I Gettonati: Un'estate in sala giochi

Un rapido tour virtuale tra i cabinati di una delle sale giochi italiane sopravvissute all'incessante avanzare delle mode e del tempo.

I Gettonati: Un'estate in sala giochi
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Sale giochi. Luoghi che, a parlarne oggigiorno nelle grandi città dello stivale, sembrano far parte di un mondo antico, cristallizzato nella memoria di molti "trenta-e-oltrenni", quasi mitologico per quanto estraneo ai costumi delle nuove generazioni. Come le tendenze del nostro intrattenimento prediletto siano cambiate e ancora, costantemente continuino a mutare lo sappiamo tutti molto bene, e ormai ogni giorno, di tale progresso, possiamo esaminarne e coglierne i frutti preziosi grazie alla capillarità della rete e alle nuove possibilità di condivisione dalla distanza. Ed è vero allo stesso modo che qualche sana consuetudine, inevitabilmente, sia sfumata nei meandri del tempo. In quanti possono dire, oggi, di esser soliti uscire di casa per recarsi nel proprio Paese dei Balocchi di fiducia, scambiare qualche banconota con una manciata di strane monete scanalate, inserirne di prepotenza una o due nel coin-op della vita e iniziare a dar prova della propria maestria? Magari, perché no, con attorno un drappello viepiù folto di sconosciuti in modalità "tifo indiavolato"? Che era poi, negli anni Novanta e prima ancora, una costante di molti - giovani e non - in particolare durante le vacanze estive, quando passare ore su ore tra Cadillacs and Dinosaurs e Metal Slug era pratica comune tanto quanto bighellonare in riva al mare o sfogliare un qualsiasi magazine/fumetto/libercolo sotto l'ombrellone. Lo era almeno per il sottoscritto, ospitato dai parenti ogni benedetto agosto nei sempre allegri Lidi Ravennati, salvo poi crescere e variare lentamente abitudini e mete di viaggio; il cambiamento, sempre lui. Proprio quest'estate, dopo tanti anni, mi è capitato di farci una nuova, rapida capatina, constatando con un certo stupore che molte di quelle oasi dello svago partecipato resistono con fierezza al cambio culturale. Da qui l'idea di accompagnarvi virtualmente in uno di quei luoghi dalle mille luci catodiche e dall'infinito intreccio di effetti sonori, dove ai primi amori in forma di cabinato, oggi, si affiancano creature fagocita-monete nuove o suppergiù, comunque non meno meritevoli di essere domate almeno una volta nella propria carriera di videogiocatore. Ma basta con gli indugi: inseriamo il primo gettone.

I bullissimi

Perché il gettone, per chi non lo sapesse, è il lasciapassare privilegiato senza il quale l'incanto, in questi sacrari del gaming fuori sede, semplicemente non scatta. A meno che non ci si accontenti di spendere direttamente i propri eurini tintinnanti alle macchinette arraffa-pupazzi, manovrando un Artiglio di "toystoryana" memoria sempre più debole e svogliato stagione dopo stagione - ma questo è tutt'altro discorso. Dicevo: si parte con un gruzzolo di gettoni. Nel mio caso, dieci euro per venti pezzi: poi si vedrà. Volto le spalle alla cassa e lo spazio che mi appresto a varcare, di metratura generosa, mi è subito familiare. È insomma un potpourri ludico dove si può trovare un po' di tutto. Non essendo il mio obiettivo del momento, scanso a malincuore un po' di giochi "screen-free" come quello dei tiri a canestro a tempo, i flipper - per inciso, mia personalissima passione - e gli intramontabili tavoli per l'air hockey. Sosto qualche secondo soltanto davanti al Whack-a-Mole, uno dei miei passatempi preferiti di quando ero moccioso, basato sul dover picchiare un martellone in testa alle talpe di gomma che, dal fondo di un cassone meccanico, emergono dalle buche in esso scavate a intervalli irregolari. Per la verità, la voglia di vorticare un po' le braccia si fa sentire proprio come ai vecchi tempi, ma, sfoggiando oramai qualche capello bianco in più rispetto ai miei esordi novantini, sposto lo sguardo verso una bestia da gioco decisamente più invitante. Magari lo conoscete già, Fighting Mania: Fist of the North Star. In caso contrario, si tratta di un colosso arcade targato Konami di oltre duecento chili, con un televisore incastonato all'interno e sei robusti cuscinetti semoventi montati ai lati dell'incavatura, nell'ordine di due colonne da tre cadauna. Il gioco mette in scena gli scontri con i più importanti avversari della prima stagione di Kenshiro ai quali il giocatore, nei panni di Ken, dovrà dare il benservito a suon di poderosi cazzottoni. E non in senso figurato. Si diceva dei cuscinetti, giusto? Questi fuoriescono dal cabinet a intermittenza, si accendono di una luce rossa e in quell'istante, in quell'esatto istante bisogna colpirli con dei pugni ben assestati. Né prima, né dopo, pena il subire dei danni che portano progressivamente al fallimento. Si tratta insomma di lunghi QTE sui generis, al termine dei quali scatta un orgasmico "atatatatatata" contro i punti di pressione dell'altro lottatore e la conseguente esplosione a video del suo testone deformato. L'esperienza, un allenamento di boxe in salsa anime, suggerisce anche l'utilizzo di un paio di guantoni in gomma dura, saldamente legati alla struttura. Fate un favore alle vostre nocche, e usateli. Passo oltre, senza però aver saziato del tutto il mio fin troppo a lungo sopito desiderio di spacconerie elettroniche.

