ultima Online: “Ho moltissimo rispetto per questo titolo.” Quake: “Ci ho giocato tantissimo”. Total Annihalation: “L’evoluzione dei titoli alla Command & Conquer.” Max Payne 2: “Mi è piaciuta la storia e il gameplay.” GTA 3: “E’ la riproduzione di un mondo. Non si può neanche farlo rientrare in un genere.” Advance Wars 2: “Può competere con i migliori strategici dotati di un’ottima grafica”. Prince Of Persia: Sands Of Time: “Mostra cosa può essere la prossima generazione di console”. Titoli futuri a suo parere più interessanti. “Halo 2, Wanda To Kyozou e qualsiasi altro gioco originale.” Pensiero sulle console della prossima generazione. “Credo che permetteranno di creare mondi virtuali indistinguibili dalla realtà.” Giochi sviluppati nel passato dei quali vorrebbe realizzare un remake. “Populous, questo lo voglio proprio fare. Ma mi piacerebbe realizzare anche un remake di Syndicate.”
Speciale Da Populous a Fable
Leggi il nostro articolo speciale su Da Populous a Fable - 479
Peter Molyneux. Colui che coi suoi team ha creato titoli del calibro di Populous, Syndicate, Theme Park e Black &
White. Uno dei più grandi game designer in circolazione, uno che non si è mai soffermato nel creare seguiti su seguiti, ma solo giochi originali e in grado di appassionare il giocatore. L’opinione che tutti avevano di Molyneux era questa,
ma dopo l’uscita di Fable qualcosa è cambiato. Il ricordo di Project Ego e delle promesse fatte nel corso degli anni, l’aunnuncio della creazione del miglior gdr mai creato, di un titolo dalla longevità infinita e l’evaporazione di tutto
quando detto in tre anni, ha intaccato la reputazione di Peter e degli sviluppatori del gioco. Fable non è l’unico titolo di Molyneux ad uscire in una maniera diversa da come venne annunciato, ma si tratta del suo progetto che ha richiesto più anni di sviluppo e anche quello che più si è allontanato dalle caratteristiche iniziali. Ripercorriamo quindi la storia di Molyneux e scopriamo quali sono i titoli su cui ha messo mano, i tagli apportati ai vari progetti e l’analisi di due caratteristiche a lui tanto care e sempre presenti in tutti i suoi giochi: la simulazione dei mondi e l’intelligenza artificiale. Chiuderemo infine con un confronto tra Project Ego e Fable, riportando tutte le feature previste e poi rivedute o eliminate, le dichiarazioni degli sviluppatori e l’esame su quello che Fable è in realtà.
IL PRIMO SUCCESSO
Populous. Il primo nome a venire in mente quando si nomina Bullfrog. Dopo l’esordio avvenuto con l’ottimo sparatutto
Fusion, Populous, il cui nome in codice era Creation, fu probabilmente il gioco che diede il via al genere degli strategici in tempo reale, uno dei titoli più longevi, originali e divertenti che si siano mai visti. Quale titolo prima di
allora aveva permesso di impersonare una divinità, costruire un villaggio e avvalersi dei propri poteri di divinità per aiutare il proprio popolo e creare disastri in quello nemico? Si sceglievano due fazioni, i buoni o i cattivi, le
cui differenze sotto l’aspetto delle caratteristiche e dei poteri erano praticamente nulle, e si affrontavano una lunga serie di livelli nei quali a fare la differenza era unicamente l’abilità del giocatore. La grafica era nella
norma, ma la giocabilità era eccezionale. A differenza dei titoli futuri, Populous non subì rinvii e tagli di alcun genere. Il 1989 fu l’anno che lanciò Bullfrog e Molyneux, con Populous che raggiunse complessivamente le tre milioni
di copie vendute, ma la consacrazione arrivò solo dopo qualche anno.
