Videogiochi: Le logiche dello Spoiler

Indaghiamo insieme sui meccanismi che regolano la natura dello spoiler e delle sue manifestazioni nel panorama videoludico.

Videogiochi: Le logiche dello Spoiler
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Se Dante Alighieri fosse nato all'epoca di Internet, sono certo che avrebbe riservato un girone dell'Inferno a tutti quei bontemponi che si divertono a "spoilerare" senza alcun ritegno gli eventi più importanti di un film, di una serie Tv o di un videogame. Conoscere in anticipo l'andamento narrativo, sapere che "l'assassino è il maggiordomo" prima ancora che inizino le indagini, dunque, sminuisce inesorabilmente il gusto dell'esperienza audiovisiva. Ma è davvero così? Nel contorto reame del web, l'accezione del termine "spoiler" possiede - del resto - molte sfumature diverse, che rendono piuttosto difficoltoso capire fino a che punto è legittimo prodigarsi nella descrizione di una trama prima di essere imputati per alto tradimento. Si passa infatti dall'ovvia impossibilità di spiattellare in rete il finale dell'ultima opera di M. Night Shyamalan fino ad arrivare al divieto tassativo di accennare, anche solo minimamente, alla storyline del nuovo Mass Effect. Dinanzi ad un'oscillazione così incostante, in cui le proverbiali "mezze misure" svaniscono del tutto, risulta decisamente complesso riuscire a conciliare le esigenze di discrezione imposte dai lettori con l'efficacia di una critica completa ed esaustiva. È per questo che ho tentato, con il seguente articolo, di indagare un po' più a fondo sui meccanismi che regolano la natura dello spoiler e delle sue numerose manifestazioni.

Attenzione: l'articolo potrebbe contenere Spoiler (sul serio!).

The Butler didn't do it

Al momento dell'uscita nelle sale di Psyco, Alfred Hitchcock chiese esplicitamente ai gestori dei cinema di vietare l'ingresso agli spettatori dopo che il film era iniziato. In aggiunta, il regista si raccomandò con i vari critici e giornalisti del settore affinché non raccontassero troppi dettagli sulla trama del suo capolavoro. Il motivo è presto detto: un thriller della caratura di Psyco non fa leva soltanto sull'indiscutibile maestria nell'uso della suspense, ma anche sugli insospettabili risvolti narrativi che avvengono più o meno a metà della pellicola. Se oggigiorno il colpo di scena sulle sorti della protagonista Marion ed il mistero sulla follia di Norman Bates fanno ormai parte del patrimonio culturale di qualsiasi cinefilo che si rispetti, nel 1960 questa "ostentata" segretezza stimolò esponenzialmente la curiosità del pubblico. Hitchcock, da genio qual era, riuscì a trasformare il "timore dello spoiler" in puro "marketing", ben conscio che qualunque, lievissima anticipazione sugli avvenimenti dell'opera avrebbe potuto "danneggiare" la sua piena godibilità. Il verbo non è stato scelto a caso: in inglese "to spoil" significa letteralmente "rovinare", ossia precludere il piacere di venire travolti da intelligenti plot twist. Questo è vero per lo più quando si parla di prodotti che basano gran parte del proprio appeal sulla necessità di sconvolgere il bacino d'utenza cui si rivolgono tramite l'uso di finali inaspettati.

Opere poliziesche od orrorifiche, ad esempio, mirano a giocare con l'orizzonte d'attesa dello spettatore: sfruttando sia escamotage fin troppo abusati come i "jumpscares", sia espedienti più raffinati e cervellotici, thriller ed horror devono quindi necessariamente - forse più di ogni altro genere - mantenere viva e costante la tensione. Al pari di Hitchcock, lo sa bene anche David Fincher, che nei titoli di testa di Seven - su consiglio di Kevin Spacey - ebbe l'accortezza di non mostrare il nome dell'attore insieme agli altri membri del cast, per non privare il pubblico del brivido di scoprire da sé il volto dell'assassino. Per quanto sembri un dato di fatto incontrovertibile che uno spoiler di qualunque tipo rovini profondamente l'entertainment, non mancano alcune teorie secondo le quali le anticipazioni possono addirittura arricchire il valore di una produzione. È di questo parere il prof. Nicholas Christenfeld del dipartimento di Psicologia dell'Università di San Diego, il quale, testando un apposito campione di soggetti, ha formulato l'ipotesi secondo cui la diffusione di dettagli più approfonditi sulla trama di un racconto avrebbe potuto addirittura "incrementare" il piacere della lettura. Conoscere a priori alcuni elementi narrativi aiuterebbe così ad inquadrare il testo sotto un'ottica diversa, a prestare attenzione ad aspetti che potrebbero altrimenti passare inosservati: ad utilizzare, in sostanza, un occhio critico più marcato, privo di distrazioni e libero dall'ansia dell'attesa. Nonostante la presenza di altri studi specializzati pronti a smentire le idee del prof. Christenfeld (si legga, a tal proposito, il saggio Spoiler Alert: Consequences of Narrative Spoilers for Dimensions of Enjoyment, Appreciation, and Transportation di Benjamin K. Johnson), non si può negare che nelle suddette ipotesi non ci sia almeno un briciolo di verità.