Una forza invisibile mi spinge verso l'angolo dei corsistici, genere che non mastico ma che non posso certo ignorare al trovarmi dinanzi una postazione come quella di 18 Wheeler: American Pro Trucker. Che è poi la riproduzione dell'abitacolo di un autocarro rosso fiammante, con tanto di seduta spaziosa, pedali per l'accelerazione e la frenata e leva del cambio, compresa retromarcia - che mai e poi mai sfrutterete. E poi il volante: grosso, grossissimo, da far impallidire quelli di tutti i cabinati confinanti. Il titolo in sé, a dire il vero, non è nulla di eccezionale; un "simulatore di camionista" in prima persona sviluppato da SEGA che è poi una gara a tempo da un capo all'altro degli States, dove la guida del suddetto animale a diciotto ruote restituisce piuttosto il feeling di una corsa su un'automobilina vagamente più lenta e ingombrante del normale. E nondimeno l'idea di svicolare in maniera maldestra nel traffico autostradale come se niente fosse, quasi si trattasse di un Fast & Furious imbolsito, potrebbe anche rivelarsi una discreta fonte di ludibrio. Soprattutto per chi dovesse assistere alle vostre gesta scellerate.

Da action hero ad aspirafantasmi

Oggi più di ieri, una sala giochi non è tale senza un buon campionario di shooter con le light gun, che, dal canto loro, vegetano tra queste mura che è una meraviglia. Perché sì, il gaming casalingo ha avuto le sue belle soddisfazioni con le G-Con e qualche altra periferica sparacchina, ma lo spasso da cabinato, meglio se spalla a spalla con un amico, è ancora, semplicemente impareggiabile. Guardandomi intorno mi compiaccio nel notare che i vecchi leoni di questo genere sono ancora al loro posto.

Point Blank, il mio preferito in assoluto, è purtroppo malconcio, con i grilletti delle pistole fin troppo massacrati dalle manacce dei pistoleri più irruenti. A malincuore rinuncio quasi subito al folle tirassegno dei dottori Don & Dan a favore del più serioso Time Crisis II, la cui macchina versa invece in condizioni decisamente migliori. Ovviamente il colpo d'occhio non è più à la page, ma l'inseguimento in motoscafo della prima missione è adrenalinico esattamente come lo ricordavo, e in generale il gioco scorre molto bene. Non ricordavo invece che, affinché il personaggio possa uscire dalle coperture, chi gioca debba premere un pedale posto sul fondo del coin-op, il che giustifica la presenza di uno sgabello per sedersi, cortesia dei gestori. Vengo infine fatto fuori da un infame nemico lancia-coltelli, e decido di riporre la pistola per imbracciare l'aspirapolvere. No, non sono impazzito, e il locale è anche più pulito di quanto si possa pensare: semplicemente, ho scorto un cabinato irradiato di un verde brillante che raffigura un volto che definire conosciuto pare riduttivo. Luigi's Mansion Arcade, signori. Ero completamente all'oscuro del fatto che Nintendo avesse dato il via libera a Capcom per realizzare una versione FPS di Dark Moon, il capitolo per 3DS della serie. Eppure ce l'ho davanti, mi introduco nella sua struttura al neon senza esitazioni e ciò che vedo mi scalda il cuore. Due riproduzioni dal vero del celebre Poltergust 5000 sono lì pronte all'uso, bizzarre armi di plastica a due mani con soltanto un grilletto e un bottone rosso posizionato in alto, poco prima della bocchetta. Adoperare o meno tale pulsante, che serve ad accecare i fantasmi prima di risucchiarli (proprio come nella serie regolare), dipende dal livello di difficoltà selezionato, per cui in Easy Mode l'azione viene inibita a favore dell'aspirazione da trigger dura e pura. Il resto è il solito setacciare la magione infestata dagli spettri burloni, in una rilettura di gameplay, però, che prevede una progressione in soggettiva su binari con qualche percorso a bivio e perfino delle boss fight adattate da quelle dell'episodio portatile. Tra ectoplasmi di diversa razza e resistenza, un grafica assolutamente in linea coi canoni del marchio e tante situazioni prese di peso dal videogame fratello, tutto grida al migliore dei fanservice, sublimato dall'utilizzo di un modello di light gun mai così vistoso e stravagante, oltretutto dotato di sensori di movimento per seguire i fantasmi quando agganciati attacco dopo attacco. Una mamma e due bambini mi guardano spazientiti - non c'è più il pubblico di una volta! -; mi sparo qualche altro gettone, giusto per dispetto, e poi mi sposto nel pancione di Bumblebee. Esatto, l'Autobot giallo.

