Videogiochi: quando la diversità diventa unicità

È giusto modificare le caratteristiche tipiche di una serie per riuscire ad ampliare la sua fanbase? Discutiamone insieme.

Videogiochi: quando la diversità diventa unicità
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Da qualche giorno a questa parte è approdato sul mercato un certo Torment: Tides of Numenera, un gioco dall'immensa profondità narrativa, che inonda l'utente con valanghe di testo, ingarbugliandogli i pensieri con dialoghi filosofici e stranianti. Quello che è considerato quasi all'unanimità il successore spirituale di Planescape: Torment non scende minimamente a compromessi con l'utente: se non siete disposti a sopportare ritmi lenti, ragionati, e finanche l'assenza quasi totale di combattimenti, allora il gioco non vi piacerà.
C'è davvero poco da fare. Per questo Tides of Numenera è stato bersaglio di strali scagliati da più parti: tra coloro che hanno incoccato la freccia perché intirizziti dall'estrema "elitarietà" della produzione, ed altri che lo hanno tacciato di aver sfruttato in malo modo il medium a cui fa riferimento, non sono mancati neanche quelli che hanno continuato a polemizzare sulla mancanza della lingua italiana. Insomma, il nuovo nato in casa di InXile ha senza dubbio spaccato critica e pubblico ma, come scriveva Oscar Wilde nella prefazione de "Il Ritratto di Dorian Gray", quando le opinioni su un'opera sono così diverse, vuol dire che questa è «nuova, complessa e vitale». Torment: Tides of Numenera è quindi ciascuna di queste tre cose.
Sebbene non si tratti di un'esperienza irrinunciabile, da inserire obbligatoriamente in un fantomatico listone di titoli "da giocare", bisogna comunque riconoscerne il valore ludico, e capire così che un videogioco di questo tipo è fondamentale per lo sviluppo del mercato, nella sua totalità e nelle sue sfaccettature.
Perché - ed è inutile discuterne più di tanto - di opere come Tides of Numenera e il suo antenato Planescape: Torment non ce ne sono, e difficilmente ce ne saranno altre. Gli accostamenti, fin troppo frequenti, a prodotti come Divinity: Original Sin o Pillars of Eternity (spesso citati come alternativa allo stesso Torment), sono il sintomo di un progressivo disinteressamento ai dettagli, alle peculiarità che caratterizzano le singole produzioni sopracitate, a fronte invece di un maggior interesse alla totalità, al complesso.

E così assistiamo sempre più di frequente a masnade di utenti infervorati perché una scelta di game design le estranea dal novero degli acquirenti, o a stuoli di presunti esperti che, dopo un'analisi insipida e superficiale, traggono le conclusioni su un gioco evidentemente non pensato per loro. Il problema dei combattimenti di The Witcher 3 non è poi così diverso da quello della telecamera di The Last Guardian: se non si è disposti a passare sopra ad alcune ruvidità, allora vuol dire che quel prodotto non fa per voi. Non preoccupatevi, volgete lo sguardo e guardate altrove: il mercato è vario, pieno di giochi che possono incontrare i vostri gusti. E non arrabbiatevi, perché la creatività non può essere asservita alle vostre aspettative: imparate allora a riconoscere la diversità, ad accettarla, e persino a venerarla come un bene inestimabile.
Un caso piuttosto emblematico, in questo senso, è l'ormai decennale critica rivolta a Bethesda, in particolare alla saga di The Elder Scrolls, accusata a più riprese, e sempre con fervida mordacità, di esser caratterizzata da una scarsa qualità di scrittura dei dialoghi o di non offrire una trama principale degna di questo nome. Invece di riconoscere l'unicità e il valore di questa serie all'interno del panorama dei RPG, ma anche in quello dei videogiochi, i fautori di simile tesi vorrebbero che gli sviluppatori "correggessero il tiro", dando un peso maggiore ad alcuni elementi volutamente messi in secondo piano. Se queste critiche venissero assecondate, il mercato si impoverirebbe, ed un elemento di pregio finirebbe per unirsi ad una massa informe in continua crescita, che, in nome di una dannosissima omologazione, ingloba e distrugge piccoli e grandi nicchie. Sappiamo tutti cos'è successo con Fallout 4: ossia di come il tentativo di raggiungere un pubblico più ampio, aumentando il numero di contenuti e la varietà dell'offerta, abbia sminuito le caratteristiche di pregio del brand.

E il rischio è che questa piaga si diffonda sempre più, che piccole cavità frequentate da pochi appassionati aprano i cancelli alla moltitudine, rinunciando alla quiete, alla serenità e venendo ripagate con lo scempio, l'iconoclastia. Molto del potere è nelle nostre mani, ed è nel nostro interesse che il giardino dei videogiochi non venga invaso e distrutto da torride colate di cemento. Un passo essenziale consiste nell'aprire gli occhi e la mente, nel modellare le aspettative in base al tipo di opera che si ha davanti, e cercare la "perfezione" non tanto nei singoli prodotti, quanto nell'immensità del vivaio in cui vivono e prosperano, facendo soprattutto attenzione ai particolari: dai rigogliosi alberi, all'erba frusciante, fino al volare pigro di un insetto. Tutto ciò che si staglia sullo sfondo, quello che, per un motivo o per un altro, non incontra i nostri gusti, dovrebbe esser guardato con ancora più curiosità: le strade per raggiungere quei luoghi possono essere intraprese in qualsiasi momento, ma non solo da noi.
Onore quindi a chi riesce a guardare il mercato con un occhio vivace e curioso, a chi non denigra tutto ciò che non gli piace. Onore a quegli sviluppatori che seguono la loro visione, senza preoccuparsi di tagliare fuori grosse fette di utenza. Ovviamente la tendenza viziosa all'ermeticità è da deprecare su tutta la linea, ma lo è anche quella di piegare il proprio percorso al successo, magari annichilendo delle caratteristiche belle e preziose.
Perciò dovremmo essere noi giocatori ad oltrepassare le barriere: bisognerebbe sforzarsi di più ed adattarsi ad certo un tipo di prodotto, e non viceversa. Se davvero siete interessati a percorrere un sentiero impervio, equipaggiatevi a dovere ed impegnatevi nella scalata: pretendere che la strada vi sia spianata sotto i piedi è un atteggiamento distruttivo e sbagliatissimo, che potrebbe danneggiare non solo il valore dell'esperienza stessa, ma anche l'avventura di tutti gli alpinisti esperti.

Dopotutto se amiamo i videogiochi e siamo disposti a passare ore in fantastici mondi virtuali, perché non vestire i panni di esploratori immaginari e trasformare la nostra sedentaria passione in qualcosa di più movimentato e frizzante? Un viaggio alla scoperta di piccole insenature che potrebbero nascondere tesori, un percorso puntato anche al miglioramento personale, lontano dalle fumose baruffe stracolme di vacuità che si consumano sui forum, distanti dai continui e sterili confronti, dai ragionamenti a senso unico e dai freddi numeri del Metacritic. Una corsa coi capelli al vento, mentre i brividi della nostra passione ci sconquassano i gangli nervosi. Solo così potremo avere un'idea della diversità e del numero delle tessere che compongono l'immenso mosaico del mercato dei videogiochi. E più questi tasselli sono numerosi e colorati, più l'immagine diventa bella, ammaliante e variopinta.