Speciale Killzone! Stories

Leggi il nostro articolo speciale su Killzone! Stories - 1330

Speciale Killzone! Stories
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    Nella settimana che è seguita all'annuncio di un concorso su Killzone la redazione di Play2eye ha ricevuto molti racconti. Selezionare i vincitori del Contest è stata un'opera piuttosto ardua: di fronte ad una tematica svalutata dall'odierna situazione mondiale i lettori di Play2eye hanno saputo mostrarsi sensibili e saggi. Del resto, le tematiche che permeano gli scritti dei concorrenti, vuoi per naturale visione del fenomeno guerra, non possono che seguire un filo conduttore comune. Eppure in ogni racconto inviato si trova uno spunto originale, un istinto alla sopravvivenza fra i tanti.
    Così si può apprezzare il distacco giornalistico e inflessibile senza commenti (espliciti) di fronte all'orrore, nel puro piacere di raccontare. O, altrove, riferimenti storici, e ancora allegorie inconsuete ma perfettamente funzionali. Di più, lo stile impeccabile della narrazione esasperata, che segue la marcia forzata della morte e del conflitto. La perdita della speranza, dell'identità, della fiducia, della volontà d'animo. Di tutti quei valori, insomma, che la guerra da sempre e per sempre tenderà a distruggere.

    Ovviamente è stato necessario assegnare i premi soltanto ai quattro migliori racconti, ma la redazione di Play2eye vuole comunicare a tutti i partecipanti la grande conquista a cui hanno partecipato in prima persona e la cultura di spirito che ognuno ha dimostrato.
    Questo speciale spera di provare come persino un videogioco possa ispirare emozioni forti e possa far riflettere chi ha tempo e volontà.
    E' piacevole pensare che un'iniziativa del genere -o un gioco del genere- abbia risvegliato tutto quello che avete scritto.
    Da questo punto di vista i premi sono più che meritati, così come la visibilità che vogliamo dare a questo speciale vero e proprio, come mai ci saremmo aspettati di poter realizzare.

    Ovviamente la redazione aspetta i commenti degli utenti (Link@Play2eye.it), sperando di poter realizzare nuovamente iniziative del genere al di là dei premi a disposizione.

    Buona Lettura a tutti.

    Mr. The Fly

    01:07 del 13 Maggio, incrocio tra Indipendence Boulevard e Golden Lion Lane.
    7° Piano dell'Armstrong Building, appartamento 4, Scala C2.

     
                Il rumore fu assordante e, nonostante il sonno pesante, John Morgan si svegliò di soprassalto. La terra aveva persino tremato. Se ne rese subito conto. I vetri della finestra erano in frantumi. Le orecchie fischiavano. Accese la luce sul comodino, si mise gli occhiali e cerchò di schiarirsi le idee. La prima cosa che gli venne in mente fu il terremoto; il sessantunenne dottore in penumologia non fece caso che quella zona di Vekta non era particolarmente soggetta ad eventi di natura sismica, e un terremoto era l'unica cosa che gli sembrasse plausibile. Si alzò a fatica dal letto, indossò una vestaglia