Speciale La storia del Virtual Boy

Era il 1995 quando il Virtual Boy invase, nell’indifferenza generale, i negozi di Akihabara e dintorni. Ecco la sua storia, fatta di un pizzico di follia, qualche geniale intuizione e molto coraggio.

Speciale La storia del Virtual Boy
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"Nintendo? Ah, lasciali perdere quelli. Fanno sempre le stesse cose da anni, sempre gli stessi giochi, non innovano mai", dice Andrea mentre rovista nel cestone degli usati. "Davvero, hanno lo stesso coraggio imprenditoriale di un barattolo di Nutella: sarà pure buona, ma è sempre la stessa roba", risponde caustico Francesco. Nel negozio ormai non c'è più nessuno. Solo Marco, il commesso, che li guarda con quel classico mix di disgusto e compassione tipico di chi è convinto di saperne più di te. "Eh, se dite che Nintendo non ha mai innovato, non conoscete Nintendo", li incalza il zelante venditore. "Non ve lo ricordate il Virtual Boy?" Ecco, il Virtual Boy. La pecora nera, lo scheletro nell'armadio, il seme della discordia: il più grande fallimento della storia di Nintendo. Ma, al contempo, la dimostrazione di quanto la grande N sia sempre stata un'azienda innovatrice, proiettata in avanti, pur se con quel rigore e quel rispetto delle tradizioni tipico di una compagnia cresciuta all'ombra dei ciliegi in fiore, con cento anni di storia sulle spalle. Nintendo ha sempre cercato di cambiare, evolversi, riscrivendo le regole del gioco per stravolgere il nostro modo di vivere i videogame. Lo ha fatto, cocciutamente, fin dall'inizio, fin dal primo NES. E il Virtual Boy forse è stato il suo progetto più ambizioso e folle: una console che strizzava l'occhio al 3D e alla realtà virtuale in un periodo in cui il problema di Francesco e Andrea era se scegliere la PlayStation o il Saturn. Un fallimento commerciale clamoroso, ma un pezzo di storia della grande N che qualche giorno fa, il 21 luglio, ha compiuto 20 anni. Era il 1995 quando il Virtual Boy invase, nell'indifferenza generale, i negozi di Akihabara e dintorni. Ecco la sua storia.

Mister fantastic

Gunpei Yokoi era il prediletto del presidentissimo Hiroshi Yamauchi. Yamauchi era convinto che Yokoi fosse la persona giusta per guidare Nintendo in questo nuovo mercato dei videogame. Lo aveva notato per la prima volta qualche anno prima, a metà degli anni '60, quando Yokoi si era divertito a creare un braccio estensibile, un giocattolo semplice ma al contempo geniale. Lo stringevi come delle pinze e potevi estendere la presa della mano finta (composta in realtà da un paio di ventose) di diverse decine di centimetri. Non male per uno che era addetto alla manutenzione dei macchinari: Yamauchi lo esortò a trasformare quel passatempo in un prodotto concreto. Nacque così la Ultra Hand, uno dei giocattoli di maggior successo della Nintendo negli anni '60. La leggenda di Yokoi ha inizio. Quando nel 1974 l'azienda giapponese comincia a produrre rudimentali videogame, Yokoi assume il ruolo di game designer e produttore. Qualche anno dopo, si narra che Yokoi, mentre stava viaggiando su uno Shinkansen, i treni proiettile giapponesi, notò con interesse un uomo d'affari che stava giocando con il suo calcolatore LCD: quella scena fu la scintilla che fece scattare il progetto Game & Watch. Il 28 aprile del 1980 esce Ball, il primo di una serie di 47 titoli che andranno a vendere decine di milioni di copie in tutto il mondo. Nel frattempo debutta il NES, la prima vera console di Nintendo: Yokoi ha un ruolo fondamentale nella sua progettazione, a lui, tra le altre cose, si deve l'introduzione della croce direzionale sul controller del Nintendo Entertainment System. Negli anni successivi Yokoi guida il team Research & Development 1, dando vita a tanti capolavori e soprattutto facendo da mentore a Shigeru Miyamoto, che non ha mai nascosto l'importanza della figura di Yokoi nella sua carriera. Sotto la sua guida arrivano titoli memorabili come Donkey Kong, Mario Bros., Duck Hunt, Excitebike, Balloon Fight, Kid Icarus, Metroid: si fa la storia del NES tra le mura di questo dipartimento nascosto tra i sotterranei del quartier generale della compagnia a Kyoto.

