Overwatch: un racconto in continua evoluzione

In una recente roundtable con il Lead Writer Michael Chu abbiamo avuto modo di discutere del presente e del futuro di Overwatch.

Overwatch: un racconto in continua evoluzione
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  • PS4 Pro
  • Uno dei motivi per cui 30 milioni di giocatori hanno scelto di investire il loro tempo in Overwatch è sicuramente la forza del suo immaginario. Se Blizzard, nell'arco di appena dodici mesi, è riuscita nell'arduo compito di insinuarsi in un panorama affollato e concorrenziale, ciò lo si deve anche - e soprattutto - a un universo narrativo dal potenziale straripante, con personaggi iconici e grandi storie da raccontare. Un universo che, sebbene non venga sviscerato direttamente durante i match, ha saputo incuriosire una community vasta, eterogenea e tremendamente attenta a tutti quei piccoli dettagli che esulano dal puro e semplice gameplay.
    Questo successo si deve ad una squadra di writer e designer affiatata e ben assortita, ognuno dei quali ha avuto l'opportunità di lavorare a stretto contatto con i leggendari brand di Blizzard (Warcraft, Diablo e Starcraft), da cui è stata tratta l'spirazione necessaria per far sorgere un gioiello come Overwatch dalle ceneri dell'ormai defunto Project Titan.
    Tra questi artisti va senz'altro annoverato il Lead Writer Michael Chu, con il quale -nel corso di una recente roundtable- abbiamo avuto il piacere di parlare del presente e del futuro della narrazione "puntiforme e indiretta" di Overwatch.

    La svolta di Rivolta.

    Che Overwatch sia un progetto in continua evoluzione è sotto gli occhi di tutti: la scelta di concentrarsi quasi esclusivamente sul multiplayer, lasciando che buona parte del background venisse trattato, passo dopo passo, attraverso altri media (come i fumetti, gli splendidi cortometraggi animati e - ovviamente - il web), ha permesso al team di assicurarsi la giusta libertà nella creazione di nuovi contenuti a sfondo narrativo. In tal senso, l'evento Rivolta (concluso da poco tempo) è stato un esempio lampante di come lo storytelling di Overwatch potrà arricchirsi nel prossimo futuro. La squadra di Chu ha voluto, infatti, sperimentare con il racconto, prendendo una delle principali linee narrative (ovvero il conflitto tra umani e Omnic) per poi trapiantarla direttamente all'interno del gameplay. Il risultato è stato un evento PVE capace di cementificare le dinamiche di "teamplay" tanto radicate nella filosofia di gioco, e di mettere per la prima volta il pubblico difronte sia ai personaggi che tanto amavano, sia agli avvenimenti fondamentali che hanno inciso profondamente sulla loro evoluzione caratteriale.
    Scoprire com'era l'organizzazione di Overwatch prima della Caduta, scavare un po' più a fondo nel rapporto così logoro tra gli Omnic e i loro creatori, indagare sull'origine di King's Row, ma anche vivere il reclutamento di Tracer: sono tutti elementi inediti, ma che fin da subito hanno contribuito con vigore all'operazione di caratterizzazione narrativa che Blizzard sta portando avanti fin da quando, nel maggio dello scorso anno, il titolo è approdato sugli scaffali.
    Ma come si è arrivati alla realizzazione di Rivolta? Quali sono stati i processi creativi che hanno portato a questo cambiamento? In realtà -a detta dello stesso Michael Chu- il team ha cominciato a lavorare su Uprising subito dopo la pubblicazione dell'evento dedicato all'Anno del Gallo cinese, avvenuta lo scorso gennaio. Ciò dimostra, in maniera abbastanza inconfutabile, come questi appuntamenti speciali non richiedano poi così tanto tempo per essere realizzati, facendoci dunque ben sperare che, nel prossimo futuro, possano arrivare molti altri eventi strutturati in modo simile. Va detto d'altro canto che, in tutta probabilità, sia il concept della modalità sia la tematica narrativa fossero già presenti sulla lavagna del team da diversi mesi, pronti per essere sfruttati alla prima occasione utile. Inizialmente infatti -come ci ha tenuto a spiegare Michael- il processo che porta alla creazione di questi eventi (ma anche di molti altri contenuti di gioco) prevede una fase particolarmente "aperta" all'afflusso delle idee, così da raccogliere il maggior numero di opzioni possibili da sfruttare nella trattazione di una determinata macro-tematica. Successivamente si passa alla scrematura del materiale, che porta all'inevitabile accantonamento (a volte momentaneo, altre volte definitivo) di buona parte delle sotto-trame ipotizzate in principio.