leggera, prese le chiavi di casa dal piccolo mobile in legno del salone e uscì dall'appartamento. Mentre si avviava verso le scale sentiva diverse porte aprirsi. Altri, come lui, pensavano che la cosa migliore da farsi fosse scendere in strada. Quando arrivò in Golden Lion Lane non capiva perchè tutte le persone correvano in direzione Nord su Indipendece Boulevard. Alzò lo sguardo è capì. Le fiamme erano alte e si riflettevano nella volta del cielo notturno. Corse verso la strada principale e dopo aver svoltato l'angolo si rese conto di quello che era successo. L'imponente edificio nel quale erano situati gli uffici dello Stato Maggiore dell'Esercito dell'ISA era completamente sventrato. Le fiamme uscivano vigorose dalle finestre, i veicoli vicini incendiati, persone giacevano insanguinate sull'asfalto. Alcune chiedevano aiuto, altre piangevano. Lo spettacolo era raccapricciante. Per un attimo il Dottor Morgan rimase immobile. Non capiva cosa fosse successo. Semplicemente non capiva. Sicuramente un incidente.
    D'istinto si avviò verso l'edificio sventrato, come medico sentiva il dovere di aiutare chi ne aveva bisogno. Le grida si facevano sempre più forti. Qualunque cosa fosse successa, probabilmente un'esplosione, anche gli edifici vicini erano stati coinvolti. Quand'era ormai in prossimità dell'imponente palazzo di dieci piani, in cemento armato, sentì un ronzio proveniente dall'alto. Dapprima era difficilmente distinguibile, tra le grida e i lamenti, ma in seguito divenne più forte e distinto. Dal buio della notte uscirono tre apparecchi volanti, simili a quelli sui quali aveva lavorato, anni prima, quando prestava servizio come volontario per le emergenze. Erano però più grandi, più scuri e decisamente poco rassicuranti. Fu sorpreso da come i soccorsi fossero giunti in fretta. Quasi orgoglioso. Non ricordava però che quel genere di apparecchi fossero dotati di fari, i quali adesso erano puntati verso il suolo. I fasci di luce, quattro per ogni veivolo, si muovevano nervosamente come a scandagliare il suolo sottostante. Mentre si copriva gli occhi dalla polvere, si chiese come mai aspettassero tanto ad atterrare e rimase assolutamente stupido quando vide degli uomini calarsi attraverso delle funi. Se erano infermieri, pensò, le cose erano molto cambiate dai suoi tempi. Molti, come lui, stavano fissando i veivoli e le persone, vestite con delle tute simili a quelle dell'esercito, che scendevano da essi. Il Dottor Morgan rimase incredulo e immobile quando vide che erano armati. Non erano infermieri, non erano medici, non erano volontari. Erano soldati con strani visori notturni che velocemente si avviavano verso l'edificio in fiamme.
    John non poteva sapere che si dirigevano verso il cuore dell'edificio: il sottosuolo. L'edificio era stato attaccato con bombe dotate di un gel altamente infiammabile, simile al Napalm, che però non lesionava la struttura portante in maniera decisiva. Questo lasciava ancora qualche minuto prima che la struttura implodesse a causa del calore.