Perché la versione "Theatre" di Transformers Human Alliance è in effetti un gigantesco Bumblebee cavo nel cui ventre, davanti allo schermo di gioco, possono accomodarsi fino a due utenti e imbracciare ciascuno una torretta spara proiettili per fare piazza pulita di Decepticon in giro per il globo. Sempre su binari, sempre in prima persona, il gioco alterna lunghe sessioni votate al fuoco libero incontrollato a fasi in bullet time dove è d‘uopo crivellare i punti sensibili degli avversari, e che talvolta richiedono la pressione tempestiva di un pulsantone fisico posto a lato della propria arma. In un'altra circostanza avrei avuto qualcosa da ridire su un frame rate che delude negli istanti di frenesia più spinti. Ma i tecnicismi non fanno parte dello spirito di qui, e la verità è che il titolo galvanizza quanto dovrebbe, molto immersivo grazie al suo pannello LED da 55 pollici e un'arma resa particolarmente coatta dal suo possente rinculo. Insomma, se il fracasso de L'ultimo cavaliere cinematografico non vi è bastato, Human Alliance potrebbe rappresentare un ottimo rabbocco alla vostra restante sete di robottoni.

Continue?

Cala il buio, e l'aria salina locale si mischia ai profumi tipici della cucina romagnola. È tempo di riempire lo stomaco, e l'essere rimasto con un solo gettone in tasca certamente aiuta ad accettare il Game Over definitivo. Si tratta solamente di capire a cosa concedere l'ultima partita. Dopo tante bellezze scenografiche scelgo di puntare a un coin-op più tradizionale. L'angolo dei beat'em up mi tenta parecchio: c'è roba su licenza carina come The Simpsons e Hook, sebbene la mia speranza sia quella di ritrovare l'Asterix di Konami, personalissima droga infantile. Se ne sono disfatti anni fa, mi dicono.

Vago tra gli sportivi, quasi cedo alle lusinghe di Virtua Tennis II, ché di tennistici, ormai, non ne gioco più da secoli, quando l'occhio mi cade su un ammasso di cabinati collocati in disparte. Dentro alcuni di questi è installata la storia del videogioco: Tetris, Arkanoid - con tanto di manopola al posto dello stick - e poi il mio favorito, Super Mario Bros. Che vince il mio ultimo gettone, a mani bassissime. È una botta incredibile. Un po' perché il gioco, seppur anzianotto, rimane ai miei occhi di una bellezza abbacinante, nonostante la palette cromatica un po' sballata dell'arcade che mi è capitato sottomano. Un po' perché il livello di sfida si fa subito sentire, acuito da una difficoltà nella gestione dei salti tramite levetta e pulsanti attigui a cui, ormai fedele ai controller di casa, mi sono del tutto disabituato, tanto da morire malamente dopo una manciata di stage. Finisco col chiedermi quali siano i motivi per cui un cabinato così vintage, sicuramente meno appariscente di tanti altri presenti, sia ancora al proprio posto dopo tutti questi anni. Se poiché, allo spoglio delle monetine, le avventure dell'idraulico ad 8-bit, tutto sommato, risultino ancora gettonatissime. Oppure se per semplice riverenza verso un prodotto che è stato parte importante della storia di questo business. Tenuto lì a dimostrare che, se anche il tempo e il cambiamento avanzano inarrestabili, in luoghi come questo, in fin dei conti, non hanno poi tutta questa fretta.

E voi? Vi capita ancora di andare in sala giochi? E quali sono, o sono stati, i vostri cabinati preferiti? Se vi va, raccontateci le vostre esperienze più significative - recenti o passate - nei commenti.