Davvero volete farmi credere, infatti, che The Others - ad una seconda visione - non mantiene intatto il suo fascino strepitoso? Davvero La finestra sul cortile diviene tremendamente noioso se guardato più e più volte pur sapendo come andrà a finire? La bellezza di un prodotto prescinde dalla maggiore o minore conoscenza dei suoi colpi di scena: se un film, un libro, o un videogioco funziona unicamente grazie alla sua "conclusione a sorpresa", allora vuol dire che si tratta di un'opera riuscita soltanto a metà. Si sarà notato che, fino ad ora, ho citato solo titoli legati ad un preciso genere di riferimento, che fa leva sul bisogno di mantenere sempre alta la tensione del pubblico, pena un progressivo deficit di godimento. Una commedia o un dramma sono dunque avulsi dalle regole tipiche dello spoiler? Sapere che Jack muore alla fine di Titanic o che Rhett Butler se ne infischia di Rossella O'Hara negli ultimi minuti di Via col Vento influenza, in qualche modo, il piacere della visione "a posteriori"? Il problema più grande - arrivati a questo punto - è comprendere anzitutto che lo spoiler è tendenzialmente legato ad una logica di genere: è tanto più grave quanto più importanza riveste l'anticipazione ai fini della trama. È un concetto in apparenza assai banale, ma che in realtà lascia spazio a moltissimi fraintendimenti: perché il rischio è quello di valutare con due pesi e due misure alcune produzioni che dovrebbero invece possedere pari dignità sia durante le discussioni informali tra amici, sia nel corso di recensioni ed analisi professionali. Ma un ulteriore e, oserei dire, fondamentale concetto da tenere in seria considerazione riguarda la definizione stessa del termine "spoiler". È stato già chiarito che la parola implica in sé l'atto del "rovinare" la fruizione di un prodotto audiovisivo. Ma in che misura?

Lo spoiler non è tanto la rivelazione di ciò che "non deve essere detto", quanto di quello che lo spettatore/lettore/giocatore "non vuole sentirsi dire": è un limite che varia a seconda del singolo individuo, un parametro profondamente soggettivo con cui ogni recensore deve rapportarsi obbligatoriamente. Partendo dal presupposto inequivocabile che è oltremodo vietatissimo divulgare informazioni sul finale di un'opera e su un eventuale "coup de theatre", occorre considerare che la quantità di anticipazioni che un lettore è disposto a sopportare varia da soggetto a soggetto: laddove una buona fetta di utenti preferisce coprirsi occhi ed orecchie, dall'altro permane un novero altrettanto ampio di fruitori che desidera apprendere notizie un po' più approfondite prima di procedere all'acquisto. In un caso o in un altro, nel recensore sorge un profondo dilemma critico: come bilanciare la necessità di essere il più possibile esaustivi con l'obbligo di celare il maggior numero di dettagli?

Silence

Fino ad ora ho affrontato il discorso in modo piuttosto vago: è il momento quindi di entrare un po' più nello specifico ed occuparmi principalmente del settore videoludico che, a differenza di quello filmico o letterario, per quanto concerne gli spoiler possiede regole tutte personali. Il punto di partenza è il seguente: secondo il manuale del buon recensore, devono essere evitate anticipazioni sia connesse alla storia, sia legate a specifiche meccaniche di gameplay. Tuttavia, da parte del lettore, lo spoiler "ludico" è più accettato (e sopportato) rispetto a quello "narrativo". Se, infatti, nella disamina di un action game si accenna alla presenza di dinamiche stealth nelle fasi avanzate dell'avventura, l'utente non grida certo al sacrilegio, proprio in virtù della consapevolezza che in una recensione occorre passare al setaccio tutte le parti di cui un'opera si compone. Però, se si descrivono (anche solo sommariamente) i primi dieci minuti della storyline, ecco che l'autore dell'articolo rischia il linciaggio mediatico.

