Mancano pochi giorni a Persona 5, ma in quanti sanno davvero cosa è Persona? Per molti è il tipico gioco di ruolo giapponese, persino qualcosa da evitare a prescindere perché potrebbe seriamente minare la loro presunta mascolinità, per altri è un probabile candidato a gioco dell'anno, ma in ogni caso, Persona 5 è un gioco diverso, esattamente come la serie di cui è ultimo prezioso esponente.
St. Hermelin High
Persona è sempre stato un gioco "strano", fin dal principio, da quando era ancora a tutti gli effetti uno spin-off della serie Megami Tensei. L'ambientazione moderna, l'età dei protagonisti, il sottofondo scolastico e la natura demoniaca dei suoi misteri, ne tratteggiavano contorni di una torbida ingenuità, irresistibile così ben mescolata all'avvincente gameplay. I primi due giochi della serie, usciti su PlayStation e riproposti su PSP, sono prodotti ancora in cerca di un'identità ben definita, esperimenti a tutti gli effetti. Nemmeno tecnicamente i due giochi brillano di una luce particolare, se non per il loro stile grafico, opera dell'allora trentaduenne Kazuma Kaneko, un artista, un game designer, e per questo il chiaro co-fondatore di Atlus, che non a caso del suo inimitabile tratto ne ha fatto praticamente un marchio.
I primi due Persona hanno però un'ulteriore fortuna oltre all'inestimabile impring artistico di Kaneko: l'arrivo di Shigenori Soejima nel team, ovvero un altro prezioso artista che rielabora in chiave moderna i lavori del suo illustre superiore, dando vita ai colorati personaggi ultra pop che Atlus ci presenta costantemente attraverso i suoi giochi, e non solo. Con nostra grande gioia, i personaggi di Persona, di tutti i Persona, non sono solo apparenza, ma anche sostanza, per un inatteso mix che prende immediatamente le distanze dai soliti cliché del genere in declinazione orientale. E l'ottima scrittura dà modo ai designer giapponesi di spingere l'acceleratore sulle trame, che ad ogni capitolo ruotano attorno a un preciso argomento, spesso piuttosto spinoso ma sempre basato sull'anima di ciascuno degli eroi, la "inner persona", da qui il titolo, che ogni volta siamo chiamati a "provocare" in un determinato modo, e che il gioco traduce ludicamente in una sorta di super alter-ego dalle sembianze e le abilità più disparate.
Dark Hour
La svolta, il capitolo che trasforma l'esperimento Persona nell'apprezzato gioco di ruolo di cui oggi attendiamo il quinto episodio, è Persona 3, uscito originariamente nel luglio del 2006 (in Italia il 29 febbraio del 2008) su PlayStation2 e successivamente in versione "migliorata" anche per le PlayStation portatili. In questo terzo gioco della serie (sorprendentemente attuale ancora oggi, e infatti continuano a farselo pagare un bel po'...), sopra le fondamenta gettate con i primi due capitoli si erge rifinita una struttura di gioco perfezionata e capace di creare una spassosa dipendenza, grazie soprattutto all'introduzione dei social link, una nuova meccanica di gioco che lega le abilità in battaglia del protagonista alle amicizie che potrà allacciare nel corso dell'avventura.
Il tempo di gioco è scandito da un anno scolastico destinato, secondo copione, a stravolgere per sempre la vita del cast. La scuola diventa così l'elemento chiave e imprescindibile della serie, scocca di trama e presenza costante e pressante, di giorno rifugio intoccabile, giovinezza di mattoni, ma di notte un vero e proprio inferno sotto forma di dungeon procedurali popolati da creature fuoriuscite da qualche stramba e onirica mitologia. La trama di Persona 3 si annoda su due argomenti chiave: il tempo e la morte, e infatti per trasformare la loro anima in una Persona da battaglia, in questo gioco i giovani protagonisti sono chiamati niente di meno che al sacrificio ultimo, il suicidio. La meccanica dei social link permette al gioco di moltiplicare le Persona, che ora possono essere potenziate e acquisite stringendo un'amicizia con altri personaggi; è inoltre possibile fondere tra di loro due o più Persona per crearne una più potente.