FLOOD, POWERMONGER E POPULOUS
Quanti conoscono Flood? Pochi, ed è un vero peccato. Flood, pubblicato nel 1990, era un platform originale e coinvolgente, che non ebbe seguiti a causa delle basse vendite ottenute. Nato inizialmente come demo dimostrativa per mostrare l’abilità dei programmatori nel simulare la fisica dei liquidi, Bullfrog decise
di farlo diventare ben presto un titolo completo. Impersonando una gocciolina d’acqua abitante del sottosuolo, bisognava risalire verso la superficie attraverso una quarantina di livelli, raccogliendo rifiuti, affrontando nemici
ed evitando di essere “assorbiti” dall’acqua, il cui livello si alzava progressivamente. Il gameplay era molto solido e vario: il personaggio principale poteva effettuare notevoli salti, appicicarsi sulle pareti e
camminarci sopra. Per frenare l’accumulo d’acqua nelle locazioni, si poteva ostruire i buchi sui muri (facendo attenzione all’oggetto da utilizzare, altrimenti gli effetti avrebbero potuto essere negativi) e avvalersi di
lanciafiamme e bombe per fronteggiare i nemici. La classe di Flood era riscontrabile in pochissimi altri platform, ma un po’ per le vendite non molto entusiasmanti, un po’ per l’interesse di Molyneux verso generi meno
“vincolanti”, Bullfrog non sviluppò più nessun platform. Poco tempo dopo fu la volta di un titolo a tratti rivoluzionario: Powermonger. Il motore era lo stesso di Populous, ma più dettagliato e dotato di una telecamera ruotabile e zoomabile a piacimento, mentre l’interfaccia era peggiore. Le somiglianze con Populous non
erano poche, ma questa volta non c’erano divinità e poteri particolari, ma semplici uomini comandati da un generale. Se in Populous l’obiettivo principale era aumentare il tasso demografico del popolo e quindi l’accumulo di mana, in
Powermonger era tutto focalizzato sulla gestione oculata dei propri insediamenti: raccolta del cibo, taglio della legna, accumulo delle risorse, costruzione delle armi e commercio. Era permesso fare anche alleanze, oppure
ritirarsi o arrendersi nel corso delle battaglie. Una delle caratteristiche però veramente incredibili, era la tabella d’informazioni che caratterizzava ogni personaggio. Si poteva conoscere di una persona il nome, l’età, il sesso, la
professione e l’eventuale compagno o compagna. Tutto era partito da Populous, ma Powermonger diede molti spunti ai futuri strategici di guerra in tempo reale. Un titolo particolare, innovativo, che non eguagliava lo splendore e il
divertimento di Populous, ma che per molti è uno dei giochi che si ricordano più piacevolmente. Powermonger non venne pubblicato con tutte le caratteristiche previste, e purtroppo non si seppe mai in dettaglio cosa riguardavano; Molyneux si limitò a definirlo un gioco incompleto che comunque superò le 400.000 copie vendute. Il fatto che non ci furono seguiti, fece pensare che per Bullfrog si trattava di un titolo difficile da evolvere, inoltre fare un seguito significava andare contro le loro intenzioni di creare giochi sempre diversi, ma ovviamente, non poteva mancare qualche eccezione: Populous 2. Il sequel di Populous fu voluto da moltissimi utenti e un’altra delle motivazioni che convinsero Molyneux e gli altri componenti di Bullfrog, era quella di fornire una grafica che rendesse giustizia al gioco (il primo Populous non fu certo ricordato per il comparto estetico). Grosse differenze non ce n’erano, ma le nimazioni più curate, i nuovi poteri, la grafica decisamente più dettagliata, l’interfaccia migliore, i tantissimi livelli e qualche nuovo elemento, fecero di Populous 2 un ottimo seguito, che in breve tempo divenne uno dei giochi più venduti in assoluto.
LO SCONVOLGENTE SYNDICATE
Era il giugno 1992 quando Syndicate, originariamente nominato Bob, fu mostrato per la prima volta. Non molti riuscirono ad afferrare quello che sarebbe potuto essere questo titolo, e solo quando uscì se ne resero conto
tutti. Syndicate fu il titolo che consacrò Bullfrog come una delle migliori case sviluppatrici dell’epoca e gli ingredienti erano sempre gli stessi: giocabilità eccellente, longevità altissima e originalità, ma questa volta un altro elemento fu aggiunto: la violenza. Mai si era visto un gioco violento come Syndicate, sia nella trama che nella giocabilità. La storia era davvero agghiacciante e narrava di un periodo futuro in cui il mondo è gestito da tre megacorporazioni che hanno
instaurato un regime dittatoriale, ma il controllo totale della popolazione avvenne con l’uscita sul mercato del CHIP, un congegno che una volta installato nel corpo di una persona, permetteva di visualizzare e far percepire all’individuo delle immagini e delle situazioni fittizie ma all’apparenza reali. Ma per le megacorporzioni, e per le microcorporazioni formatesi grazie al reperimento, tramite spionaggio industriale, di informazioni per la fabbricazione del CHIP, era solo l’inizio di una guerra per ottenere la supremazia totale sul pianeta. Impersonando un direttore di un sindacato di una
megacorporazione, il giocatore si trovava a guidare da una nave spaziale, in un’ambientazione cyberpunk, quattro uomini, dotati anch’essi del CHIP, da impiegare nelle sanguinose battaglie contro le corporazioni rivali. Ogni uomo
era caratterizzato da tre parametri differenti che influenzavano l’atteggiamento in battaglia, e cioè adrenalina, percezione e intelligenza. Conquistando territori, si estendeva il commercio e si guadagnava sempre di più con le tasse (alzandole troppo si creavano delle rivolte); il denaro lo si spendeva quindi nel reclutare uomini e nella ricerca per nuove armi e apparecchi sempre più sofisticati, in grado di trasformare i propri uomini in autentici cyborg. La
libertà era molto alta: si poteva uccidere qualsiasi pedone, far esplodere veicoli e oggetti, spostarsi con macchine e treni, entrare negli edifici e utilizzare diverse strategie per il conseguimento di un obiettivo. Nonostante la grafica non fosse bellissima, era la cura per i particolari a stupire: il traffico stradale, le esplosioni, i cartelloni pubblicitari, i pedoni e infine sangue e violenza. Era divertentissimo installare chip di persuasione nei pedoni e spedirli in mezzo ai binari ferroviari in attesa del passaggio del treno, oppure investirli con le auto. I tagli comunque non furono pochi: nei piani iniziali, erano contemplate la costruzione di alcuni edifici, lo spionaggio della pubblicità delle corporazioni avversarie, il traffico pedonale e stradale variabile a seconda dell’ora, la gestione delle pubbliche relazioni e la
possibilità di influenzare le popolazioni sotto la dittatura dei nemici, la corruzioni di dirigenti di sindacati rivali, alleanze e un complesso sistema di dialogo. Caratteristiche che non furono inserite nemmeno nel bellissimo seguito (del quale Molyneux non si occupò minimamente) e che avrebbero reso Syndicate ancora più profondo.
