Da Il Padrino a Scarface: i gangster movies che hanno influenzato il mondo videoludico

In attesa dell'Hands-On su gameplay Mafia 3, ripercorriamo le gesta sanguinarie dei gangster e dei 'padrini' più celebri della storia del Cinema.

Da Il Padrino a Scarface: i gangster movies che hanno influenzato il mondo videoludico
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  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Dinastie temute e rispettate, imperi criminali, affaristi megalomani che lasciano dietro di sé una scia di sangue smisurata. Quando dalla cronaca nera trae ispirazione il Cinema, spesso il linguaggio utilizzato è roba nostra. O meglio, è "cosa nostra". Che piaccia o no, vi è una ricca filmografia sul tema, dai gangster movies in bianco e nero alle lunghe saghe su cui fu edificata - negli anni '70 - la New Hollywood. Nell'universo delinquenziale del cinema si distinguono affaristi che avanzano offerte irrinunciabili, boss italoamericani violenti e sanguinari, rifugiati politici cubani, e signorotti convinti che nella vita si ottenga molto di più con una parola gentile e una pistola, piuttosto che solo con una parola gentile. Un caleidoscopio di brutali assassini - spesso con un proprio inflessibile codice d'onore - di cui fanno parte anche il narcotrafficante colored Frank Lucas, i cani sciolti di Romanzo Criminale e il "siciliano" Christopher Lambert, protagonista di un biopic sul bandito Salvatore Giuliano diretto dal compianto Michael Cimino.
    A questa traboccante serie di personaggi, situazioni e scene, anche il mondo dei videogiochi guarda con interesse; soprattutto quando si tratta di mettere in scena un contesto criminale che sia in grado di "bucare lo schermo". Citazioni e suggestioni hollywoodiane si sprecano insomma in quasi tutti i "Gangster Games" (se così possiamo definire la categoria), da LA Noire ai titoli della serie True Crime. Forse nessun videogame ha però assemblato un banchetto di richiami e rimandi ricco quanto quello di Mafia 3. Raccontato in maniera davvero esemplare -giocando con i flashback e alternando sequenze in-game ai filmati raccolti nell'ambito di una monumentale inchiesta- il comparto narrativo del sandbox firmato 2K ha dentro davvero di tutto. Da Good Fellas a Casinò, il team di sviluppo si è divertito a giocare con miti e riti del cinema di genere, assemblando un racconto ritmato e trascinante. In attesa dell'arrivo del titolo sugli scaffali, quindi, sarà bene fare un bel ripasso: una sorta di cronistoria dei Gangster Movie, che possa suggerirvi i film che dovete assolutamente vedere (o rivedere) prima di iniziare la vendicativa avventura di Lincoln Clay.