Ma Yokoi è sempre stato un ingegnere più che un game designer. La sua passione era creare nuove macchine e, dopo il successo del Game & Watch, era arrivato il momento di fare il passo successivo. Dopo l'esperimento di R.O.B., il robot per NES che oggi vale una bella fortuna su eBay, Yokoi si concentra sulla sua creazione più grande, il Game Boy. "L'idea era davvero semplice: unire l'esperienza accumulata con il Game & Watch e il NES e produrre un NES portatile", ricorda Yokoi in un'intervista. "Il punto era realizzare una macchina facile da utilizzare, solida e con batterie che durassero a lungo. Per questo abbiamo scelto lo schermo monocromatico". Eppure, Nintendo non era d'accordo. "No, dovetti sfruttare la mia posizione all'interno dell'azienda per convincerli. Volevano lo schermo a colori, ma non aveva senso: avevo fatto delle prove giocando con il NES su una tv in bianco e nero. Bastavano pochi secondi di gioco per dimenticarsi del colore", prosegue. "Poco dopo l'uscita del Game Boy un mio collega mi raccontò che era uscita un'altra console portatile uguale alla nostra. Gli chiesi se aveva lo schermo a colori. Lui mi rispose di sì e io gli dissi: allora stai tranquillo, non abbiamo niente da temere", conclude Yokoi. Il resto, come si dice, è storia. Il Game Boy è stato uno dei più grandi successi della grande N e una delle più importanti rivoluzioni nella storia dei videogame. Nintendo, ancora una volta, aveva dettato la strada da seguire.

VR-32

Gunpei Yokoi, racconta chi lo ha conosciuto, era un visionario, una mente sempre proiettata in avanti. Non stava mai fermo, Yokoi, costantemente alla ricerca di nuovi stimoli e idee. Dopo il successo del Game Boy, Yokoi cominciò a lavorare all'idea di una console che avrebbe trasportato il giocatore all'interno dell'universo di gioco, dando forma fisica a concetti allora ancora destabilizzanti come la realtà virtuale e soprattutto la grafica stereoscopica in 3D. L'occasione arrivò quando Nintendo fu contattata all'inizio degli anni '90 da una società americana, la Reflection Technologies, che aveva sviluppato un sistema che sfruttava due schermi separati per creare immagini tridimensionali. Yokoi rimase affascinato dall'idea e Nintendo acquistò i diritti per lo sfruttamento di questa tecnologia in esclusiva per l'ambito videogame. Il progetto Virtual Boy, nome in codice VR-32, aveva ufficialmente inizio. Yokoi dapprima pensò di realizzare un casco, qualcosa di simile a Oculus Rift per intenderci, ma l'assenza di rilevatori di movimento realmente accessibili per un mercato di massa lo convinse subito che era l'idea sbagliata. Si pensò così a un visore da piazzare sulla scrivania e in cui immergere gli occhi, un'evoluzione del vecchio View-Master, quel giocattolo che permetteva di vedere diapositive 3D che andò letteralmente a ruba negli anni '60 e '70. Il Virtual Boy aveva un processore a 32 bit, come i coetanei PlayStation e Saturn. Ma, a differenza di una console tradizionale, il processore del Virtual Boy doveva disegnare ogni volta due immagini. Per questo i suoi giochi erano molto più basilari. Per contenere i costi, inoltre, Yokoi decise che era meglio utilizzare dei led monocromatici: scelse il rosso, perché era il colore più visibile in tre dimensioni. Il controller aveva due croci direzionali, per permettere di "navigare" più facilmente nei giochi in tre dimensioni. Il pad era anche simmetrico e quindi poteva essere usato facilmente anche dai mancini. I due schermi erano composti da una fila di 224 led rossi ciascuno: le luci venivano catturate da uno specchio che girava 50 volte al secondo per creare l'immagine del gioco vero e proprio, regalando l'effetto 3D.

Un sistema complesso, difficile, e molto rumoroso: la console vibrava a causa del movimento dello specchio. La console, mostrata per la prima volta sulle pagine del New York Times, fu annunciata ufficialmente nel disinteresse generale al Consumer Electronic Show del gennaio 1995: molti giornalisti che la provarono la bocciarono subito, preannunciandone la morte. In parte, ci fa una delusione di fondo perché molti pensavano che, con Yokoi alla guida, il progetto VR-32 fosse in realtà l'erede del Game Boy, visto che tutti sapevano che la nuova console casalinga della Nintendo, il Project Reality (che poi sarebbe diventato il Nintendo 64), era già in avanzata fase di sviluppo. Ma la verità è che il Virtual Boy era una console inutile, che dava la nausea e che aveva una grafica semplicemente non più accettabile. Se Yokoi fece bene a utilizzare lo schermo monocromatico sul Game Boy nel 1989, nel 1995 gli occhi dei giocatori si erano ormai abituati a un certo tipo di grafica: si stava passando dalle due dimensioni al 3D, e nessuno aveva voglia di tornare indietro di qualche anno e di vedere solo rosso. Fu un fallimento senza precedenti.

