Mass Effect Andromeda - 50 sfumature di Epicità: dal Pelide Achille a Ryder

Si può essere epici senza ricorrere alla drammaticità? Secondo noi sì e Mass Effect Andromeda ne è la prova lampante...

Mass Effect Andromeda - 50 sfumature di Epicità: dal Pelide Achille a Ryder
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  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Epico: "di cose, fatti, situazioni, o anche luoghi, che per carattere o aspetto suggeriscono ed evocano il senso dell'eroico, del leggendario, del grandioso".
    Non so voi ma, personalmente, quando rifletto sul concetto di "epico" sento scorrermi tra le meningi una lunga lista di episodi che, malgrado l'avanzato stato di decomposizione del mio buon senso, proprio non riuscirei ad infilare nel canone classico della narrazione eroica. Voglio dire, ce lo vedete l'omerico Achille a beccarsi una schioppettata a sale grosso nella guancia posteriore destra, per aver tentato, con l'agilità di sette di bastoni, di sottrarre un'anguria dal campo di un mezzadro con un'evidente passione per il tiro alla natica?
    Passione, tra l'altro, supportata da una mira che al confronto Quiet di Metal Gear Solid V è il ragionier Filini.
    Sappiate che mi pento per le conseguenze di questa associazione mentale.
    Per offrire un contesto ancora più definito alla particolarissima definizione di "epico" suscitata da quel disagevole contesto, sappiate che il mio Patroclo del momento era un pallido garzoncello dall'aspetto est-europeo che, per meriti squisitamente introspettivi, si era guadagnato il soprannome di "Masturbanovich".
    Due idioti? Ah, diamine, certo che sì.
    Due eroici idioti? Senza alcun dubbio.
    D'altronde nella definizione di eroe rientra di diritto "chi, in imprese guerresche o di altro genere, dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie".
    Quindi... beh, direi che ci siamo.
    A questo punto immagino vi starete interrogando - a ragion veduta - sul perché di tale storiella etilica indubbiamente diseducativa. Solo per dire che le definizioni concettuali sono, in linea generale, mutevoli e destinate ad assumere nuove sfumature col passare del tempo, e oggi i nostri standard in fatto di epicità sono radicalmente diversi da quelli dei sommi poeti del passato. Sono pronto a scommettere la mia collezione di figuracce che a una buona quota di voi è capitato di definire "eroi" quei campioni del disagio che, di tanto in tanto, fanno capolino sulle pagine social ad alto tasso di pastorizia.
    Sappiate che non c'è niente di male, io ci vivo su quelle pagine.
    D'altronde la semantica è piuttosto chiara su questo punto: già un secolo fa il linguista svizzero Ferdinand de Saussure stabiliva il carattere arbitrario del significato, in quanto riflesso dell'evoluzione delle idee. Quindi la mia idea è che il concetto di "epico" non debba necessariamente essere vincolato a gesta di grandeur morale o a imprese con connotazioni profondamente drammatiche. Insomma, il senso d'epicità può tranquillamente sopravvivere qualche ottava sotto la "presa a male", e può perfino far ridere senza perdere la sua presa sull'immaginario collettivo.

    L'epica videoludica: una questione di punti di vista

    Quello enunciato - malamente - in apertura è un concetto che in fondo noi videogiocatori conosciamo da sempre, e associamo in maniera quasi istintiva a una buona varietà di contesti.
    A partire da quello metaludico, quando sono proprio le nostre gesta di giocatori a definire l'epicità della circostanza del momento. Quante serate avete passato in compagnia della vostra cerchia di amici smanettoni, coinvolti in un'impresa ludica di proporzioni - per l'appunto - epiche, magari culminata in urla liberatorie, abbracci di gruppo e vanterie da caserma alimentate a luppolo? Quanti di voi ricordano ancora l'inturgidente senso d'epicità suscitato dal conquistare la 120esima stella in Super Mario 64 o dallo schivare l'ultimo fulmine nella Piana dei Lampi di Final Fantasy X? In fondo i giocatori rappresentano a tutti gli effetti tanto un gruppo sociale quanto un gruppo linguistico, ed è quindi perfettamente naturale che le sfere concettuali del nostro "mondo" influiscano sulla definizione contestuale dei significanti, ovvero delle parole.
    In soldoni, sì, se avete catturato Mewtwo senza la Master Ball avete compiuto un'impresa epica e meritate un seggio tra gli eroi delle epopee classiche, e pure una toccatina ai flessibili da parte di un piccolo stuolo di ninfe lascive.