    Quando poi la macchina creativa entra finalmente in funzione, il team si focalizza anima e corpo sulla realizzazione di quell'unico add-on, suddividendo i vari compiti tra i diversi dipartimenti dediti allo sviluppo (gameplay, narrazione, design, animazione e così via). Nel caso di Rivolta, ad esempio, per creare la giusta mescolanza tra storia e gameplay, è stato necessario trovare il miglior compromesso tra un gruppo di eroi funzionale alle diverse fasi della missione e un pool di personaggi che fosse perfettamente coerente con i fatti raccontati, così da nuclearizzare il rischio di creare spiacevoli incongruenze o paradossi. Alla fine, si è optato per un team composto da Reinhardt, Mercy, Torbjorn e Tracer (un tank, un support e due dps), lasciando alla modalità "all heroes" l'onere di far partecipare all'incontro anche i personaggi al di fuori della continuity. Non tutte le cose, però, sono andate per il verso giusto. Michael, ad esempio, ci ha raccontato di come la sua voglia di sperimentare con Rivolta lo avesse portato alla produzione di un volume davvero esagerato di dialoghi: piuttosto che cestinarli, scelse di mischiarli alle voiceline più "descrittive" della missione, come quelle che spiegavano gli obiettivi di ogni fase o svelavano alcuni retroscena sul Settore Zero e le sue unità offensive.

    Il futuro di Overwatch: dagli Eroi alla narrativa implicita.

    Rivolta ha certamente rappresentato la prima, grande svolta verso una progressiva "narrativizzazione" del gameplay. Ma quali sono gli altri piccoli passi che il team sta muovendo (o muoverà in futuro) per sprigionare l'immenso potenziale del titolo?
    È importante ricordare che la linea temporale di Overwatch si sviluppa per circa 30/35 anni: dalla Crisi degli Omnic alla Rinascita, passando ovviamente per l'istituzione e la Caduta dell'organizzazione di eroi capitanata da Jack Morrison (poi divenuto Soldier: 76), Gabriel Reyes (poi conosciuto come Reaper) e Ana Amari. Rivolta va collocato 7 anni prima dei tempi moderni. Ci troviamo perciò di fronte a un passato con dei punti di riferimento già ben delineati, da cui poter pescare a piene mani per dare vita a nuovi, interessanti eventi. Tuttavia, Michael ci ha confessato che il team, sebbene al momento preferisca percorrere i ben più solidi sentieri battuti dalle Origini, vorrebbe espandere l'Universo di Overwatch anche nel futuro, finendo magari per riflettersi in maniera sostanziale su gameplay, personaggi e modalità di gioco (magari un ideale "anno 2"?).
    Indipendentemente da ciò, Overwatch continuerà ad essere supportato attraverso molteplici canali, interni ed esterni al titolo. Il principale sarà naturalmente rappresentato dall'ideazione di nuovi personaggi. Questo avviene per mezzo di tre differenti processi creativi, ognuno dei quali risponde a specifiche esigenze ludiche o artistiche. Il primo è quello del gameplay: capita spesso, infatti, che il titolo necessiti di una particolare meccanica di gioco che renda più vari gli scontri o che controbilanci adeguatamente una dinamica ritenuta troppo efficace. Junkrat e Phara, ad esempio, sono stati ideati con l'unico scopo di introdurre del danno "indiretto" nel gunplay (ovvero quello ad area causato dalle loro armi), così da fornire ai giocatori una valida soluzione per spezzare la resistenza dei team più compatti. Il secondo percorso è quello dettato dai concept art: i designer producono bozzetti fino a quando non si riesce finalmente a localizzare un character design davvero originale e in perfetta sinergia con il contesto di gioco. L'ultimo percorso è invece totalmente asservito alle necessità degli sceneggiatori: dalla semplice esigenza di raccontare un determinato evento storico al bisogno di creare un'icona che incarni uno dei valori fondanti dell'opera.