LE MONTAGNE DI THEME PARK E I TAPPETI DI
Era il 1993, quando, per la prima volta, furoni divulgate le prime immagini e le prime informazioni su Theme Park e Magic Carpet, il primo un gestionale dove bisognava costruire una serie di luna park, il secondo... un simulatore di tappeto volante? Non è facile dare una definizione di Magic Carpet, dato che prendeva l’ispirazione dai simulatori di
volo e metteva il giocatore nei panni di un mago apprendista alla “guida” di un tappeto volante. Sarà Theme Park a lasciare pesantemente il segno, ma inizialmente a fare molta impressione fu proprio Magic Carpet, in virtù
dell’incredibile motore grafico e dell’ancora originale struttura di gioco. Scartato il voxel space, uno degli engine grafici più soravvalutati in assoluto (era pesante, poco dettagliato e lento), il team di sviluppo creò un motore
grafico totalmente nuovo e tridimensionale, i cui pregi principali erano l’alto livello di dettaglio, i tanti poligoni mossi contemporaneamente, la modifica dello scenario in tempo reale e l’estrema fluidità e velocità anche su macchine
poco potenti. Insomma, fu una lezione di programmazione per molti. L’ambientazione era fantasty orientale, quindi oltre a tappeti volanti, scimitarre e turbanti, c’erano draghi, mostri e magie. Quest’ultime svolgevano un ruolo molto importante (d’altronde il protagonista era un mago), e ce n’erano di tantissimi tipi: quelle per l’attacco, quelle per la difesa e quelle per la costruzione. Ma come fare per lanciare le magie? Accumulando il mana che si otteneva uccidendo i nemici. Lo si depositava nel proprio castello, che andava edificato all’inizio di ogni livello e possibilmente allargato aggiungendo qualche guardia per difenderlo dagli attacchi avversari, e dopo averne raccolto abbastanza si poteva passare al mondo successivo. Incredibilmente Magic Carpet non subì notevoli tagli, tuttavia dalla spettacolare visuale in terza persona e dalle incredibili animazioni del personaggio principale, si passò ad una visuale in prima persona, sicuramente più suggestiva e forse più facile per mirare i nemici. Nonostante fosse molto divertente, col passare dei livelli il gioco diventava molto ripetitivo, come del resto la maggior parte degli sparatutto tridimensionali. Magic Carpet era senz’altro un bel gioco, ma suscitò molto clamore più per il motore grafico che per la giocabilità, al contrario di Theme Park. Uscito nel 1994, Theme Park, pur essendo stato rilasciato prima di Magic Carpet (pubblicato sempre nello stesso anno), era decisamente più curato sotto tutti i punti di vista. Incredibilmente, non ci fu qualche caratteristica o elemento eliminato (a parte qualche piccolo particolare) e potemmo gustarci per la prima volta, dopo Populous, un titolo Bullfrog che rispecchiava pienamente gli obiettivi iniziali. Oltre al concept decisamente originale (dove si era mai visto un gioco dove poter costruire parchi di divertimento?), la peculiarità di Theme Park era l’intelligenza artificiale. Aspetto tanto caro a Molyneux, non c’era presentazione in cui non venivano illustrate le complesse routine di IA che governavano il mondo di Theme Park; nel dettaglio, le caratteristiche uniche dei visitatori, ognuno contraddistinto per gusti e preferenze, e le influenze che avevano su di essi il loro stesso atteggiamento, lo stato del parco, gli edifici, gli imprevisti e le azioni di altri personaggi. In parole povere, c’erano decine di fattori che determinavano il morale, le azioni, la condizione fisica e il comportamento di ogni visitatore. Per la gioia di grandi e piccini (Theme Park era un gioco che si adattava a qualsiasi fascia d’utenza), tutto questo fu mantenuto nella versione finale. La partita iniziava con la scelta del luogo in cui iniziare la costruzione del proprio luna park ed un comodo tutorial che illustrava le azioni basilari del gioco. Col tempo, arricchendosi con gli incassi provenienti dal parco stesso, dai premi ricevuti e dalla borsa, si potevano costruire altri parchi in giro per il mondo, obiettivo comunque non facile da raggiungere. La costruzione del parco era un’esperienza divertentissima e appagante, e la voglia di edificare il maggior numero di attrazioni possibile, con conseguenti spese nella ricerca di nuovi progetti, portavano facilmente alla perdita del luna park (esilarante e macabra allo stesso tempo il filmato del game over). Fondamentale era invece posizionare molti negozi, alzare spesso il prezzo del biglietto e non assumere troppo personale, ad eccezione degli spazzini. I visitatori di Theme Park infatti sono perlopiù mocciosetti che non conoscono l’educazione e buttano i rifiuti per le strade o vomitano all’aperto. Ma gli spazzini, così come gli altri membri dello staff, sono di carattere molto difficile e non lesinano a scioperare e a bloccare l’ingresso del parco, nel caso non vengano soddisfatte le loro richieste di aumento dello stipendio. Theme Park presentava diversi livelli di
