Le migliori Distopie Videoludiche

Da Omikron: The Nomad Soul fino al recentissimo We Happy Few, quali sono le migliori anti-utopie raccontate dal mondo dei videogame?

Le migliori Distopie Videoludiche
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Il nostro recente incontro con We Happy Few non ci ha particolarmente impressionato: il survival di Compulsion Games è in uno stato ancora molto acerbo, senza linee guida ben tracciate che ci permettano di capire a fondo l'anima ludica di quest'opera sui generis. Un aspetto della produzione, però, è riuscito a coinvolgerci e sorprenderci: l'inquietante bellezza del mondo di gioco. In We Happy Few domina una terribile distopia, nella quale gli abitanti sono costretti ad assumere una droga chiamata Joy, che inibisce la tristezza e cambia la prospettiva del mondo intorno a loro, trasformandolo in un tripudio di falsa, stucchevole gioia. Il fine ultimo è, ovviamente, il controllo sulle masse, l'omologazione del popolo: in un mondo dove tutti sono felici, nessuno è pericoloso. We Happy Few è un vero e proprio compendio delle caratteristiche tipiche della distopia letteraria, estremizzazione in negativo della società perfetta: in essa prevale solitamente un regime gerarchico, propagandistico e totalitario, dove la popolazione è tenuta sotto ferrea sorveglianza, e dove la disuguaglianza e l'individualità sono considerati attributi sovversivi. La libertà di espressione è profondamente combattuta, e al contatto con la natura si sostituisce un governo tecnocratico. In virtù delle loro innumerevoli sfaccettature, le società distopiche possiedono una grandissima fascinazione, che ha incantato anche il medium videoludico: per questo motivo abbiamo deciso di stilare un breve elenco con le 5 migliori opere degli ultimi anni ambientate in un universo anti-utopico. Nessuna obiezione è concessa. Ogni dissenso verrà severamente punito. Everyeye ha occhi ovunque. Everyeye is watching you.

    WOLFENSTEIN - THE NEW ORDER

    Quel che più di tutto inquieta e intimorisce dell'eccellente reboot della serie Wolfenstein è che il mondo distopico in cui il sergente Blazkowicz si risveglia, al termine del secondo conflitto mondiale, avrebbe potuto esistere davvero. Bethesda immagina il trionfo del Reich, con una deriva retrofuturistica anni '60, dove il regime nazista regna indiscusso: una "fantastoria" spaventosa, la cui carica ansiogena e realistica viene alleggerita soltanto dall'uso fantasioso del dieselpunk. Il Nuovo Ordine è in tutto e per tutto simile a quello sperimentato nella Germania della prima metà del secolo scorso, con l'unica differenza che, in Wolfenstein, al di là delle anacronistiche tecnologie belliche, il dominio è esteso a quasi tutto il globo terraqueo. Scandita da un sensazionale ritmo narrativo, questa distopia videoludica affonda le radici nella realtà storica, e diviene pertanto lucida, spietata, e anche malinconica, raffigurazione ucronica di "irrealistica verosimiglianza".

    PAPERS, PLEASE

    Anche Arstotzka, immaginario paese comunista in cui è ambientato il geniale Papers, Please si rivela la rappresentazione di una società fittizia che non è purtroppo molto lontana dalla realtà. Addetti al controllo immigrazione, il nostro compito in Papers, Please consisterà soltanto nel decidere chi può attraversare la frontiera, secondo i dettami imposti dal regime per il quale operiamo. Un thriller distopico di stampo esistenziale, in cui dovremo compiere scelte morali d'inaudita ferocia: osservando spaccati di un'umanità così vera e meschina, alle volte ci dimentichiamo di interagire solo con vuoti ammassi di pixel, e ci abbandoniamo alla commozione e al senso di colpa. L'alienante meccanicità delle nostre azioni, compiute quotidianamente con il solo scopo di portare la pagnotta in tavola, ci rende inevitabilmente schiavi del governo: il bene della gloriosa Arstotzka diviene così anche il nostro. Senza accorgercene allora rischiamo di tramutarci nei fautori involontari della società dittatoriale nella quale viviamo. A causa di questo suo brutale realismo, Papers, Please colpisce come un violento pugno nella coscienza: la possibilità di sovvertire la distopia, sul finale, si scontra altresì con la necessità di dover lavorare per sopravvivere in quella che, in fin dei conti, è pur sempre la nostra patria. E un simile, subdolo lavaggio del cervello non è proprio ciò che contraddistingue le anti-utopie?