    Il Padrino "battezza" un filone

    Un anziano signore siede su una poltrona all'interno di una sala illuminata fiocamente. Compie gesti con estrema lentezza, ha la voce impastata e le mascelle di un bulldog: è il padrino Vito Corleone (ribattezzato erroneamente così all'anagrafe di Ellis Island al suo arrivo negli States). Ne Il Padrino dell'allora semisconosciuto Francis Ford Coppola è Marlon Brando a prestargli il volto. La star di Fronte del porto si ficca batuffoli di cotone in bocca, ha le stesse indolenti movenze di un senatore dell'antica Roma e sfoggia detti da età patriarcale ("Le donne possono essere imprudenti, ma l'uomo no!"). Brando interpreta così magistralmente il capo dei capi delle cosche mafiose italoamericane, a tal punto che si aggiudicherà il secondo Oscar della propria carriera. E pensare che il ruolo era stato offerto dagli studios a Jack Nicholson e Dustin Hoffman (contro il volere di Coppola). Vito Corleone, la cui voce ricorda da vicino quella del gangster Frank Costello, è un'icona senza tempo del Cinema, partorita dalla penna dello scrittore Mario Puzo e declinata in leggenda da Marlon Brando. Criminale al vertice di una piramide che ha nel gioco d'azzardo e nell'estorsioni le proprie attività lucrative; il padrino dispensa avvertimenti quasi fosse un vate ("gli farò un'offerta che non può rifiutare") e olia a suon di tangenti e ricatti gli ingranaggi delle istituzioni americane, quelle dei "pezzi da 90". La pellicola di Coppola, però, alla guest star affianca un cast altrettanto superlativo: dal rude Sonny di James Caan al reduce di guerra (e futuro padrino) Michael Corleone, personaggio cardine del film, che consente ad Al Pacino - che l'aveva spuntata su Ryan O'Neal e Robert Redford - di spiccare il volo a Hollywood. Il Padrino è considerata oggi l'opera omnia dei gangster movie, citata e parodiata nel corso degli anni. La cupola mafiosa dei Corleone è stata oggetto di una saga cinematografica che ha nel secondo capitolo il più impegnativo, complice l'idea del regista di Apocalypse Now di raccontare tramite analessi l'ascesa al potere del giovane malavitoso Vito Corleone, interpretato da Robert De Niro. Il Padrino incarna la forza evocativa del mito e il pathos tipico delle tragedie greche (in fondo è la storia di un dio o di un re con tre figli dalle differenti virtù), soppesando ad ogni fotogramma classicismo e la crudeltà tipica dei fatti di cronaca nera, grazie alla regia compassata e maniacale di Francid Ford Coppola, in grado di regalare alcune delle sequenze più celebri della storia della settima arte: dall'assassinio di Sonny Corleone, crivellato dai proiettili di svariati mitra ad un casello autostradale, al magnifico preludio dell'uccisione del don della Little Italy (un Gastone Moschin di bianco vestito).


    Scarface, fratellanze e bravi ragazzi

    I boss del cinema non hanno però solo la parvenza di "mangiaspaghetti" dediti al culto della famiglia e della religione. A volte assumono le sembianze di un gradasso e becero "prigioniero politico cubano" (o almeno così si definisce il soggetto in questione). Nel 1983 Brian De Palma mette mano ad una sceneggiatura di Oliver Stone e cambia i connotati al primo Scarface, quello del film datato 1932 di Howard Hawks (Scarface era il soprannome affibbiato al gangster Tony Camonte, impersonato da Paul Muni). Il ruolo dello sfregiato ricade sulle spalle dell'esile Al Pacino, habitué del genere (sarà anche il narcotrafficante portoricano Carlito Brigante in Carlitos' Way e semplice "soldato" della mala in Donnie Brasco): ecco Tony Montana, profugo cubano che lavora in un fast food ma sogna di "raccogliere oro per le strade". Vi riesce, in quello che può definirsi a tutti gli effetti un romanzo di (de)formazione. Nell'ordine arrivano successo, denaro e donne, proprio come desidera l'ex sguattero Montana ("In questo Paese, devi fare la grana prima. E quando hai fatto la grana, c'hai il potere. E quando hai il potere, c'hai pure le donne. È per questo che bisogna muoversi"). Un accattone (decisamente più dark di quelli pasoliniani) mosso dalla brama di potere, vittima di un arrivismo che lo condurrà velocemente al vertice di un impero del crimine in cui abbondano "champagne e lusso", camicie dalle scollature tonymaneriane e insegne delle disco della Miami anni '80 illuminate da quei neon che ispireranno poi (assieme all'estetica volutamente kitsch del film) la serie videoludica Grand Theft Auto. De Palma deforma il sogno americano grazie ad una parabola esistenzialista dai risvolti inevitabilmente tragici. Tony Montana, megalomane con un codice morale e il cervello bruciato dalla cocaina, cadrà esanime nella fontana situata all'interno della propria casa, trafitto dai proiettili di un esercito di sicari. Beffardamente, a illuminare la scena finale vi è la scritta che campeggia su un'opera d'arte a forma di pianeta Terra, che recita "Il mondo è tuo".