difficoltà, che consentivano o bloccavano la gestione di alcuni aspetti come il rifornimento di cibo o la borsa, e ancora altre opzioni per aumentare o diminuire il livello di sfida. La grafica era molto bella, soprattutto in alta
risoluzione, dotata di uno stile molto fumettoso che ben si adattava alla tematica del gioco. Le animazioni dei personaggi e delle giostre erano realizzate benissimo, l’unica piccola pecca riguardava la scarsa varietà di
modelli (dei visitatori, non delle giostre), una cosa da niente considerando lo splendore tecnico nel suo complesso. Descrivere ogni aspetto di Theme Park in poche righe è un’impresa proibitiva, ci sono tantissimi tocchi di classe e
particolari che andrebbero riportati per far comprendere quanto sia bello questo titolo, a parere del sottoscritto il migliore sviluppato da Bullfrog. E’ un gioco che si riprende anche dopo anni e le oltre tre milioni di copie vendute
sono il giusto premio per l’ecceziona lavoro svolto dal team di sviluppo.
DA DUNGEON KEEPER ALL’ADDIO A BULLFROG
Il 1995 si aprì con l’uscita del mediocre Tube e del discreto Hi-Octane, e proseguì con la pubblicazione di Magic Carpet 2, sequel che aggiungeva poco al prequel ma che in compenso vantava una grafica ancora più bella, perfino in bassa risoluzione. Ma ciò che generò grande curiosità fu l’annuncio dello sviluppo di Dungeon Keeper. Inizialmente chiamato Theme Dungeon, il gioco si preannunciava fin dagli inizi entusiasmante: per la prima volta si sarebbe giocato da un punto di vista inedito, quello dei cattivi, coloro che nel 99% dei giochi si affrontano e che inesorabilmente perdono lo scontro con i buoni. Dungeon Keeper nacque come un misto tra un gdr e uno strategico, in cui il giocatore doveva costruire dei dungeon dove creare e mantenere il proprio esercito di mostri,
disseminarlo di trappole e contrastare l’attacco di cavalieri e paladini della giustizia. Ma questa è solo una descrizione sintetica di quello che Dungeon Keeper era in realtà. Dopo Theme Park, anche in questo titolo è parzialmente
presente il concetto di fama, in questo caso del dungeon. Le decine di creature “arruolabili” non si stabilivano nel regno del giocatore fino a quando non vedevano le loro pretese soddisfatte. Ciascun mostro aveva richieste di vario
genere, alcune facili da soddisfare, altre più pretenziose, ma solitamente quello che chiedevano era un’estensione precisa della tana (il luogo in cui riposavano), del nido (dove venivano allevati i polli, unica fonte di cibo) e la
presenza, specificando delle volte la grandezza, di una stanza in particolare, come una biblioteca per uno stregone o di una sala delle trappole per gli orchi. Il giocatore non solo doveva erigere un dungeon dotato di locazioni differenti e
arricchirlo con trappole di svariati tipi, ma anche gestire le creature, le quali avevano una vita abbastanza elaborata dato che mangiavano, dormivano, svolgevano lavori e combattevano. I problemi sorgevano quando non c’erano soldi
per pagarle o quando avevano screzi con alcuni degli abitanti del dungeon. La tristezza e la rabbia di una creatura potevano scaturire da molteplici cause, tanto era complessa l’IA che le governava. Purtroppo anche Dungeon Keeper si allontanò progressivamente dagli obiettivi prefissati da Molyneux. La pubblicazione annunciata per la fine del 1995 sembrò subito impossibile da rispettare, infatti il primo rinvio non tardò ad arrivare e il gioco venne rilasciato nel 1997, senza alcune delle caratteristiche inizialmente promesse: ordini alle creature, ampia personalizzazione del dungeon, assalto dei reami esterni e possibilità di giocare anche con i buoni. Fortunatamente a guadagnarci
fu la grafica, inizialmente più scarna, mentre il resto si confermò comunque ad altissimi livelli. Dungeon Keeper è stato forse il progetto più complesso e di maggior successo di Bullfrog, ma quando fu pubblicato, Peter non c’era giù più: stufo del modo di lavorare di Electronic Arts (riunioni su riunioni) e delle pretese della software house (almeno un gioco all’anno), Molyneux abbandonò nel 1996 la casa sviluppatrice che lo rese tanto famoso. Di lì a poco, un nuovo team di sviluppo vide la luce: Lionhead.