    BIOSHOCK

    "Niente dei o padroni. Solo uomini". È il motto che campeggia trionfale all'ingresso di Rapture, tentacolare città sommersa, visione magnifica ed ossessiva del magnate Andrew Ryan, che ha provato ad erigere la metropoli perfetta, rifugio salvifico dalle catene dell'oppressione. Rapture è allo stesso tempo sia l'utopia per eccellenza, luogo di benessere e punto più elevato della civiltà, sia lo specchio di un destino ineluttabile, della decadenza in cui annaspano senza scampo i sogni di mondi idilliaci. Gli abitanti di questa "Atlantide" digitale, allora, si tramutano ben presto negli stessi dei e padroni da cui, inizialmente, avevano tentato di fuggire. Bioshock somiglia a un intelligentissimo saggio virtuale di sociologia ed antropologia, descrizione limpida e crudele dei comportamenti umani e della loro inevitabile degenerazione. Il mito della perfezione, del capitalismo come sistema economico predominante, del controllo della mente, dello sviluppo scientifico oltre i limiti dell'uomo sono solo alcune delle colonne portanti di una delle più straordinarie distopie videoludiche mai realizzate: se non avete ancora avuto modo di viverla, fatelo subito, senza indugi. Per cortesia.

    FREEDOM WARS

    In Freedom Wars, hunting game uscito in esclusiva su PsVita, il contesto che fa da sfondo alle nostre avventure rappresenta la trasposizione in salsa squisitamente nipponica dell'ideologia orwelliana: le 50 città-fortezza che compongono l'ecosistema di Panopticon sono infatti governate da un regime distopico simile a quello che contraddistingue il romanzo 1984. In un futuro dove la terra è stata prosciugata e le risorse sono di conseguenza molto limitate, gli uomini devono lottare per il proprio ruolo nella società: ogni cittadino è accompagnato da un automa che lo segue costantemente monitorandone le infrazioni, ed è inoltre bombardato senza sosta da propaganda mass mediale che lo incita a trovare la sua specifica funzione all'interno di questa rigidissima distopia. In una tale comunità è considerato un crimine persino l'essere venuti al mondo: il controllo sulla natalità, pensato per limitare il consumo delle materie prime, colpevolizza chiunque abbia commesso il "reato" di nascere. La pena da scontare consiste nell'offrirsi volontari in missioni suicide per il benessere della popolazione. Ma il bene di tutti, come in ogni regime distopico che si rispetti, è sempre, in realtà, il bene di pochi.

    ENSLAVED - ODYSSEY TO THE WEST

    Se non avete ancora giocato ad Enslaved e vi state chiedendo in base a quali caratteristiche possa rientrare a tutti gli effetti nel novero di titoli ambientati in un futuro distopico, interrompete la lettura di questo trafiletto. Se invece siete riusciti a completarlo, non faticherete a ricordarvi dell'inaspettata conclusione in cui Monkey e Trip scoprono che Pyramid, creatura che regna su un mondo post-apocalittico con potenti macchine assassine, non è altro che un semplice essere umano, uno dei pochi scampati alla guerra che ha sterminato la popolazione del pianeta. L'uomo, tramite un sofisticatissimo computer, plagia le menti degli altri sopravvissuti, innestandogli i ricordi del vecchio mondo, prima del grande conflitto, permettendo loro di vivere una vita felice, immersi in un passato illusorio e virtuale, che ormai non esiste più. La schiavitù e il controllo sul nuovo status quo tramite pericolosi robot killer non sono una conseguenza della bramosia di potere, ma il necessario prezzo da pagare per l'utopia di una civiltà migliore. Non c'è reale malvagità nelle azioni di Pyramid, solo la convinzione di agire davvero per il bene collettivo. È questa la potenza spiazzante di Enslaved: alla fine, persino i protagonisti si domandano se distruggere il computer che mantiene in vita l'illusione sia stata la scelta più saggia per la salvezza degli schiavi. E questa è anche la potenza ideologica della distopia: dove inizia e dove finisce il confine tra giusto e sbagliato?

    SPECIAL GUEST: OMIKRON - THE NOMAD SOUL

    Da molti considerato tutt'oggi il capolavoro di Quantic Dream, Omikron - The Nomad Soul, datato 1999, è un gioco più unico che raro. Proprio come il suo innovativo gameplay, che combinava, senza soluzione di continuità, sequenze esplorative, sezioni da first person shooter e combattimenti alla Street Fighter, anche il setting della prima, grande opera di David Cage centrifuga diverse contaminazioni artistiche e narrative. In Omikron trovano quindi spazio il poliziesco sci-fi, visioni futuristiche di matrice cyberpunk e religiosità alternativa, il tutto incorniciato da una distopia influenzata dagli scritti di Aldous Huxley, a metà strada tra l'innovazione e la tradizione: mentre robot, infatti, pattugliano le vie della megalopoli, gli abitanti sono numerati e perennemente monitorati, nonché confinati in specifici settori cittadini che non possono abbandonare per nessun motivo. In aggiunta, il governo esercita il controllo sulla popolazione anche attraverso l'avvelenamento di bevande di grande consumo, le cui sostanze interne, poco a poco, annichiliscono le facoltà celebrali. Un titolo bizzarro ed imperdibile, stracolmo di suggestioni disparate, tornato in auge in occasione della scomparsa di David Bowie, che aveva contribuito allo sviluppo del gioco sotto il profilo artistico, riservandosi addirittura un piccolo, indimenticabile cameo nei panni di Boz, un rivoluzionario con le riconoscibili fattezze del Duca Bianco.

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