    01:45 del 13 Maggio, Deserto sabbioso del Nord
    Galleria 36/C, diramazione W della Cava di Uranio a 24km dal Rio da Morte
                Sam Scott e la sua squadra camminavano ormai da diversi minuti. La cava di Uranio, fondamentale per la sussistenza energetica dell'intero pianeta, era gigantesca. Niente di simile era mai stato costruito. Oltre al classico cratere superficiale, simile a quello delle cave di rame, nel sottosuolo erano stati scavati, nel tempo, numerosissimi tunnel. Neanche i più importanti apparati militari sotterranei arrivavano a coprire una tale superficie e, soprattutto, una tale profondità. Un presidio di circa trenta ambientalisti stazionava permanentemente vicino i cancelli di ingresso.
    La squadra H, addetta al manutenzione dei generatori sotterranei era a circa 840 metri sotto il livello del suolo, erano stati mandati li per controllare un guasto che impediva il regolare svolgimento delle operazioni di estrazione in tutto il lato Ovest. Tutto il personale era stato evaquato per motivi di sicurezza. Le perdite economiche erano incalcolabili. Zhang Yushu, ingegnere elettronico, aiutava Sam Scott nel decifrare la cartina che appariva sul sofisticato palmare del suo capo. Gli altri due membri del gruppo, anche loro ingegneri, erano intenti a preparare i computer che dovevano essere poi collegati al sistema centrale. Erano quasi giunti in prossimità del generatore guasto quando un rumore sordo e prolungato giunse alle loro orecchie. Un attimo dopo la terra tremò, le poche luci di emergenza si spensero e la galleria si riempì di polvere. "Oh cazzo!" esclamò, incurate di essere vicino al suo superiore, il giovane Freddie Curran. "Oh mio Dio, che diavolo è successo?". Sam Scott non aveva idea, ma non poteva lasciare che il gruppo si lasciasse prendere dal panico. "Una scossa di terremoto" disse con tono sicuro mentre accendeva la torcia elettrica. Lo stesso fecero gli altri membri del gruppo. Zhang Yushu, con mani tremanti, raccolse il palmare che era caduto nel momento in cui la terra si era mossa. Cercò di mettersi in contatto con il centro di comando di superficie, così come prevedeva il manuale. Ma non c'era segnale. Yushu non aveva mai visto quel palamare segnalare l'assenza di segnale. "Scott" disse, "non c'è segnale... è assurdo. E' impossibile". Qualcosa era successo. Qualcosa di molto più grave di un terremoto. Yushu iniziò a tremare, ma sarebbe sicuramente svenuto se avesse saputo che il più potente ordigno, non nucleare, in possesso delle odiate truppe Helgast era appena esploso nel deserto sopra le loro teste. L'esposione della bomba da quasi 2 megatoni, contrassegnata dal codice di identificazione KR-45/Q, aveva distrutto e polverizzato ogni forma di vita, nonchè edificio, presente sulla superficie. Aveva creato un cratere largo quasi un chilometro, profondo 250 metri. Nessuno, al di fuori dell'equipaggio che aveva sganciato la bomba e della squadra H era sopravvissuto.