UN PROGETTO BIANCO E
Il titolo più ambizioso di Molyneux. Il gioco più bello mai creato su pc. Queste erano le credenziali di Black & White,
il primo gioco di Lionhead. Quello che Peter voleva, principalmente, erano delle routine avanzatissime di intelligenza artificiale da applicare a dei personaggi, i quali, oltre ad avere una personalità variabile, avrebbero dovuto apprendere e applicare gli insegnamenti forniti dal giocatore. L’idea quindi era quella di
creare un mondo dove vivevano dei popoli, delle creature giganti a cui insegnar
quello che si voleva, e un mago dotato di grandi poteri, poi sostituito con la figura della divinità. Lo sviluppo del gioco iniziò verso la fine del 1997, e naturalmente la prima data d’uscita annunciata per il 1999 fu mancata in pieno.
I motivi del notevole slittamento della pubblicazione del gioco erano molteplici: prima di tutto, le routine di IA che aveva in mente Molyneux e il team di sviluppo, richiedevano molto tempo per essere elaborate. L’engine doveva
essere qualcosa di stratosferico, come del resto lo è stato (tuttavia Molyneux avrebbe voluto una grafica molto più realistica), con un livello di dettaglio altissimo e una telecamera ruotabile e zoomabile a piacimento. Inoltre, Black &
White per molto tempo non aveva avuto una forma precisa, ma era solo una serie
di idee da incastrare. Molyneux aveva perfino detto che fu più volte tentato di cancellare il progetto, comunque, tutto andò per il meglio, o quasi. Black & White divise i videogiocatori, c’era chi lo adorava, chi lo riteneva un buon
titolo rovinato da alcune pecche. Black & White appartiene al filone degli strategici, ma non c’è nessun gioco che si può paragonare o avvicinare a ciò che ha creato Lionhead. Le principali idee iniziali furono mantenute, vale a dire la
figura della divinità (il giocatore), la creatura e il popolo. Lo scopo del gioco era estendere il proprio potere sconfiggendo le divinità nemiche, allevando la propria creatura e facendo prosperare il proprio popolo e la
conseguente schiera di adoratori, ma il bello di tutto questo era che non esisteva un modo giusto o sbagliato per raggiungere un fine. In Black & White ci si poteva comportare da buoni o cattivi, il popolo adorava il suo dio per amore o per paura e la stessa creatura si plasmava a seconda della sua vita e in base
agli insegnamenti del giocatore. Altra caratteristica innovativa, era che non esistevano icone o menù, qualsiasi azione la si eseguiva cliccando e muovendo il mouse. Col cursore a forma di mano, si lanciavano magie (eseguendo movimenti precisi, come se il mouse fosse una bacchetta), si poteva schiaffeggiare le
persone, afferrarle e scaraventarle in giro, anche a distanze lontanissime (divertentissimo, e poi c’erano le grida di dolore), raccogliere oggetti e risorse per depositarli in qualche edificio o utilizzarli come armi. Ma con la
mano si educava soprattutto la creatura (un animale gigante), un essere totalmente indipendente e che mutava atteggiamento tramite tre differenti collari (apprendimento, aggressività e bontà). La creatura era l’attrazione
principale di Black & White, la si doveva allevare ed educare fino alla fine del gioco e per le partite in multiplayer. Essendo un essere vivente, essa dormiva, mangiava, beveva e si divertiva, ma poteva anche essere una fonte d’aiuto per la tribù, raccogliendo ad esempio cibo e legname, oltre che essere un’arma
temibilissima. Ma la creatura potevacombinare anche disastri, ed è qui che interveniva il giocatore. La creatura faceva i suoi bisogni sopra una casa? Allora la si sculacciava o la si schiaffeggiava. Però le si poteva insegnare a
fare la medesima azione sugli edifici nemici, e accarezzarla per farle capire che aveva eseguito un’azione che assecondavamo. Volendo era possibile farla diventare cattivissima, massagiandole la pancia quando afferrava una persona in modo che la mangiasse, oppure educarla a raccogliere pietre e tirarle sulla
gente della propria tribù. L’IA della creatura di Black & White è ancora oggi imbattuta, in grado di regalare immenso stupore a chiunque la veda all’opera, talmente complessa che nemmeno gli sviluppatori erano riusciti a calcolare tutte