    Anche in questi casi vediamo come il concetto in discussione non sia necessariamente legato ad alcun tipo di drammaticità, a tonalità emotive cupe o a impalcature narrative costruite ad arte per rievocare il topos - senza dubbio trascinante - dell'eroe tutto d'un pezzo alle prese con una sfida titanica che, con tutta probabilità, gli richiederà l'estremo sacrificio.
    Un perfetto esempio di epica ridanciana ce lo offre il meraviglioso finale di Portal 2, capolavoro di Valve e indiscussa pietra miliare del gaming. Dopo aver superato una quantità ciclopica di enigmi spappola-neuroni, ed essere sopravvissuti a non una, ma ben due IA malvagie, l'ultimo atto dell'avventura di Chell si conclude con un breve, ma intenso, viaggio nello spazio, seguito da un monologo improbabile, da un concerto altrettanto folle e dal ritorno della protagonista alla luce del giorno. Il tutto mentre il giocatore, stordito come l'addetto al controllo qualità dell'Amaro Montenegro, non può fare a meno di sorridere per tutta la durata della sequenza.
    Ancora più assurda, ma egualmente epica, l'iconica scena del "finger gun fight" del quarto episodio di Tales from the Borderlands, probabilmente una delle migliori avventure nate sotto il tetto degli studi di Telltale. La scena in questione vede il comprimario della serie Rhys, nei panni del suo ex capo Hugo Vasquez, coinvolto in una sparatoria immaginaria contro una buona metà dei colletti bianchi della megacorporazione cosmica Hyperion.

    Una sequenza ai limiti del nonsense che, pur mancando dei giusti requisiti eroici e strappando più di qualche risata, si fatica a non definire epica. Da notare, tra l'altro, come la gag in questione sia una meravigliosa citazione di una delle scene più memorabili della sitcom britannica Spaced, creata nel 1999 da quei geniacci di Simon Pegg e Edgar Wright (Shaun of the Dead, Hot Fuzz).

    Il caso Andromeda

    "Ahaaah, lo sapevamo che qui volevi andare a parare. Tu, malevolo imbrattacarte ciarliero".
    Sì, ok, mi avete scoperto, era tutta un'abile(?) manovra per tornare a parlare di Mass Effect: Andromeda. Se avete letto la nostra recensione dell'ultimo nato in casa Bioware, sapete che il titolo rappresenta un netto punto di svolta tonale per quel che riguarda l'epopea spaziale dello studio canadese. Ryder è un ventiduenne con l'esperienza sul campo di un alpino di stanza a Riccione, sulle cui spalle non grava certo il peso delle mille battaglie che, negli anni, hanno temprato il duro cosmico per eccellenza: il comandante Shepard. Investito inaspettatamente della carica di Pionere, punta di diamante dello sforzo colonizzatore dell'Andromeda Initiative, Ryder si ritrova a dover ricoprire un ruolo per il quale è stato sì addestrato, ma che non ha mai veramente considerato alla propria portata.
    Il classico eroe riluttante, per intenderci.

    Una prospettiva inedita sulla quale si innestano le scelte dialogiche del giocatore che, alle prese con un personaggio meno "marmoreo" in termini di caratterizzazione pregressa, può modulare il proprio approccio all'avventura in diverse direzioni, contribuendo a definire uno spettro comportamentale di una certa ampiezza. Quella di trasformare il Pioniere nella versione poligonale dello Star-Lord di "Guardiani della Galassia", tra freddure a metà combattimento e atteggiamenti da gradasso spaziale, è solo una tra le possibilità offerte dalla nuova architettura "amorale" di Andromeda, che Bioware è riuscita a far funzionare così bene anche perché il titolo manca delle sfumature più grame della prima trilogia.
    Il destino dell'umanità è a rischio? Sì, o almeno di una parte dell'umanità, ma non c'è quel sentore di disperazione, quel clima di oscuro fatalismo che caratterizza le avventure di Shepard.
    Non manca invece quell'eroismo "muscolare" all'americana che è sempre stato uno dei punti di forza della saga, che questa volta non teme di perdere il proprio contegno e si permette il lusso di offrire al giocatore qualche momento di epica ilarità. La missione lealtà di Liam, uno dei personaggi - se vogliamo - meno interessanti tra quelli che compongono l'equipaggio della Tempest, rappresenta la perfetta incarnazione di questo concetto. Ci sono scontri tesi, pericoli mortali e coinvolgimento emotivo, eppure mancano quasi totalmente le note drammatiche che, di norma, si tende ad associare a questi tre elementi.
    Sono momenti epici, ma possono comunque far ridere di gusto.
    Non si tratta di una direzione obbligata, badate, perché è comunque possibile far "crescere" il proprio Ryder come un soldato inflessibile e duro come l'acciaio, sempre imperturbabile. In questo caso, l'epicità dell'azione a schermo assumerà sfumature più classiche, pur non abusando delle forzature drammatiche presenti, ad esempio, nel terzo capitolo della saga di Bioware.

    Proprio come quello di epicità è un concetto che ha subito nel tempo variazioni contestuali estremamente significative, in un percorso di evoluzione che ha coinvolto tutte le parole e i significati di quella specifica area lessicale, possiamo tranquillamente affermare che anche nell'ambito videoludico si sta assistendo a un ispessimento dello spettro situazionale ammissibile nel quadro del canone epico.
    Deve piacervi a tutti i costi? No, ma trattandosi a tutti gli effetti di un ampliamento dell'offerta ludica, di una variazione significativa rispetto al precedente status quo, non è necessariamente un male, tutt'altro.
    Come dicevamo in apertura, abbiamo concesso l'appellativo "epico" a cose molto, ma molto peggiori.

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