    Una volta stabilito il percorso di partenza, si arriva a uno degli stadi più eccitanti e complessi dell'intero processo: la presentazione dell'eroe. Da quando Overwatch è stato lanciato, sono solamente tre i personaggi che hanno fatto il loro debutto nel roster di gioco: Ana, Sombra e Orisa. Se le prime due eroine sono state introdotte in maniera più "tradizionale" (Ana con un semplice video di spotlight e -solo successivamente- con i due fumetti "Retaggio" e "Vecchi Soldati", mentre Sombra con uno dei meravigliosi cortometraggi animati), per la terza sono state scelte delle vie inedite: un'intervista a un NPC, ovvero la piccola inventrice Efi Oladele, e una serie di modifiche estetiche apportate alla mappa di Numbani (come conseguenza dell'attacco terroristico di Doomfist avvenuto all'Aeroporto cittadino). Se infatti conoscere nuovi eroi attraverso i metodi più rodati rimane comunque interessante, farlo attraverso gli occhi e le parole di altri personaggi può esserlo ancor di più. Questo ci dà modo inoltre di raccogliere punti di vista estremamente eterogenei, fondamentali per la costruzione di protagonisti dal più ampio respiro.
    Nel caso di Orisa, tuttavia, il discorso si fa un po' più complesso. Michael ci ha infatti svelato che la sua introduzione corrisponde alla precisa intenzione di contrapporla ai personaggi più navigati dell'universo di gioco. Per capirci meglio: l'intento era quello di inserire un eroe meno definito, più malleabile, con una curva evolutiva completamente in divenire. Da buona intelligenza artificiale qual è, infatti, la sua memoria è un foglio ancora tutto da scrivere.

    Ecco spiegato il motivo per cui la sua personalità non è riuscita a fare breccia nel cuore degli appassionati (è infatti uno dei cinque personaggi meno utilizzati).Un'altra esigenza di Overwatch sarà naturalmente quella di esplorare più a fondo le diverse fazioni che si danno quotidianamente battaglia nell'attuale contesto narrativo (tra cui citiamo Blackwatch, Talon e gli Omnic). La priorità su quale storia verrà affrontata per prima dipenderà, ovviamente, anche dai topic più in voga tra l'utenza: ci sono sempre degli aspetti di lore o qualche backstory che catturano maggiormente l'attenzione dei giocatori.
    L'ultima, grande via per veicolare la storia all'interno del gameplay è naturalmente garantita dalla cosiddetta "narrativa implicita", sempre più usuale nel panorama videoludico moderno. Si tratta di una forma di racconto ben celata all'interno di alcuni degli aspetti portanti del titolo. A volte va ricercata nel particolare estetico di un personaggio, altre volte nel design delle mappe. Grazie a questi piccoli ma fondamentali dettagli, il team può concedersi di essere meno didascalico, lasciando allo stesso giocatore il piacere di fantasticare sui retroscena ad essi relativi. Pensiamo solamente a tutti quei preziosi e misteriosi indizi che accompagnano le centinaia di skin, spray, pose, emote e highlight presenti nella Galleria degli Eroi (tutti gli aspetti introdotti con Rivolta sono corredati da una piccola descrizione ). Ma anche le linee di dialogo dei personaggi occupano un ruolo di spicco in questo curioso gioco investigativo che si instaura tra l'utente e il titolo, anche quando magari si cerca solamente di sfruttare una piccola citazione esterna per intercettare una specifica nicchia di fan. Famoso è il caso della voiceline di Reaper "it's in the refrigerator", che aveva suscitato perplessità in molti giocatori: questa si è rivelata essere nient'altro che la celebre espressione utilizzata dallo storico commentatore dei Los Angeles Lackers, Chick Hearn, per certificare una vittoria ormai in cassaforte (o nel congelatore, se preferite) per la sua squadra.
    L'ultimo contributo alla narrativa implicita è invece offerto dalle mappe. Queste vengono sottoposte -come nel caso delle sopracitate Numbani e King's Row- a un preciso lavoro di art direction e level design, così da riflettere eventuali cambiamenti causati da un particolare evento, oppure per inserire un riferimento emblematico all'"eroe di casa" (pensate ai piccoli indizi del cortometraggio "Draghi" sparsi per Hanamura: la freccia di Hanzo, la lanterna danneggiata, gli shuriken di Genji vicino all'altare).

    Dietro ogni contenuto di Overwatch, insomma, c'è quasi sempre uno sforzo produttivo e creativo sensazionale, che si diverte a giocare con il background in un modo sostanzialmente introvabile in altri titoli competitivi presenti sul mercato. Sono questi, alla fine, i dettagli che fanno la differenza, e che spingono la community a lasciarsi coinvolgere dalle storie e dai personaggi di gioco, fino addirittura interiorizzarli profondamente. Pensate alle innumerevoli fan-art che hanno invaso il web, oppure alla cascata di fan fiction con cui si sono sondate le più improbabili relazioni amorose tra i diversi eroi. Ma anche alla tendenza di considerare le backstory dei personaggi quasi come se fossero dei modelli di vita, o di sfruttarli come mascotte per alcuni movimenti sociali: D.Va, ad esempio, è diventata il simbolo della "The National D.Va Association", un gruppo di videogiocatrici coreane che combatte per un mondo privo di sessismo.

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