Una sorta di Pokémon, se vogliamo, in cui non si collezionano mostriciattoli bensì emozioni, che si trasformano poi in devastanti creature da usare in battaglia. Il fatto è che il tempo a disposizione è poco, cioè è tanto perché è un intero anno scolastico e anche qualche cosa di più, ma è anche poco perché c'è tantissimo da fare, come sono tantissime le strade che è possibile percorrere e non tutte insieme: in Persona è necessario fare delle scelte, anche dolorose. Dedicarsi allo studio per esempio è un opzione interessante, e può aprire le porte del cuore di altri personaggi e la via d'accesso ad altre sottotrame, ma studiare consuma tempo che si potrebbe dedicare ad altre attività, ovvero altre amicizie e altri poteri. C'è poi da considerare che diventare amici è solo il primo passo di un rapporto, che va costruito nel tempo, appuntamento dopo appuntamento. Il gioco nasconde anche delle relazioni speciali: preziose storie che potrebbero portare all'amore e che danno in cambio moltissimo, a patto di dedicargli trasporto e ancora una volta tempo. L'amicizia come fonte di potere è un messaggio importante e scegliere a chi stare vicino, cosa fare e non fare, proprio come nella vita reale anche in questo gioco porterà a finali diversi, traccerà esistenze forse non uniche, ma sufficientemente delineate da sembrare proprie, colpendo duro nel cuore. Inoltre ci sono i dungeon, che sono il vero cuore del gioco e che sono strutturati come una sorta di palestra ad ingresso libero, e che il giocatore dovrà affrontare e riaffrontare fino a quando non si sentirà pronto per battere il boss finale, appuntamento che però potrà essere rimandato fino ad una certa data, oltrepassata la quale il male vincerà definitivamente la partita.
Midnight Channel
Persona 4, almeno fino a oggi, rappresenta il Persona perfetto, la concretizzazione ultima del progetto Atlus. Persona 4 è effettivamente raro esempio di gioco senza difetti, in cui ogni aspetto, dal gameplay al sonoro, dalla caratterizzazione dei personaggi e dell'area esplorabile, si muove in sorprendente e sinestetica sincronia. Anche se l'età dei personaggi non differisce molto da quella dei precedenti cast, Persona 4 è anche il gioco più maturo della serie, nel quale vengono spesso toccati argomenti scottanti, temi che un adulto faticherebbe a discutere con un teenager ma che ogni teenager prima o poi dovrà probabilmente affrontare, con o senza l'aiuto di un adulto. Sotto questo punto di vista Persona 3 non è da meno, ma è in Persona 4 che gli scrittori della serie acquistano quella sicurezza che gli ha consentito un'incisività di ben altro calibro, capace di caricare emozionalmente al meglio ogni scena chiave, come ogni giorno apparentemente anonimo.
Ad aiutare Persona 4 anche un setting davvero prezioso, ovvero un villaggio lontano dalle solite metropoli che invece di fagocitare il cast nel suo caos, esalta caratteri e lineamenti mantenendosi sottofondo perfetto di un thriller metafisico che si dilata nel tempo, per diventare dolce e aspra vita parallela nella quale immergersi alla bisogna. Persona 4 riesce alla fine a tracciare un'annata sì straordinaria, ma che al netto di mostri e creature paranormali abbiamo vissuto tutti. Cos'è del resto Persona 4 se non l'ultimo anno dell'adolescenza, quando puoi sì uscire la sera, ma non fare tardi, quando vorresti poterti firmare le giustificazioni da solo ma non puoi, e fuori piove, e dopo devi studiare per il compito in classe del giorno successivo. Lo stesso anno che in primavera ti riserva la sorpresa di un motorino con il quale scappare al mare con gli amici, e ti senti così libero, così invincibile che ecco, anche i mostri di Persona riusciresti ad affrontare. L'anno in cui dai quel bacio che ti rimarrà per sempre in testa, sfiorerai la prima coscia e i giorni si faranno infinita fonte di esperienze che non si è però ancora in grado del tutto di spiegare. In più, Persona 4 nasconde al suo interno anche uno dei personaggi omosessuali più interessanti e complessi nella storia dei videogiochi, elemento doppiamente sorprendente se andiamo a dare un'occhiata al modo macchiettistico con cui sono stati spesso ritratti i gay nei titoli giapponesi. Di Persona 5, nonostante il gioco sia già disponibile da un po' in altri Paesi, possiamo ancora dirvi poco, se non che ci dispiace da morire che il gioco non verrà tradotto in italiano. Lo sapete, spesso qui su Everyeye vi esortiamo a imparare l'inglese per non perdervi nemmeno un capolavoro, ma il messaggio forte di Persona 5, ed è davvero forte, solo in inglese rischia di passare inosservato proprio da chi ne beneficerebbe di più, ed è un grandissimo peccato visto la natura catartica e curativa del nuovo gioco Atlus. Ma ne riparleremo sicuramente meglio quando il gioco sarà anche nelle vostre case...
Persona: alla (ri)scoperta della serie Atlus
In occasione dell'imminente arrivo di Persona 5 in Europa, ripercorriamo insieme i punti di forza di una serie che è già storia.