    02.35 del 13 Maggio, Johnson Hospital
    Piano Terra, Accettazione e Controllo Veicoli d'Emergenza
    Fino a quasi due ore prima era stata una serata normalissima. L'esplosione in Indipendece Boulevard però aveva messo in moto gli addetti al primo intervento del non lontano Johnson Hospital. Due veivoli del pronto intervento erano decollani sette minuti dopo l'esplosione. I reparti di radiologia e  ortopedia erano stati allertati. Tutto era anche pronto per soccorrere gli ustionati.
    Dopo quasi mezz'ora, circa 178 persone erano state portate d'urgenza all'ospedale. Per 35 di loro non c'era stato nulla da fare.
    Quando Alison Borden, la responsabile per quella notte, sentì il telefono squillare per l'ennesima volta non aveva idea di cosa stesse per sentire.
    Roger Reid, nella stanza affianco, si dondolava sulla sedia mentre controllava, anche se violando le norme, la propria casella e-mail. Il suo compito, per quanto riguardava l'emergenza era terminato: ora era tutto nelle mani dei medici e degli infermieri. Improvvisamente Alison spalancò la porta e iniziò a gridare: "Chiamali tutti! Sbrigati sbrigati! Chiama i medici! Svegliali!", Roger di scatto si alzò dalla sedia e raggiunse la collega, cercando di fermala e di farsi spiegare che diavolo fosse successo. "Hey Ali, ma che stai dicendo? Che diavolo succede?" - "Hanno chiamato..." cercò di dire mentre tremava - "Chi? Chi ha chiamato" - "Non lo so, quelli dell'esercito... stanno attaccando Roger, è un attacco!" - "Ti senti bene Ali? Sei sicura che..." - "Per Dio Roger! Chiama tutti i medici... chiama tutti quelli che sono ancora vivi!".

    CRS

    Un eco: ciò che troppi ripetono sono solo echi lontani di voci che non sono le loro... ed io che pensavo essere una vera voce... sono solo un altro eco...Ma ormai sono in ballo, balliamo allora questo Waltzer, diamo fondo alla musica, appassionati suoniamo, tra mortifere pause di stacco, ponderiamo quando, quanto vale essere una fugace nota di un pentagramma che sarà letto e suonato una sola ed unica volta... vale la pena esserci? Quanto costa questa melodiosa sinfonia di arroventati bozzoli di metallo aureo, potranno mai ascendere agli orecchi dei posteri? Potranno i letali ventagli di morte irradiati dalle frequenti deflagrazioni segnare qualcosa di più che i brandelli sanguinolenti di pedine sacrificabili?Ora la musica cambia, sembra un Tango, veemente, incalzante nella sua indefessa marcia trionfante, galvanizza i più giovani, fa temere i più savi, ma il clangore delle corazze nere offusca la visione di un domani diverso, e allora, come automi, come bemolli inerti nella tastiera del destino ci viene intimato di suonare anche questa melodia di oscuro e pomposo presagio di vittoria.Ma dov'è la lirica che appartiene a questa musica? Non c'è lirica né possessore, nessun compositore avrà l'ardire di rivendicare la potestà di quest'orrore. In futuro nessuno ricorderà le vermiglie lacrime cadute su questo arroventato pianeta, né da quali occhi esse sono sgorgate, se rossi o di altro colore, nessuno saprà la verità... tutto sarà dimenticato e sepolto sotto le spoglie di una storia narrata dal demagogo di turno, che racconterà disimpregnata la "vera" storia di questa stella errante... è ilare che gli antichi non avendo cognizione dell'esistenza di questi particolari astri li identificassero nelle loro nozioni come "pianeti": il cui significato è: stelle erranti.Ilare pensare che proprio come una stella errante anche noi, spettatori di un conflitto non nostro, dobbiamo percorrere in modo coercitivo un'orbita che non ci appartiene, legati ad una causa che irrompe nella nostra volontà, privandoci di tutto quello che fa di un essere qualcosa di grande, di luce riflessa ormai brilliamo, per un atttimo, prima di spegnerci lentamente, prima di piegarci all'ineluttabile desiderio di un volere altrui... Non diverrò una stella errante anch'io... forse è meglio smettere di suonare questa melodia che non m'appartiene, ascolto un attimo il silente riposo della pausa... tutto svanisce... ora sono libero... non sono più legato... non c'è più orbita, né luce, né cammino preordinato che mi lega indissolubile a Helgar... la stella errante a cui devo qualcosa... ebbro del purpureo liquido vitale che scorre in me... continua la sua corsa... chissà dove... chissà perché... chissa chi lo ha imposto a lui... ma io... smetto qui.L'eco ridondante dello sparo di precisione si disperse nell'ambiente... "Uao! Hai visto che colpo?" "Ma se è venuto fuori come un'idiota! Facile così! C'è qualcun'altro?... Ehi! Dico a voi la fuori! C'è qualcun'altro?" "Stupidi autoctoni..."