le possibili reazioni. Dal punto di vista tecnico, Black & White era qualcosa di fenomemale. Certo, non s’avvicinava neanche agli artwork che avrebbero dovuto rispecchiare la grafica della versione finale, ma si trattava di un engine che oltre a calcolare un’elaborata IA e una fisica degli oggetti molto realistica, consentiva di allontare, avvicinare e spostare la telecamera a proprio piacimento. Gli effetti di luce e i riflessi erano avanzatissimi, e tuttoggi sono molto belli da vedere. Ma i difetti e le promesse non mantenute non mancarono: il gioco uscì portandosi dietro diversi bug, alcuni dei quali piuttosto gravi (l’impossibilità di avanzare di livello in certe situazioni o la perdita parziale di memoria della creatura), ma la pecca più pesante di tutte era la gestione caotica della tribù, che portava ad eseguire ripetitivamente azioni dello stesso tipo. Purtroppo ci si trovava a gestire decine di cose contemporaneamente, come pensare alla creatura, dare ordini ai membri della tribù, creare continuamente legname data la scarsa presenza di alberi, occuparsi del nemico e affrontare side-quest. Andava realizzato qualcosa di più semplice oppure automatizzare alcune funzioni. Le caratteristiche tagliate non furono poche, ma fortunatamente non andarono ad intaccare totalmente la struttura di gioco: originariamente la crearura (che comunque si poteva cambiare mantenendo la mente e tutto quello che aveva imparato), poteva perdere arti e adattarsi a vivere di conseguenza. L’intelligenza artificiale degli uomini doveva essere mooolto più sofisticata: si parlava di adolescenti che si incontravano sulla spiaggia, passeggiavano tra i boschi, si fidanzavano, costruivano la propria casa (in realtà le case dovete costruirvele voi, peccato che non abbiano usato un sistema alla Populous 2), avevano figli, dei lavori, vari generi di divertimenti, incluso il calcio con tanto di campionato, arbitro e regolamento. Ci dovevano essere decine di lavori e decine di classi di personaggi, prostitute comprese. Dovevano essere inclusi personaggi importanti come capi-tribù, feste, disastri naturali e progressi tecnologici. Si era parlato di caratteristiche da gdr con i personaggi che miglioravano le loro peculiarità e che i loro figli avrebbero ereditato il patrimonio genetico dei loro genitori, dovevano essere presenti centinaia di incantesimi, un mondo unico e non diviso in livelli. Immaginate cosa poteva essere Black & White con tutte queste caratteristiche. Il primo titolo Lionhead non rispettò pienamente l’hype, ma si trattò nonostante tutto di un grande gioco, forse non uno dei migliori, ma l’esperienza che offre è così unica che vale decisamente la pena giocarlo.
IL SOGNO PROJECT EGO
Un sogno. Questo era
Project Ego, il gioco sviluppato dal team satellite Big Blue Box col diretto
supporto di Lionhead. Era il 2001 quando Project Ego venne mostrato in tutta la
sua magnificenza: furono comunicate le caratteristiche del gioco, vennero
rilasciate le prime immagini e circolò pure qualche filmato. “E’ il gioco che ho
sognato per anni” disse Molyneux, ed era il gioco che tutti noi desideravamo: un
rpg con ampia personalizzazione del personaggio, sistema d’evoluzione delle
caratteristiche naturale e non tramite menù, intelligenza artificiale
avanzatissima dei personaggi non giocanti e soprattutto un mondo in costante
mutamento, nel quale ogni scelta del protagonista e di qualsiasi altro
personaggio, avrebbe portato a una conseguenza. Lo slogan “For every choice a
consequence” ha fatto sognare l’utenza per anni, ma del progetto iniziale è
rimasto davvero poco.
PROJECT EGO VS
Project Ego: Scelta tra un personaggio maschile o
femminile Fable: si impersona obbligatoriamente un personaggio maschile Project
Ego: La scelta del sesso avrebbe condizionato tutta l’avventura Fable:
caratteristica eliminata per i motivi soprariportati. Project Ego: esplorazione
libera o semi-libera. Fable: l’esplorazione è limitata e strutturata a corridoi.
Project Ego: routine di IA della creatura di Black & White applicate a tutti i
personaggi. Fable: routine di IA nuove e peggiori rispetto a quelle di Black &
White. Project Ego: invecchiamento in tempo reale del personaggio. Fable:
caratteristica mantenuta. Project Ego: Crescita e morte dei personaggi. I
bambini crescono, diventano adulti, hanno figli, muoiono e così via all’infinito
Fable: caratteristica eliminata. Project Ego: memoria dei personaggi duratura.
Se per esempio il protagonista o un’altra persona uccideva il fratello di un
bambino, quest’ultimo una volta cresciuto si sarebbe vendicato sul personaggio
principale o su un altro responsabile degli omicidi. Fable: caratteristica
eliminata. Project Ego: apprendimento di mosse e gesti da altri personaggi.
Fable: caratteristica eliminata Project Ego: matrimonio con donne o uomini.
Fable: caratteristica mantenuta. Projecet Ego: possibilità di avere figli.