Ma per quale ragione? In un gioco, ai fini del coinvolgimento, il plot è forse più importante rispetto all'interazione? E meno male che John Carmak (il papà di Quake - per inciso) sostiene che «la trama in un videogioco è come la trama in un film porno. Ti aspetti che ci sia, ma in fondo non serve a niente». Stando a questo ragionamento, la recensione di uno shooter come DOOM sarebbe già di per sé "spoiler free", data la pochezza della sua sceneggiatura. Sebbene - e lo ripeterò fino allo stremo per scrupolo di chiarezza - esistano delle anticipazioni "oggettive" che non debbono essere divulgate per nessuna ragione al mondo, la corsa affannosa alla segretezza assoluta potrebbe minare con prepotenza l'esaustività di un articolo. Il recensore che prova a tenersi alla larga dal benché minimo spoiler corre il rischio di inciampare in un'approssimazione descrittiva, di venire tacciato di eccessiva superficialità, di scarsa capacità d'indagine. Il discorso sulla logica di genere, riportato nel paragrafo precedente, si estende allora anche all'ambito videoludico: rivelare che, in Resident Evil 7, Mia Winters (la moglie del protagonista) è infettata dal virus come i membri della famiglia Baker è molto più grave che raccontare la backstory di Breath of the Wild (benché, in entrambi i casi, il tutto venga a galla già nella prima mezz'ora di gioco). Questo perché nell'horror di Capcom lo shock value è fondamentale per l'immedesimazione del giocatore, mentre in Zelda la vicenda è solo il punto di partenza per un viaggio indimenticabile, che trova in altri "segreti e misteri" la sua ragion d'essere.

Alla luce di quanto detto, appare chiaro che non esiste un vero e proprio decalogo per non cadere nella trappola dello spoiler (involontario): in molte istanze, a dir la verità, un giocatore non si rende neanche conto di aver assistito ad una blasfema anticipazione finché non subentra qualcuno a fargliela notare (si pensi a quante volte nei trailer vengono mostrati microframmenti che, col senno del poi, ricolleghiamo alle fasi finali di un'opera). Spesso, infatti, si grida al sacrilegio soltanto perché un giornalista spiffera alcuni, generici dettagli della trama di un gioco che, a rigor di logica, per esigenze di completezza, dovrebbero essere enucleati all'interno di una recensione. Ed in simili circostanze, quando a dominare l'indignazione del pubblico è un hype accecante, ai vincoli dettati dal genere d'appartenenza si sostituiscono quelli - ancor più gravi - dipesi dalla "fama" del prodotto. In sostanza, più un titolo è atteso, meno informazioni bisogna rivelare: sono infatti in pochi a lamentarsi se si spiega - per sommi capi - l'ordito narrativo di The Talos Principle, mentre sono in molti ad invocare la pena capitale se si svela parzialmente quello di Breath of the Wild. È questo un modo di ragionare potenzialmente molto pericoloso: la corposità e la rigorosità di un'analisi non devono piegarsi ai capricci della fanbase, ma devono dare pari "dignità" a tutti i giochi presi in esame, a prescindere dal nome che portano. Un ultimo aspetto che mi preme sottolineare, infine, riguarda l'opinione (abbastanza comune) secondo la quale dopo un (in)determinato quantitativo di anni, lo spoiler cada in prescrizione. Ebbene, oggi si può parlare liberamente del finale di Red Dead Redemption in virtù del fatto che è trascorso più di un lustro dalla sua uscita? Solo fino ad un certo punto. In una situazione del genere entra in ballo l'elemento "contestuale": possiamo discutere dell'incredibile conclusione del western di Rockstar soltanto se le esigenze lo richiedono, senza dare per scontato che tutti ne siano a conoscenza o l'abbiano già giocato. È inutile e poco professionale - quindi - narrare ciò che succede al caro Marston nel corso di una generica chiacchierata sulle differenze tra i vari open-world che popolano il mercato, così come è ridicolo ed infantile lamentarsi degli spoiler sull'ending del primo episodio dopo aver letto una news sul secondo capitolo.

Per sfuggire dalle grinfie di un fandom inferocito ed evitare di dover scrivere all'inizio di ogni articolo la dicitura "Spoiler Alert" a caratteri cubitali, è bene allora instaurare un tacito patto tra il redattore e la community: il primo si impegna a non allontanarsi dai confini delle sinossi narrative (con una - perdonabile - eccezione qualora lo "sforamento" si dimostri indispensabile nell'ottica della disamina), mentre la seconda accetta di prestargli piena fiducia, provando a comprendere appieno tutti quei diritti e doveri che il mestiere del "critico" (in senso lato) si porta in dote. Ad esempio, io non mi sognerei mai e poi mai di rivelarvi che in NieR: Automata, alla fine...