    WIS

    Il silenzio della guerraRiprendo conoscenza. Solo, tra la polvere, in un silenzio irreale. La bocca secca ha lasciato evaporare anche l'ultima goccia di saliva, sperando di raffreddare una temperatura corporea in costante scalata verso la vetta che una volta oltrepassata lascerà il posto all'inevitabile declino verso l'oblio.

    Mi guardo intorno, non so quanti miei compagni siano morti in questa guerra senza senso, quanti amici siano stati spezzati dalle incandescenti e dorate pallottole nemiche. Quando penso ai loro sguardi spaventati, alle loro grida lancinanti, al febbrile tentativo di restare aggrappati alla vita che è stata loro strappata via... No, non c'è gloria nella guerra, solo terra e sangue.E angoscia.E morte.
    Karen... ti avevo promesso che sarei tornato, che saremmo stati liberi. In fondo non ci avevo mai creduto neanche io. Tentavo di essere rassicurante, con te, con la piccola Lilith; ma cercavo solo di rassicurare me stesso, prima di tutto.
    Ancora una fitta lancinante all'addome. Sto perdendo troppo sangue. Oddio, non riesco nemmeno a raggiungere lo slot dell'ultima morfina con l'unico braccio rimasto. La temperatura corporea si sta abbattendo come si abbatte la scure di un boia su una nuca ignara. Ho nausea, voglio vomitare. Il dolore, Dio, il dolore.
    Cerco di pensare a mia figlia, ai miei genitori. Buffo che, per quanto mi sforzi di ricordare nitidamente, le immagini rimangano solo inquadrature sfocate di sfondo alle schegge di dolore che mi hanno trapassato. Si stanno ancora depositando al suolo, lentamente, delicatamente, come scintille di una stella agitata da un bambino. Ancora non riesco a sentire nulla intorno a me. Ho visto una nube di polvere alzarsi in aria a pochi metri. Già, immagino la guerra continui, che io possa udirlo o meno.
    Ancora voglia di vomitare, non so se per l'agonia o per l'aver realizzato di cosa è davvero capace l'uomo. Poi, come in un banale espediente cinematografico, arriva puntuale l'ora del flashback.Si vede che il mio tempo sta scadendo.
    Eravamo una squadra affiatata, preparati all'estremo. Io ero l'unico soldato scelto a cui fosse rimasta una famiglia. Tutti gli altri avevano visto la propria sterminata a causa dei mostri che siamo combattendo, e che ancora hanno il coraggio di chiamarsi ‘esseri umani'.
    La missione stava andando per il meglio, avevamo reso sicuri molti punti nevralgici della manovra di difesa ISA, ed eravamo certi che ormai il peggio fosse passato. Imbarcati su una NBAC (Nave da Bassa Altitudine di Crociera) stavamo correndo in soccorso di alcuni nostri compagni nella zona commerciale di Vekta.La battaglia infuriava sotto di noi, uno sfoltito manipolo di soldati aveva fatto una carneficina della squadra 8. Pochi Helghast restavano in piedi, ma resistevano stoicamente agli assalti degli ultimi membri di una squadra ISA. Atterrammo con la carenza di grazia che solo un pilota spinto da coraggio e disperazione può azzardare, e scendemmo pronti a sterminare i maledetti superstiti tra quelli che avevano causato questa carneficina.Un rapido sguardo, una celere corsa e ogni componente della squadra era al riparo dietro a un blocco di pietra, detrito vittima inconsapevole della devastazione causata alle strutture dai precedenti bombardamenti. Una fugace occhiata oltre il limite superiore del rifugio e via, di corsa fino alle successive macerie. Eccoli. Porc... In così pochi hanno fatto ‘sto casino? Saranno si e no cinque o sei. Ne vedo uno, sparo tre salve di pallettoni di copertura per i miei compagni, e ricarico prontamente le cartucce prima di riaffacciarmi sulla scena. Con orrore odo in distanza il suono di una fucilata. Vedo Erik cadere a terra senza vita. "Cecchino!" Urlo con tutto il fiato che avevo in corpo, tentando di sopprimere il formicolio cervicale che mi suggeriva di trovare io stesso un riparo migliore. Vedo Fuber accasciarsi con l'elmo spaccato dalla violenza dell'impatto, e vedo Darring tremare sotto i colpi di una gigantesca gatling imbracciata da un nostro nemico, quello che evidentemente non ero riuscito né a spaventare né a colpire con le inutili cartucce precedentemente sprecate.Il mio conteggio si rivelò sbagliato. Non erano in cinque o sei. Uno ad uno in soli tre uomini riuscirono a decimare uno dei nostri migliori gruppi di attacco.Ma io ero diverso. Io avevo qualcuno da cui tornare, avevo uno scopo per vincere e restare in vita. Non morirò per mano di un ragazzetto troppo incosciente per provare paura, troppo stolto per capire che non si tratta di un gioco. "Maledetti bastardi!" Urlai, digrignando i denti con una rabbia che non non credevo di poter manifestare. Mettendo a segno senza dubbio alcuni colpi sulla pettorina in Kevlar dell'energumeno con la gatling. Un preciso proiettile esploso dal suo compagno mi sbilanciò colpendomi la spalla dell'armatura di striscio, impedendomi di concludere la corsa al riparo che mi ero prefissato e facendomi rovinare a terra. "Alzati, alzati!" mi gridai mentalmente, un attimo prima di vedere il solare riflesso metallico della granata lanciatami contro. Un attimo prima di perdere conoscenza. Un attimo prima di incontrare il mio destino.
    Ed eccomi qui. Aspetto di morire. Il dolore è talmente tanto che ormai la sua percezione è ovattata, confusa, persa nel resto delle emozioni e del sangue rappresi.Avevo qualcuno da cui tornare, ma non mi è bastato. Avevo un motivo per sopravvivere, ma non ci sono riuscito. Addio Karen, addio Lilith, temo che Helgar non avrà la sua vendetta, e noi non avremo la nostra sognata libertà; perdonatemi se potete.Abbiamo messo in gioco le nostre vite, ma la guerra...
    La guerra non è mai un gioco.