Mancano pochi giorni a Persona 5, ma in quanti sanno davvero cosa è Persona? Per molti è il tipico gioco di ruolo giapponese, persino qualcosa da evitare a prescindere perché potrebbe seriamente minare la loro presunta mascolinità, per altri è un probabile candidato a gioco dell'anno, ma in ogni caso, Persona 5 è un gioco diverso, esattamente come la serie di cui è ultimo prezioso esponente.
St. Hermelin High
Persona è sempre stato un gioco "strano", fin dal principio, da quando era ancora a tutti gli effetti uno spin-off della serie Megami Tensei. L'ambientazione moderna, l'età dei protagonisti, il sottofondo scolastico e la natura demoniaca dei suoi misteri, ne tratteggiavano contorni di una torbida ingenuità, irresistibile così ben mescolata all'avvincente gameplay. I primi due giochi della serie, usciti su PlayStation e riproposti su PSP, sono prodotti ancora in cerca di un'identità ben definita, esperimenti a tutti gli effetti. Nemmeno tecnicamente i due giochi brillano di una luce particolare, se non per il loro stile grafico, opera dell'allora trentaduenne Kazuma Kaneko, un artista, un game designer, e per questo il chiaro co-fondatore di Atlus, che non a caso del suo inimitabile tratto ne ha fatto praticamente un marchio.
I primi due Persona hanno però un'ulteriore fortuna oltre all'inestimabile impring artistico di Kaneko: l'arrivo di Shigenori Soejima nel team, ovvero un altro prezioso artista che rielabora in chiave moderna i lavori del suo illustre superiore, dando vita ai colorati personaggi ultra pop che Atlus ci presenta costantemente attraverso i suoi giochi, e non solo.
Con nostra grande gioia, i personaggi di Persona, di tutti i Persona, non sono solo apparenza, ma anche sostanza, per un inatteso mix che prende immediatamente le distanze dai soliti cliché del genere in declinazione orientale.
E l'ottima scrittura dà modo ai designer giapponesi di spingere l'acceleratore sulle trame, che ad ogni capitolo ruotano attorno a un preciso argomento, spesso piuttosto spinoso ma sempre basato sull'anima di ciascuno degli eroi, la "inner persona", da qui il titolo, che ogni volta siamo chiamati a "provocare" in un determinato modo, e che il gioco traduce ludicamente in una sorta di super alter-ego dalle sembianze e le abilità più disparate.
Dark Hour
La svolta, il capitolo che trasforma l'esperimento Persona nell'apprezzato gioco di ruolo di cui oggi attendiamo il quinto episodio, è Persona 3, uscito originariamente nel luglio del 2006 (in Italia il 29 febbraio del 2008) su PlayStation2 e successivamente in versione "migliorata" anche per le PlayStation portatili. In questo terzo gioco della serie (sorprendentemente attuale ancora oggi, e infatti continuano a farselo pagare un bel po'...), sopra le fondamenta gettate con i primi due capitoli si erge rifinita una struttura di gioco perfezionata e capace di creare una spassosa dipendenza, grazie soprattutto all'introduzione dei social link, una nuova meccanica di gioco che lega le abilità in battaglia del protagonista alle amicizie che potrà allacciare nel corso dell'avventura.
Il tempo di gioco è scandito da un anno scolastico destinato, secondo copione, a stravolgere per sempre la vita del cast. La scuola diventa così l'elemento chiave e imprescindibile della serie, scocca di trama e presenza costante e pressante, di giorno rifugio intoccabile, giovinezza di mattoni, ma di notte un vero e proprio inferno sotto forma di dungeon procedurali popolati da creature fuoriuscite da qualche stramba e onirica mitologia.
La trama di Persona 3 si annoda su due argomenti chiave: il tempo e la morte, e infatti per trasformare la loro anima in una Persona da battaglia, in questo gioco i giovani protagonisti sono chiamati niente di meno che al sacrificio ultimo, il suicidio.
La meccanica dei social link permette al gioco di moltiplicare le Persona, che ora possono essere potenziate e acquisite stringendo un'amicizia con altri personaggi; è inoltre possibile fondere tra di loro due o più Persona per crearne una più potente.
Una sorta di Pokémon, se vogliamo, in cui non si collezionano mostriciattoli bensì emozioni, che si trasformano poi in devastanti creature da usare in battaglia.