Fable: caratteristica eliminata. Projecet Ego: presenza di tante città e
villaggi. Fable: presenza esigua di città e villaggi. Project Ego: generatore di
eventi, sia di piccole che grandi proporzioni. Fable: caratteristica eliminata.
Project Ego: mondo che si evolve in tempo reale. Fable: caratteristica
eliminata. Projecet Ego: decine di classi di personaggi, come taglialegna, ladri
e pescatori. Fable: caratteristica mantenuta in minima parte. Project Ego:
main-quest che si termina tra le 25 e le 30 ore. Fable: main-quest che si
conclude in una decina di ore. Project Ego: gli altri eroi del gioco possono
precedere il giocatore nel completamento di alcune missioni. Fable:
caratteristica eliminata. Project Ego: possiblità di piantare alberi e piante e
vederli crescere nel tempo. Fable: caratteristica eliminata. Project Ego:
possibilità di tatuarsi e di cambiarsi il taglio dei capelli. Fable:
caratteristca mantenuta. Project Ego: generatore di quest. Fable: caratteristica
presente in minima parte. Projecet Ego: multiplayer. Fable: caratteristica
eliminata. Project Ego: caratteristiche dell’eroe che si evolvono in maniera
graduale e non tramite menù e punti da distribuire. Fable: caratteristica
eliminata. Project Ego: aspetto fisico del personaggio principale che mutua in
tempo reale ed in base all’allineamento. Fable: caratterisitca mantenuta.
Project Ego: cicatrici che si formano in tempo reale. Fable: caratteristica
mantenuta. Project Ego: storia ed eventi differenti per ogni partita. Fable:
caratteristica presente in minima parte. Project Ego: gestualità del
personaggio. Fable: caratteristica mantenuta. Project Ego: esibizione dei propri
oggetti. Fable: caratteristica mantenuta. Project Ego: commenti degli altri
personaggi sul protagonista. Fable: caratteristica mantenuta.
NON TUTTE LE FAVOLE HANNO UN LIETO FINE
Il rammarico per
ciò che doveva essere Fable è forte e solo un sequel potrà cancellarlo. Il Fable
che è uscito non solo non è lontano parente di Project Ego, ma non è neanche il
Fable di un anno fa, si tratta di un altro gioco ancora, che include pochissime
delle feature annunciate tre anni fa. Ma come Black & White, Fable è
un’esperienza unica, non si tratta di un capolavoro, ma è comunque un gioco di
ottima qualità, che per quanto sia privo di feature presenti in altri gdr, ne
vanta alcune totalmente inedite che dovrebbero essere presenti in tutti i futuri
titoli del genere. In tutti i gdr che ho giocato mi chiedevo perché non avevo
l’opportunità di fare gesti o mostrare degli oggetti, cosa che in Fable si può
fare, oppure perché i personaggi non avevano un’IA che permetteva loro di avere
un barlume di vita. In Fable addirittura si vedono i negozianti riporre e
risistemare la loro merce nelle bancharelle a seconda di quando chiudono o
riaprono. Tuttavia, l’IA di Fable ha due faccie: da una parte la vita dei
personaggi, non particolarmente elaborata e lontana anni luce da quella
promessa, ma sufficiente per farli sembrare vivi; dall’altra la stupidità e
l’incoerenza delle loro reazioni. Per esempio, avevo concluso una missione
salvando tre persone dall’attacco di alcuni insetti giganti, le quali mi hanno
applaudito per il grande gesto compiuto. Ma per loro sfortuna, avevo deciso di
farli fuori, così ne ammazzo uno a colpi di katana, ne uccido un altro sempre
con la katana, e poi decido di gustarmi la reazione dell’ultimo superstite.
Urla, grida e suppliche, ma non scappa, corre senza un senso preciso. Iniziai a
ruttare e a produrre peti, e il tizio iniziò a insultarmi. Poi mi misi a
ridacchiare e mi diede del mattacchione. Ma come? Ho ucciso due tuoi amici, e
poi con qualche piccola azione passiamo il tempo assieme? Al di là delle
promesse di IA rivoluzionaria, l’intelligenza dei personaggi di Fable si mostra
inferiore persino ad altri gdr più vecchi. Continuando a soffermarsi sulle
pecche (poi arriveremo ai pregi, naturalmente), ci si chiede come mai il livello
di difficoltà sia estremamente basso. Terminare il livello d’energia in Fable è
quasi impossibile e l’unica vera sfida viene proposta dalle possibili scommesse
effettuabili per ciascuna missione,ad esempio finire una quest senza nessun
graffio oppure senza armatura e proteggendo un personaggio. Le missioni hanno
comunque una struttura molto rigida, che stride terribilmente con l’Every Choice
A Consequence riportato sulla confezione, che ricorda molto il Real Driving
Simulation della serie GT. Non portare a terminare una quest, significa dover
necessariamente ripeterla fino a quando non la si conclude. L’area di gioco si
estende su una stretta superficie, limitata tra l’altro da barriere che non
consentono un’esplorazione libera; a ciò si aggiungono poi i tantissimi e
snervanti (dai sei agli otto secondi) caricamenti, spesso incomprensibili.