    Drizzt Do'Urden

    Uno tra i tanti

    Questa mattina, come ogni mattina, ho aperto gli occhi, svegliato dal rumore assordante di una bomba.
    Sogno o realtà che sia ormai non ha importanza.
    L'aria densa di fumo, polvere da sparo e zolfo rende i miei occhi colmi di lacrime, lacrime che ho smesso di versare per il dolore.
    Il mio letto di terra e cemento inizia a tremare per la deflagrazione di un'altra bomba nelle vicinanze: il tempo di dormire è finito. Si deve tornare a marciare.
    Mi guardo intorno, sperando che i pochi amici che i sono rimasti siano ancora lì, accanto a me.
    Non voglio restare solo.
    Gli occhi, abituatisi finalmente a quella densa foschia e a quel denso fumo, finalmente riescono a distinguere la realtà davanti a loro. Altri de miei compagni hanno trovato la loro pace.
    La pace.
    Da tempo non so più cosa sia.
    Gli Helghast arrivarono qui all'improvviso portando solamente dolore e distruzione.
    Si dice che un tempo fossero uomini come noi, ma alle voci e alle leggende ormai non crede più nessuno.
    E' finito il tempo dei sogni.
    Le basse mura ed il tetto quasi del tutto divelto dalla bomba che si era portata due miei compagni non potevano proteggerci dalla guerra in avvicinamento.
    Dovevamo muoverci, e presto.
    Ormai eravamo solo in tre.
    Fuggivamo da giorni, vivendo di ciò che riuscivamo a trovare.
    Corre voce che i quattro cavalieri dell'apocalisse abbiano iniziato a combattere il male, e che forse tutto questo stia per finire.
    I miei amici sono fiduciosi, ma io no.
    Guardo fuori, e l'aria carica di polvere rende l'idea di dove si svolga il conflitto.
    Un rumore in lontananza mi costringe ad abbassare il capo.
    Già due miei compagni erano morti per mano di cecchini.
    Braccati. Eravamo delle prede che cercavano di fuggire al cacciatore.
    A cosa serviva cercare di opporsi?
    Uno stretto cunicolo collegava i resti della casa in cui ci trovavamo a quella adiacente, ma il rischio di rimanere esposti era altissimo.
    Il più piccolo dei miei compagni restava a guardare con occhio incredulo il corpo dilaniato della madre. Aveva fatto scudo col suo corpo per proteggere il figlio.
    Ha posto fine alla sua sofferenza per prolungare quella del figlio.
    Non potevo comunque lasciarlo indietro.
    Lo presi per la maglietta, per quel che ne restava, e gli indicai la porta.
    Dovevamo uscire, e presto.
    Un colpo secco al muretto da cui avevo cercato di sporgermi mi diede la conferma che il nemico conoscesse la nostra posizione.
    Dovevamo andare via.
    Restando abbassato a terra feci segnale per indicare il cunicolo. Dovevamo muoverci in fretta.
    Io passai per primo. Strisciando, muovendo le mani e le gambe freneticamente.
    Ogni attimo lì fuori poteva significare la fine.
    La mia bocca si riempì di polvere, anche se erano giorni che non bevevo, e le mie labbra rinsecchite poco si discostavano dal colore rosso della terra.
    Il rosso del nostro sangue.
    In quei pochi secondi che mi separavano dalla casa adiacente io vidi trascorrere molti anni.
    Anni felici, in cui con gli amici andavo a giocare, in cui con i miei genitori restavo a casa a guardare un film di guerra, pensando che fosse una cosa lontana, irreale.
    Godendomi una pace che non pensavo di poter perdere.
    La pace.
    Da quella casa ebbi una più chiara idea della situazione.
    Un gruppo di circa dodici Helghast si avvicinava alla nostra vecchia dimora, mentre dei rumori e dei colpi di lontano facevano presagire la presenza di diversi cecchini.
    Non mi avevano viso, e non potevo dar loro il tempo di farlo, soprattutto per i miei compagni.
    Feci segno al più grande di venire, spiegandogli a gesti l'arrivo dei nemici.
    Il suo respiro si fece affannoso, e perle di sudore gli brillarono sulla fronte.
    Erano pochissimi metri quelli che ci separavano, ma la distanza sembrava abissale.
    Un pezzo di muro, staccatosi improvvisamente, tolse il mio amico dalle sue paure, dandogliene di maggiori.
    Si precipitò quasi correndo fino a me, ponendosi dietro le mie spalle.
    Ora toccava al più piccolo.
    Mi guardava impaurito mentre gli facevo gesto di muoversi in fretta.
    Inizio ad imboccare lo stretto corridoio, quando per un attimo, nel bel mezzo della strada, si voltò per dare un ultimo saluto alla madre.
    La sottile linea rossa gli si posò sulla fronte.
    Ormai per lui non c'era speranza.
    Feci segno al mio ultimo amico rimasto di andare e mi incamminai, ma lui protese la mano come per afferrare il bambino spacciato.
    Pezzi delle cervella del bambino che voleva salvare arrivarono a toccargli la fronte, mentre il corpo esanime si accasciava al suolo.
    Quel tentativo di aiuto costò caro, perché gli Helghast che sopraggiungevano, trovando quell'incauto ragazzo sdraiato a terra nel tentativo di aiutare il bambino, non esitarono a fare fuoco.
    Ero solo.
    Speravo che non mi avessero notato, ma il rumore di una linguetta staccata da una bomba mi diede risposta.
    Pensavo alle leggende che correvano.
    Ai quattro eroi che ci avrebbero dovuto salvare.
    Forse quello avrebbe portato la pace.
    Forse gli Helghast avrebbero vinto.
    Ed anche quello li avrebbe portati alla pace.
    La pace.
    Quando la vidi la bomba rotolare all'interno dell'edificio il mio ultimo pensiero fu rivolto alla pace.
    La guerra sarebbe continuata.
    Ma io, avevo trovato la mia pace.

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