Epic fail

Quando la console arrivò nei negozi giapponesi, il 21 luglio del 1995, non ci furono le solite code ai negozi di elettronica di Tokyo. Nintendo abbassò subito il prezzo da 19800 yen a 15000, ma senza ottenere risultati. La console arrivò poco dopo anche negli Stati Uniti, dove nell'agosto successivo riscosse lo stesso identico trattamento da parte degli appassionati americani: totale indifferenza. Il prezzo di 150 dollari era allettante, ma mancavano completamente i contenuti. C'erano pochi giochi e, anche se la console veniva venduta insieme a Mario Tennis, mancavano i vari Zelda, Super Mario e compagni. In tutto furono prodotti appena 22 titoli per il Virtual Boy e quasi tutti da Nintendo: il supporto delle terze parti fu praticamente nullo, si dice perché fu Yamauchi in persona a decidere in questo senso, anche se molti ritengono che questo boicottaggio derivasse dal fatto che nessuna software house credeva nel successo del Virtual Boy. Ci furono alcuni titoli pubblicati da Atlus, THQ, J-Wing, ma erano eccezioni in un mare di titoli prodotti da Nintendo stessa. Qualunque sia stata la verità, il Virtual Boy ebbe solo 22 giochi, la maggior parte anche scadenti. Il migliore? Probabilmente Wario Land, insieme a Mario Tennis che veniva venduto insieme alla console, 3D Tetris e pochi altri. Si calcola che il Virtual Boy abbia venduto in tutto circa 700.000 unità, una cifra nettamente inferiore alle previsioni Nintendo (la console meno venduta di sempre per la grande N). Il disastro fu totale, tanto che la casa giapponese decise che non aveva senso portare la macchina in Europa: dopo nemmeno sei mesi di vita, la console uscì di produzione. Molte delle idee alla base del Virtual Boy rimasero così incompiute: dal cavo link che avrebbe dovuto permettere a due macchine di giocare insieme, mai uscito, a tanti videogame che avrebbero potuto risollevare le sorti di questa console maledetta (in lavorazione c'erano sicuramente Star Fox e un Super Mario). Il Virtual Boy scomparve in fretta: Nintendo voleva cancellare l'errore il più velocemente possibile per non compromettere il lancio del Nintendo 64.

L'addio di Yokoi

Gunpei Yokoi lascerà Nintendo poco dopo, nell'agosto del 1996. Sul suo addio ci sono tante versioni. C'è chi, come lo scrittore David Sheff racconta nel libro Game Over, uno dei migliori sulla storia di Nintendo, dice che Yokoi se ne andò perché infuriato con l'azienda, colpevole di aver fatto uscire il Virtual Boy quando non era ancora pronto. C'è chi, invece, dice semplicemente che Yokoi aveva sempre detto che sarebbe andato in pensione a 50 anni e che aveva solo posticipato di qualche anno per finire i progetti iniziati. C'è chi, infine, sostiene che fu allontanato dall'azienda perché ritenuto il responsabile del fallimento del Virtual Boy. Teorie e storie che lasciano il tempo che trovano: Gunpei Yokoi, una delle persone più importanti nella storia di Nintendo, va via dopo trentuno anni di idee, successi, innovazioni. Se ne va lasciando un ultimo regalo, completando lo sviluppo del Game Boy Pocket. Finita l'era Nintendo, Yokoi fonda una nuova azienda, la Koto, dove si occupa del progetto del Wonderswan la cui prima versione uscita nel 1999 aveva, indovinate un po', lo schermo monocromatico. Fu l'ultimo lavoro di Gunpei Yokoi. Il 4 ottobre del 1997, sull'autostrada di Hokuriku, il creatore del Game Boy scende dalla sua auto dopo aver tamponato un camion per controllare i danni. Un attimo di distrazione, una tragica fatalità: Yokoi viene travolto da un'altra autovettura di passaggio. Sulla sua lapide c'è una lista dei successi più importanti, con vicino una data: Ultra Machine (1968), Laser Clay (1973), Ten Billion Barrel (1980), Game & Watch (1980) e Game Boy (1989).

Nintendo Il Virtual Boy fu una follia, una macchina fuori dal tempo e dallo spazio che non aveva alcun senso di esistere e che, proprio per questo, oggi ha un fascino unico e speciale. Era una macchina sbagliata, sicuramente, ma era anche la prova in plastica e silicio di quanto Nintendo fosse pronta a rimettersi in gioco, a provare nuove strade, a voltare pagina e ricominciare da capo. Probabilmente era una macchina troppo avanti per i suoi tempi. Il fatto di dover scendere a compromessi con lo schermo per avere un costo accessibile, la scelta di puntare solo su un monitor monocromatico quando i nostri occhi si stavano abituando alla grafica tridimensionale, il mancato supporto delle terze parti e l’assenza di tanti titoli fondamentali per un appassionato Nintendo, da Super Mario a Zelda; sono tutti elementi che fecero del Virtual Boy la console meno venduta nella storia della casa giapponese. Sono passati venti anni e del Virtual Boy ormai non c’è più traccia: la Nintendo recentemente la ha rivalutato, ne ha quasi ammesso l’esistenza inserendo alcuni dei suoi giochi nei vari WarioWare. Il Virtual Boy è stato certamente un fallimento, una cocente delusione per gli appassionati di allora. Eppure, è una console affascinante, unica e speciale: accenderla e tuffarsi dentro quel mucchio di pixel rossi e tremolanti significa leggere una delle pagine più eccentriche della storia di Nintendo. E’ un’esperienza unica e irripetibile e un motivo in più per ricordare Gunpei Yokoi. Su quella lapide, insomma, manca una scritta: Virtual Boy (1995).