Il fatto è che il tempo a disposizione è poco, cioè è tanto perché è un intero anno scolastico e anche qualche cosa di più, ma è anche poco perché c'è tantissimo da fare, come sono tantissime le strade che è possibile percorrere e non tutte insieme: in Persona è necessario fare delle scelte, anche dolorose. Dedicarsi allo studio per esempio è un opzione interessante, e può aprire le porte del cuore di altri personaggi e la via d'accesso ad altre sottotrame, ma studiare consuma tempo che si potrebbe dedicare ad altre attività, ovvero altre amicizie e altri poteri. C'è poi da considerare che diventare amici è solo il primo passo di un rapporto, che va costruito nel tempo, appuntamento dopo appuntamento. Il gioco nasconde anche delle relazioni speciali: preziose storie che potrebbero portare all'amore e che danno in cambio moltissimo, a patto di dedicargli trasporto e ancora una volta tempo. L'amicizia come fonte di potere è un messaggio importante e scegliere a chi stare vicino, cosa fare e non fare, proprio come nella vita reale anche in questo gioco porterà a finali diversi, traccerà esistenze forse non uniche, ma sufficientemente delineate da sembrare proprie, colpendo duro nel cuore. Inoltre ci sono i dungeon, che sono il vero cuore del gioco e che sono strutturati come una sorta di palestra ad ingresso libero, e che il giocatore dovrà affrontare e riaffrontare fino a quando non si sentirà pronto per battere il boss finale, appuntamento che però potrà essere rimandato fino ad una certa data, oltrepassata la quale il male vincerà definitivamente la partita.
Midnight Channel
Persona 4, almeno fino a oggi, rappresenta il Persona perfetto, la concretizzazione ultima del progetto Atlus. Persona 4 è effettivamente raro esempio di gioco senza difetti, in cui ogni aspetto, dal gameplay al sonoro, dalla caratterizzazione dei personaggi e dell'area esplorabile, si muove in sorprendente e sinestetica sincronia.
Anche se l'età dei personaggi non differisce molto da quella dei precedenti cast, Persona 4 è anche il gioco più maturo della serie, nel quale vengono spesso toccati argomenti scottanti, temi che un adulto faticherebbe a discutere con un teenager ma che ogni teenager prima o poi dovrà probabilmente affrontare, con o senza l'aiuto di un adulto.
Sotto questo punto di vista Persona 3 non è da meno, ma è in Persona 4 che gli scrittori della serie acquistano quella sicurezza che gli ha consentito un'incisività di ben altro calibro, capace di caricare emozionalmente al meglio ogni scena chiave, come ogni giorno apparentemente anonimo.
Ad aiutare Persona 4 anche un setting davvero prezioso, ovvero un villaggio lontano dalle solite metropoli che invece di fagocitare il cast nel suo caos, esalta caratteri e lineamenti mantenendosi sottofondo perfetto di un thriller metafisico che si dilata nel tempo, per diventare dolce e aspra vita parallela nella quale immergersi alla bisogna. Persona 4 riesce alla fine a tracciare un'annata sì straordinaria, ma che al netto di mostri e creature paranormali abbiamo vissuto tutti. Cos'è del resto Persona 4 se non l'ultimo anno dell'adolescenza, quando puoi sì uscire la sera, ma non fare tardi, quando vorresti poterti firmare le giustificazioni da solo ma non puoi, e fuori piove, e dopo devi studiare per il compito in classe del giorno successivo. Lo stesso anno che in primavera ti riserva la sorpresa di un motorino con il quale scappare al mare con gli amici, e ti senti così libero, così invincibile che ecco, anche i mostri di Persona riusciresti ad affrontare.
L'anno in cui dai quel bacio che ti rimarrà per sempre in testa, sfiorerai la prima coscia e i giorni si faranno infinita fonte di esperienze che non si è però ancora in grado del tutto di spiegare. In più, Persona 4 nasconde al suo interno anche uno dei personaggi omosessuali più interessanti e complessi nella storia dei videogiochi, elemento doppiamente sorprendente se andiamo a dare un'occhiata al modo macchiettistico con cui sono stati spesso ritratti i gay nei titoli giapponesi.
Di Persona 5, nonostante il gioco sia già disponibile da un po' in altri Paesi, possiamo ancora dirvi poco, se non che ci dispiace da morire che il gioco non verrà tradotto in italiano. Lo sapete, spesso qui su Everyeye vi esortiamo a imparare l'inglese per non perdervi nemmeno un capolavoro, ma il messaggio forte di Persona 5, ed è davvero forte, solo in inglese rischia di passare inosservato proprio da chi ne beneficerebbe di più, ed è un grandissimo peccato visto la natura catartica e curativa del nuovo gioco Atlus. Ma ne riparleremo sicuramente meglio quando il gioco sarà anche nelle vostre case...
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