    De Palma dirige qualche anno dopo anche The Untouchables - Gli Intoccabili, altra pietra miliare del genere che vanta due partecipazioni speciali: Sean Connery, nei panni dell'incorruttibile poliziotto irlandese Jimmy Malone, e Robert De Niro, il quale dà vita ad un corpulento e detestabile Al Capone. È sua una delle battute cult della storia del Cinema ("Sei solo chiacchiere e distintivo"). Il crimine ha sempre pagato, almeno al cinema: ne sanno qualcosa registi del calibro di Sergio Leone e Martin Scorsese. Se al primo si deve il proprio testamento filmico, ossia C'era un volta in America (epopea del crimine che chiude la cosiddetta "trilogia del tempo" del regista italiano), il secondo ha costruito sulla magniloquenza dei propri piani-sequenza e sull'eleganza stilistica la propria carriera, destinando tali virtuosismi al racconto di figure decisamente borderline: così per la mezza tacca Henry Hill (Ray Liotta) in Quei bravi ragazzi, così per il mefistofelico boss Frank Costello di Jack Nicholson in The Departed. Ossessionato dall'ascesa e (successiva) caduta di gangster a cui difficilmente riserva il lieto fine, il regista italoamericano seduce spesso lo spettatore con toni confidenziali, inducendolo a fare il "tifo" per i cattivi. Quando ottiene ciò, Scorsese lo spiazza con scene di efferati delitti in cui la violenza (che sopraggiunge quasi sempre inaspettatamente) e i corpi esplodono, imbrattando di sangue pavimenti e inquadrature. Immagini spesso crude che giungono all'improvviso, come un pugno in uno stomaco, e che hanno per protagonisti l'irascibile e "buffo" Tommy DeVito di Joe Pesci, l'irlandese Jim Conway (Robert De Niro), il Nicky Santoro di Casinò oppure il Johnny Boy di Mean Streets, fino ad arrivare a Bill il macellaio (Daniel Day-Lewis), protagonista in Gangs of New York di una rilettura in chiave gangsteristica della nascita della società civile post Guerra Civile Americana.


    Gangsta's Paradise

    A metà degli anni '90 il gangsterismo viene riletto in chiave pulp da Quentin Tarantino. Se già con Le Iene il regista offre un saggio del proprio paradigma tematico/stilistico (un film su una rapina malriuscita a cui non assistiamo mai nel corso della pellicola), è con Pulp Fiction che il gangster movie sfuma i proprio contorni, adeguandosi all'estetica del cartoon. Vincent Vega (il redivivo John Travolta ) e Jules (Samuel L. Jackson), per non parlare del temutissimo Marsellus Wallace (Ving Rhames), sono icone ridotte a pura superficie estetica che dialogano nel corso del film in modo apparentemente banale (i discorsi spaziano dallo street food ai massaggi ai piedi), sfoderando detti e manie surreali. Il riferimento al biblico passo "Ezechiele 25.17" è un fulgido esempio dell'importanza data allo stile (oltre che alle pallottole) dai nuovi gangster di Tarantino, rivoluzionari e antitetici rispetto ai nostrani Freddo, Dandi e Libanese, protagonisti dell'ottimo Romanzo Criminale, per la regia di Michele Placido. L'ex interprete de La Piovra fa suo il best-seller di Giancarlo De Cataldo, raccontando circa 15 anni di criminalità (dis)organizzata a Roma. Prendiamo come esempio italiano i boss scapestrati della Magliana, ma potremmo citare cult di genere come Palermo Milano - Solo andata, Suburra e la serie tv (di ottima fattura) Il capo dei capi. Ciò testimonia l'estremo interesse di major e pubblico attorno ad un filone decisamente ricco, a cui il mondo videoludico sembra guardare con sempre maggior interesse.

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