L’ultimo pecca pesante, è la bassissima quantità di villaggi, tra l’altro di
dimensioni assai minute. Fortunatamente, Fable non presenta solo lacune, ma è
contraddistinto da interessanti side-quest (peccato che alcune siano state
tagliate), una personalizzazione dell’eroe pressochè totale (ci sono diversi
tagli di capelli, tantissimi tatuaggi e armature, molte armi sia da mischia che
da corpo a corpo, magie...), un sistema di commercio inappuntabile (in ogni
trattativa con i mercanti, si possono vedere oltre al prezzo di acquisto e di
vendita, anche il profitto o la perdita in modo da evitare fregature),
l’acquisto di ville da dare anche in affitto, tanti segreti, la possibilità di
sposarsi anche con più donne e volendo anche con uomini, un ottimo impatto
visivo del gioco e un’atmosfera davvero fiabesca, la forte varietà della flora,
eccellenti musiche, l’opportunità di pescare, inoltre ci sono i pregi già
descritti all’inizio di questo pezzo. Fable dovrebbe essere giocato da tutti gli
amanti dei gdr perché, al di là di tutto, è un ottimo titolo, dotato di
un’atmosfera particolare e di alcune caratteristiche uniche. Per tutte quelle
cose che non sono state messe, c’è sempre Fable 2, che probabilmente non vedremo
su Xbox ma sulle console della prossima generazione.
LE ULTIME PAROLE
Gli sviluppatoriFAMOSE
avrebbero tentato di realizzare i desideri dei giocatori sulle caratteristiche
da inserire nel gioco. Dichiarazione di Sam Carter nel 2001: “Abbiamo sentito
diversi commenti su Project Ego, persone che dicono che è troppo bello per
essere vero. Vogliamo che ogni giocatore abbia un personaggio unico e che
qualsiasi decisione o azione abbia effetto sia sul mondo che sulla fama e sul
fisico del personaggio. Vogliamo concedere al giocatore una libertà mai vista
prima e che si diverta qualunque cosa faccia. Se cè una cosa che pensiamo non
sia divertente, non la inseriremo.” 2001, Peter Molyneux: “Il mondo si evolve in
continuazione, indipendentemente da quello che il personaggio fa o non fa”.
2001, Peter Molyneux: “Potrete segnare le vostre iniziali su un alberello, e
dopo anni, vedrete l’albero cresciuto e le iniziali ancora segnate.” 2002, Peter
Molyneux: “Project Ego sarà l’rpg più bello di tutti i tempi”. 2002, Peter
Molyneux: “Sono dieci anni che desidero creare l’rpg dei miei sogni. Gli rpg del
passato hanno sempre avuto diversi problemi. In Project Ego voglio inserire
tutte quelle cose che ho sempre cercato in questo tipo di giochi.” 2002, Peter
Molyneux: “Le cose che succedono in Project Ego non si sono mai viste in nessun
altro gdr.” 2003, Angus Syme: “Aiutando o facendo i carini con una ragazzina,
dopo alcuni anni questa sarà cresciuta e potrà nutrire dei sentimenti nei
confronti del protagonista”. 2003, Peter Molyneux: “Potrebbe essere il gioco più
bello mai creato”. 2003, Dene Carter: “Non c’è nessuna regola per il giocatore”.
2003, Angus Syme: “Ci sono diversi eroi rivali nel gioco, ognuno con un proprio
allineamento, e potranno essere vostri nemici o amici, perfino aiutarvi nei
combattimenti.
CURIOSITA’ SU PETER MOLYNEUX
Giochi preferiti. Civilization 2: “Il gioco che ho maggiormente
giocato.” Civilization: “Il secondo gioco che ho maggiormente giocato.” Ultima
Online: “Ho moltissimo rispetto per questo titolo.” Quake: “Ci ho giocato
tantissimo”. Total Annihalation: “L’evoluzione dei titoli alla Command &
Conquer.” Max Payne 2: “Mi è piaciuta la storia e il gameplay.” GTA 3: “E’ la
riproduzione di un mondo. Non si può neanche farlo rientrare in un genere.”
Advance Wars 2: “Può competere con i migliori strategici dotati di un’ottima
grafica”. Prince Of Persia: Sands Of Time: “Mostra cosa può essere la prossima
generazione di console”. Titoli futuri a suo parere più interessanti. “Halo 2,
Wanda To Kyozou e qualsiasi altro gioco originale.” Pensiero sulle console della
prossima generazione. “Credo che permetteranno di creare mondi virtuali
indistinguibili dalla realtà.” Giochi sviluppati nel passato dei quali vorrebbe
realizzare un remake. “Populous, questo lo voglio proprio fare. Ma mi piacerebbe
realizzare anche un remake di Syndicate.”
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